45

Nick

Sono rimasto sveglio per gran parte della notte. Il modo in cui Tasha si è aperta con me mi ha sconcertato. È sempre stata così fredda e distante, eppure ieri sera ho visto una parte inedita di lei. Ho visto la vulnerabilità, l’animo affranto. E ho visto una parte inedita anche di me. Ho visto la mia coscienza.

In qualsiasi altro matrimonio, sarebbe stato un momento meraviglioso, pregno di significato. E poteva essere così anche per noi, se non fosse avvenuto in queste circostanze. Ho provato a dirmi che era solo una prova da superare e che non potevo assolutamente fallire. Dovevo andare avanti secondo i piani, a qualunque costo. Dopo tutto, era l’unico modo per riavere la mia Ellie.

Ma, per quanto mi sforzassi, non sono riuscito a negare il fatto che, ieri sera, ho sentito qualcosa. Qualcosa di nuovo.

La mattina si è trascinata con grande lentezza. Tasha è uscita con la polizia per contribuire alle ricerche. Stanno setacciando campi e boschi, per mia fortuna lontano da Medbury. Mi ha detto che doveva avere quanto meno l’impressione di fare qualcosa. Per me è stata come una benedizione, perché anche se mi limito a starmene a casa, seduto accanto al telefono in attesa di notizie che so non arriveranno, almeno vengo lasciato in pace dai giornalisti. Sono tutti lì fuori, in cerca della foto perfetta di Tasha insieme agli agenti alla ricerca di Ellie.

L’aspetto peggiore di silenzio e solitudine è che hai tempo e modo di pensare. Ho passato tutta la notte a pensare, e ora come ora voglio solo dormire. Neppure sprofondato in poltrona, morto di sonno e in compagnia solo dell’orologio che ticchetta sulla mensola del camino riesco a fermare il treno di dubbi e pensieri che mi sfreccia nella mente.

Ho sempre sentito dire che situazioni del genere sono logoranti, sia per la mente che per il corpo. Cerco di concentrarmi sugli aspetti positivi. Presto la mia bimba tornerà a casa. Questa tragedia avrà fine. Tasha non ci sarà più. Resteranno solo Ellie e il suo papà. Solo noi due.

Continuo a sentirmi come intorpidito. Forse dovrei provare sentimenti più intensi? Mi chiedo se non è stata forse la scrittura a rendermi insensibile. Leggere e scrivere di morti e omicidi può forse farli sembrare una cosa assolutamente normale? Mi pare assurdo che si possa diventare così distaccati rispetto alla morte, ma immagino sia possibile.

Col proseguire della giornata, comincio ad astrarmi sempre più. Mi rendo conto che ormai guardo la nostra situazione da un punto di vista politico, filosofico. È giusto sacrificare una vita per salvarne un’altra? E se si tratta della vita di una moglie che non ami più – e che neanche ti piace – e di una figlia alla quale vuoi disperatamente bene? Se si arriva al punto in cui resta solo da decidere chi vive e chi muore, non ci sono dubbi di alcun tipo.

Ma ancora non riesco a scacciar via dalla mente un fastidioso pensiero. Se sono così sicuro di me, della scelta che ho fatto, perché continuo ad analizzarla? Perché non posso lasciare che le cose vadano avanti e concentrarmi sul fatto che tra qualche ora appena riavrò la mia Ellie?

Come tornerà la mia bambina? Qualcuno la lascerà semplicemente nel viale, proprio come quando l’hanno portata via? E come ci riuscirà il rapitore, senza farsi scoprire? Cosa dirà Ellie?

Ecco a cosa sto pensando: sono piuttosto sicuro che la piccola abbia visto chi l’ha catturata e sarà capace di descrivere il posto in cui l’ha portata. Deve saperlo anche il rapitore. Ellie è una ragazzina in gamba. Basta passare pochi minuti con lei per capirlo. E di sicuro chi me l’ha sottratta se ne sarà accorto. Prima o poi verrebbe identificato.

Mi sento il cuore in gola quando mi rendo conto delle conseguenze. E se il piano era questo fin dall’inizio? Se non lasceranno mai andar via Ellie? Se hanno fatto tutto solo perché Tasha finisse ammazzata, con l’idea di non lasciarsi catturare mai, senza liberare la mia bambina, o facendole di peggio? Se questa persona è disposta a rapire una ragazzina di cinque anni e poi chiedere al padre di eliminare la propria consorte, chi mi assicura che non ucciderà anche Ellie?

Vengo bruscamente distolto da queste riflessioni quando Tasha torna a casa. Mi dice che vuole fare una doccia, cambiarsi e poi andare da Emma. La giornata è trascorsa in una nube di confusione, e a un tratto mi accorgo che sta per succedere. I miei piani stanno davvero prendendo corpo. Di qui a qualche minuto, Tasha scenderà le scale, uscirà di casa e sarà l’ultima volta in cui la vedo, fin quando non dovrò identificare il cadavere sul tavolo di metallo di un obitorio.

Cammino avanti e indietro, passando tra momenti di panico e il tentativo di convincermi di aver fatto la scelta giusta, alla quale devo attenermi. Le ansie dell’ultimo minuto sono comprensibili.

Il tempo scorre veloce; Tasha entra nel soggiorno per salutarmi. Mi sforzo di comportarmi con naturalezza, di ricacciare in fondo alla mente tutti questi pensieri. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Quando sento scattare la serratura della porta di casa e poi il ticchettio dei tacchi sul viale, vengo assalito dal panico.

Corro in cucina e prendo il telefono. So che non è saggio usarlo, ma in questo momento non mi importa. Bisogna farlo. Compongo il numero e mi tremano le mani per lo sforzo di premere i pulsanti giusti. Dopo un tempo che pare eterno, parte la chiamata.

«Sì?», arriva poi la risposta.

«Geoff? C’è stato un cambio di programma», dico. «Puoi…».

Mi interrompe senza lasciarmi finire. «Ti avevo detto di non chiamare. È troppo rischioso», dichiara.

«Lo so, ma…».

«Niente ma», ribatte, interrompendomi di nuovo. Non mi lascia neppure il tempo di aggiungere una sola parola e chiude la telefonata. Impreco e lo richiamo. Mi risponde direttamente la segreteria. Ci riprovo, due, tre, quattro volte. Ha spento il telefono.

Salgo di corsa al piano di sopra e prendo un paio di scarpe, le infilo con forza e lego in fretta e furia i lacci. Ci metto il doppio del tempo, per quanto mi tremano le mani e le dita sono goffe. Scendo le scale due per volta ed esco di casa, sbattendomi la porta alle spalle. Devo arrestare questa cosa. Subito.

Arrivato in fondo al viale, vedo Derek che mette la spazzatura nel bidone. Si ferma quando mi fermo io, e ci guardiamo. Dopo qualche secondo lancio un’occhiata alla strada, in direzione di Jubilee Park. Non c’è traccia di Tasha.

Guardo di nuovo Derek. Che mi sta ancora fissando. In un raro momento di lucidità, mi rendo conto che devo restare qui. È il mio alibi.