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Nick

Una volta seduto al tavolo nella sala da pranzo, scavo un po’ più a fondo. La prima cosa che scopro è che il deep web è davvero un posto del cazzo. Alan aveva ragione. Un sacco di siti proprio non li capisco, i pochi che riesco a decifrare mi fanno pentire di averci provato.

Il modo stesso in cui è organizzato è davvero assurdo. Alan mi ha mostrato un elenco di siti, ma si è rifiutato di andare oltre. Man mano che seguo i vari collegamenti, mi imbatto in quello che pare una sorta di bazar online. È strutturato un po’ come un vecchio forum, di quelli che sul finire degli anni Novanta spopolavano su Internet. A sconvolgermi è la schiettezza con la quale vengono elencate le categorie di articoli in vendita. Droghe, armi, merci e documenti contraffatti. È sbalorditivo come sia tutto così esplicito, quasi fosse la cosa più normale del mondo.

Non importa se le autorità lo scoprono – ed è inevitabile che lo facciano – perché nulla è tracciabile. Non ci sono documenti. Non ci sono passaggi di denaro, ogni scambio avviene tramite i bitcoin o altre valute virtuali, che non lasciano segni. Se la polizia volesse catturare uno dei rivenditori, non potrebbe. Se provassero a contattarlo, vedrebbero solo un nome utente, tutto qua. In teoria chi vende potrebbe vedere chi è che compra, ma un sistema di feedback come quello di eBay rende quasi impossibile per un infiltrato delle forze dell’ordine entrare in affari, a meno che non dia prima credibilità al suo negozio vendendo vagonate di armi e stupefacenti. È quasi come se queste persone avessero varcato il confine e si fossero fermate a fare cenni di saluto alla polizia, come a dire: non potete prenderci.

Trovo una sezione del sito dedicata agli “Scambi di favori”, che pare dedicata per lo più a persone interessate a transazioni non economiche. Il linguaggio è quasi sempre caratterizzato da strane forme colloquiali, con oscuri riferimenti a quelle che paiono soprattutto armi e droghe, anche se alcuni messaggi riguardano chiaramente qualcosa di ancor più pesante.

Decido di buttarmi e mi registro. Noto subito che questo è in assoluto il primo sito che mi chiede solo due cose: un nome utente e una password. Niente indirizzo email, nome, cognome e così via. Mi guardo intorno nella stanza, per scegliere qualcosa che non abbia riferimenti diretti alla mia persona. Vedo l’armadietto dei liquori e non ho idea di quale sia il legno con cui è costruito, ma digito “noce6676” nel riquadro per il nome utente, e scelgo una password che sono sicuro di ricordare ma che non ho mai usato in altri siti.

Tutto qua, mi sono iscritto. Torno alla sezione dedicata agli scambi di favori. Mi serve un po’ di tempo per capire come funziona il sistema di localizzazione e assicurarmi che il mio messaggio sia visibile per utenti della zona. Una volta selezionato il Paese e l’area regionale, il numero degli annunci comincia a calare. A quanto pare ci sono poche persone, dalle mie parti, che frequentano questa sezione. Il che forse è rassicurante. Non voglio insistere troppo, quindi resto aperto a un contesto ampio. Sono quasi sicuro che esista qualcuno disposto a spostarsi per tremila sterline.

Seleziono il link per creare un nuovo messaggio e digito il titolo del mio annuncio, sforzandomi di trovare un modo criptico e clandestino per formularlo. Ma è necessario? Siamo nel deep web, dopo tutto. Alla fine, opto per “Cerco esperto di smaltimento rifiuti. Pagamento in contanti”. Nella parte riservata al testo, scrivo:

Ho bisogno di liberarmi di un sacco di immondizia particolarmente sgradevole. Sono disposto a corrispondere una generosa somma in contanti per un esperto del settore.

Lo rileggo. È fumoso, ma non tanto da impedire che si capisca cosa sto cercando. Magari è sufficiente per tagliare fuori chiunque non faccia sul serio. Se qualcuno è capace di assumersi questo incarico, allora saprà cosa intendo. E se in qualche modo le autorità si imbattono nel mio annuncio, lo sapranno anche loro. Basterebbe per incastrarmi? Probabile, ma sono sicuro che non sia in alcun modo possibile risalire alla fonte del messaggio. Inoltre, ho davvero scelta? Devo andare avanti, o non rivedrò mai più la mia Ellie. Tutto considerato, non ho reali alternative.

Mi rendo conto che mi sto agitando, sento di nuovo addosso il peso del mondo, e quindi provo a fare respiri lunghi e lenti. Devo sforzarmi di restare ancorato alla normalità. Impedire che i pensieri prendano il via. Devo mantenere il controllo.

Passo circa un’ora a esplorare il deep web, a controllare le mie caselle email nella parte legale di Internet e più in generale a rimettermi al passo con tutto quello che avevo lasciato indietro. Cerco di restare alla larga dai siti giornalistici e dai social media, ma non riesco a non dare un’occhiata. Non mi attardo in nessuna sezione dei commenti relativa alle notizie su Ellie, soprattutto perché non ce ne sono molte. Non so se provare rabbia e delusione per come l’attenzione pubblica abbia cominciato a scemare o se sentirmi sollevato perché ora che i media sono concentrati altrove la polizia potrà svolgere in modo consono il suo dovere. Immagino siano loro gli esperti, in questo caso. Se credevano che la pressione mediatica fosse d’aiuto, avrebbero fatto in modo di tenerla alta. Sanno il fatto loro. Ed è questo che mi preoccupa.

Quando ho finito, restituisco il portatile ad Alan e gli chiedo se potrò usarlo di nuovo in caso di necessità, solo finché non mi restituiranno il mio.

Fa sempre comodo sapere che c’è qualcuno su cui puoi contare.