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Nick

A svegliarmi, alla fine, è il fascio di luce solare che passa attraverso le tende e mi colpisce le palpebre come un raggio laser. Ho dormito come un sasso. È stupefacente come il cervello riesca a trovare pace quando hai preso una decisione.

Sento come degli scrosci d’acqua venire dal bagno e allo stesso tempo mi accorgo che il rumore arriva dall’alto. Mi metto seduto e avverto un certo indolenzimento al collo e lungo le spalle. Sono sul divano. Mi alzo lentamente e mi trascino ancora intontito su per le scale, quindi vado verso la stanza da letto, appoggio l’orecchio alla porta del bagno e busso piano con una nocca.

«Sei qui, Tash?»

«Sì», risponde lei, e la voce riecheggia tra le piastrelle.

Un attimo di silenzio. «Stai facendo il bagno?», chiedo.

«Pensavo mi aiutasse a rilassarmi».

«Giusto. Ottima idea. Ti dispiace se entro a lavarmi i denti?», dico, la mente ancora tutta concentrata sulla decisione alla quale sono giunto ieri sera.

«Non ho chiuso a chiave», risponde mia moglie.

La maniglia cigola un po’ quando la spingo verso il basso e apro la porta. Il vapore e il profumo del bagnoschiuma mi colpiscono dritto in faccia.

La guardo. Ha gli occhi chiusi e sembra che si stia davvero rilassando per la prima volta da chissà quanto tempo. La conosco, però, non è il tipo di donna che perdona facilmente. Il modo migliore per gestirla è tornare gradualmente alla normalità.

«Starai qui ancora per molto?», domando, e intanto prendo lo spazzolino e ci spremo sopra un grosso verme di dentifricio.

«Ne ho bisogno. Non posso più starmene seduta a pensare a quello che è successo a Ellie e a preoccuparmi per te. Altrimenti finisce che mi ammalo di nuovo».

È la prima volta da diversi anni che Tasha fa un’allusione al suo esaurimento nervoso. L’ultima volta in cui ne abbiamo parlato è stata quando ha deciso di andare a lavorare a Londra, e io temevo che quel tipo di stress potesse causarle una nuova crisi. Lei mi assicurò che non sarebbe andata così, e che se anche fosse successo allora si sarebbe licenziata all’istante. Finora, ha avuto ragione.

Voglio dire, fino a poco fa – prima della scomparsa di Ellie – ha dovuto affrontare delle grandi tensioni, vista l’imminente fusione aziendale, ma mi sembrava che se la stesse cavando egregiamente. Eppure, non si può mai essere certi di quello che succede nella mente umana. Da quando ha avuto quella grande crisi, non so più se conosco davvero mia moglie. Vedere una persona che crolla in maniera così eclatante, e senza una ragione apparente, può farti seriamente dubitare delle tue capacità di giudizio.

Un pensiero mi si affaccia nella testa, ma lo respingo in tutta fretta. Cominciò tutto più o meno quando ci dissero che la fecondazione non aveva dato risultati e che le nostre probabilità di avere figli erano davvero scarse. Tasha provò a fare buon viso a cattivo gioco, ma io lo vedevo che in realtà stava morendo dentro. Si sforzò di seppellire tutto sotto una montagna di lavoro – il suo solito modo di tener chiuso fuori il mondo – ma persino Tasha, la donna dal cuore di pietra, non poté fingere a lungo che andasse tutto bene.

Accadde un giovedì. Lo ricordo bene. Ero al piano di sopra, nello studio, a scrivere. Mi viene meglio alle prime ore del mattino, quando la mente è ancora fresca. È praticamente l’unica cosa che riesco a fare durante il mattino, o quanto meno durante quello che per me è il mattino. Quello che Tasha considera mattino per me è in realtà notte fonda. Sentii il rumore familiare di mia moglie che apriva la porta di casa, poi quello della porta che veniva chiusa. Come ogni altro giorno. Pochi minuti dopo scesi giù per prendere una tazza di caffè e trovai Tasha rannicchiata sul pavimento della cucina. Aveva aperto la porta per andare a lavorare, ma non era stata in grado di affrontare il mondo esterno. Alla fine la realtà aveva avuto la meglio, e lei si era resa conto di non riuscire più a tenersi tutto dentro.

Non l’avevo mai vista in quelle condizioni. Di solito ha una personalità così forte da oltrepassare facilmente il limite e finire per calpestare i sentimenti altrui. Fu un duro colpo per me trovarla in quello stato. Io in realtà le avrei suggerito di farsi seguire da qualcuno ben da prima. Avevo già notato i primi segnali allarmanti ma davo per scontato che l’avrebbe gestita a modo suo, come fa sempre. E se le avessi detto qualcosa al riguardo, mi avrebbe mangiato la faccia. Credo che fu un bene, per lei, rendersi conto alla fine che aveva bisogno di aiuto.

Per un po’ seguì una cura a base di farmaci. Antidepressivi, o tranquillanti, qualcosa del genere. Era strano vederla così mogia, così apatica. Sembrava quasi che nulla di quello che dicevo riuscisse a smuoverla. In effetti era abbastanza inquietante. Le permetteva di gestire le difficoltà della vita, ma non era più la stessa persona. Quando poi scoprì di essere incinta di Ellie aveva già cominciato a ridurre le dosi, ma a quel punto smise di prendere qualsiasi medicinale.

Fu in realtà strano scoprire che saremmo diventati genitori. All’inizio quasi non riuscivamo a crederci, ma poi ci ripromettemmo di fare di tutto affinché nostro figlio fosse sano e felice. Evitammo ogni forma di rischio. A parte Tasha che continuò ad andare a lavorare – malgrado le avessi già detto che non ero d’accordo – tutto pareva procedere a meraviglia. La gravidanza era anzi quello che ci teneva insieme. Poi lei cominciò a cambiare.

«Hai avuto notizie, stamattina?», le chiedo, prima di sciacquarmi la bocca.

«Non ancora. Hanno detto che chiameranno loro se ci sono novità. Noi non possiamo fare altro che aspettare. E io mi sento di impazzire a starmene seduta a fissare le pareti. Ho bisogno di trovare un minimo di quiete. Mi faresti un favore? Collega la radio del comodino alla prolunga e portala qui, ti va? Un po’ di musica mi farebbe bene. Devo zittire il frastuono che ho nel cervello».

«E se poi suona il telefono lo senti?».

Lei mi guarda come se fossi appena sbarcato da un altro pianeta. «Comunque non potrei rispondere dal bagno, non trovi? Speravo che almeno di questo potessi occuparti tu». L’espressione è scherzosa, ma dubito che lo siano anche le intenzioni.

Dopo aver sciolto il groviglio di cavi dietro il comodino, porto la radio in bagno e la appoggio sul bordo del lavello. Resto per un attimo paralizzato quando mi accorgo dell’occasione che mi si presenta.

Uno dei tanti motivi per i quali Tasha mi ha sempre assillato è la necessità di rifare l’impianto elettrico della casa. Più di un anno fa è venuto un tecnico per aggiungere una nuova doppia presa in cucina. E in quell’occasione ci ha fatto notare che qui l’impianto è datato, non ha una vera e propria messa a terra e la scatola dei fusibili non monta un dispositivo salvavita, di quelli che arrestano il circuito e ti impediscono di prendere una scossa elettrica in caso di malfunzionamenti. Non che sia un grave problema di per sé, ma bisogna occuparsene, poco ma sicuro. Per Tasha, però, la casa potrebbe prendere fuoco e finire ridotta in cenere da un momento all’altro, e lei passerebbe i due mesi successivi a tormentarmi perché avremmo dovuto rifare l’impianto, quasi fosse un lavoretto da niente che potrei svolgere io stesso in una mattinata, magari di sabato. Non ne capisco granché di queste faccende, ma sono sicuro che non sono così semplici.

Cerco di usare le mie scarse conoscenze di elettronica per capire qual è il voltaggio di una radio digitale. Un asciugacapelli nella vasca? Certo. Un termosifone elettrico, anche. Ma una radio digitale funzionerebbe lo stesso? Ho molti dubbi al riguardo, ma ho comunque davanti a me l’occasione di scoprirlo una volta per tutte.

Potrebbe rientrare nei miei piani per un delitto perfetto? Forse. Non è detto che finirei subito tra i sospettati, no? Dopo tutto, è difficile che qualcuno prepari una vasca da bagno, costringa la vittima a entrarci e ci lanci dentro un elettrodomestico senza incontrare la minima resistenza. Ha diversi punti deboli questo piano, ma la polizia dovrebbe impegnarsi un bel po’ per accusarmi di qualcosa. Sarebbe possibile scoprire quando la radio è stata staccata dalla parete dietro il comodino e collegata alla prolunga? L’orologio si regola in base a un ricevitore digitale, quindi per forza ci sarà un modo di risalire ai vari spostamenti. Potrebbero fare dei riscontri incrociati con la temperatura dell’acqua o il livello di grinze sulla pelle per capire che di sicuro non è stata lei a prendere la radio? Sembra un po’ tirata per i capelli.

Il risultato più probabile è che non accada granché: la radio si spegne e Tasha si becca al più una scossa leggerissima, come se avesse appoggiato la lingua su una pila. E a quel punto, come potrei spiegarle perché ho lanciato la radio nella vasca? Dovrebbe sembrare un incidente. Magari posso urtarla con un gomito o un’anca mentre mi sposto. Oppure, sporgendomi verso di lei per darle un bacio… ops! No. Troppo rischioso. Non devo assolutamente entrare in contatto con lei o con l’acqua se c’è anche la minima possibilità che si scateni una scossa da 240 volt. La fisica non è mai stata la mia materia preferita, ai tempi della scuola, e in questo momento mi rammarico di non aver seguito le lezioni con più attenzione.

Non posso andare avanti ancora a lungo a premermi l’asciugamano sul volto prima che Tasha si chieda perché sono ancora qui, a fissare la radio e l’acqua nella vasca. Se voglio agire, devo farlo adesso.

Dopo un lungo respiro, rimetto a posto l’asciugamano, a pochi centimetri dalla radio stessa. Lo piego accuratamente a metà, poi lo ripiego di nuovo su sé stesso e ci batto sopra col palmo della mano. Sto prendendo tempo, me ne rendo conto.

Mi giro e guardo Tasha, stesa nuda nella vasca da bagno, gli occhi chiusi, i capelli che fluttuano intorno al collo e al seno. Apre gli occhi e mi sorride.

«Mi dispiace. Io ti amo, Nick, lo sai, vero?», dice.

Deglutisco. A fatica. «Ti amo anche io».

Mi costringo a sorridere e vado via.