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Nick

Non ho voglia di starmene un altro giorno a rattristarmi in casa, mentre devo controllare se il mio annuncio nel deep web ha ottenuto risposte, quindi decido di tornare da Alan. La detective verrà a saperlo, in qualche modo, ma non credo che sarebbe così assurdo pensare che anche il peggiore degli asociali può cercare consolazione tra le braccia di un amico se gli rapiscono la figlia.

Arrivato a casa sua, scopro che ha lasciato il portatile sul tavolo in sala da pranzo. La cosa non mi sorprende; Alan è una persona affidabile e non credo faccia poi questo grande uso del tavolo, in ogni caso, a giudicare dalle lattine vuote e dalle confezioni di pasti precotti impilate sul bancone della cucina.

Apro il portatile e aspetto che si accenda prima di avviare Tor e collegarmi al sito. Sembra metterci un’eternità, ma so che si tratta solo di impazienza. Effettuo l’accesso e vedo che, accanto al mio nome utente, c’è (1). Immagino sia il numero delle risposte che ho ricevuto. Meglio di niente, penso. Clicco sul collegamento e sullo schermo compare un messaggio di testo.

Di quanto parliamo? Dipende dal tipo di spazzatura e dal modo in cui vuoi smaltirla. Se ne può discutere.

Evasivo, ma promettente. Seleziono il tasto di risposta e comincio a digitare.

Tremila. Non negoziabili. È letteralmente tutto quello che ho. Il metodo lo scegli tu, purché sia veloce. In seguito fornirò i dettagli, ma si tratta di un carico leggero.

Sembra assurdo che entrambi usiamo un linguaggio così criptico, considerando la segretezza e l’anonimato del deep web, ma non ho intenzione di lamentarmi. Per quel che posso vedere, al momento non è stato detto assolutamente nulla di incriminante. Certo, uno sbirro con appena un briciolo di buon senso capirebbe di cosa stiamo parlando, ma non c’è davvero nulla che potrebbe aver peso in un tribunale. Inoltre, per adesso l’anonimato mi sta garantendo tutta la sicurezza di cui ho bisogno.

Anche se, prima o poi, dovrò infrangerlo. Non appena dovrò specificare che il bersaglio è Tasha, il sicario potrà con ogni probabilità risalire alla mia identità. Posso comunque depistarlo, dicendogli che in realtà sono un suo nemico per questioni di affari. Non c’è nulla che possa condurre fino a me. Non se sto attento.

Resta comunque la paura profonda che questa persona non faccia sul serio. Chi mi assicura che non si prenderà le mie tremila sterline per poi semplicemente sparire? Come posso sapere che andrà fino in fondo? E se è un infiltrato della polizia?

Scaccio subito via l’ultimo pensiero. È impossibile. Sono stato io ad avviare questa transazione. Ma chi mi dice che la persona in questione è affidabile? Non so chi sia e non ho garanzie su quello che succederà, ma non mi restano altre scelte. Se voglio la certezza che mi darebbe Warren, mi costerà dodicimila sterline in più di quello che ho a disposizione. Inoltre, non è che posso firmare un cazzo di contratto legale con un sicario anonimo trovato online. Queste cose si basano tutte sulla fiducia. Per forza. Un patto tra gentiluomini. La sua parola deve bastare.

Il passaggio di denaro potrebbe essere un problema, quindi dovrò organizzare una qualche sorta di scambio segreto. Lascerò il contante nascosto in un contenitore, dove nessun altro può trovarlo, poi manderò un messaggio al sicario tramite il deep web. Fintanto che resto fuori dalla portata di ogni telecamera mentre effettuo la consegna e individuo un nascondiglio dove nessun altro possa trovare il denaro, dovrei essere a posto.

Nel tempo che ci metto a ragionare sulla questione, mi arriva la sua risposta. Il tizio è piuttosto solerte.

Tremila sono poca roba, ma potrebbe andare. Non sarà niente di elaborato, però. Bisogna trovare metodi a basso rischio. Fornisci identificativo del bersaglio e vedrò se è fattibile.

Cristo santo. Identificativo del bersaglio. Sembra quasi gergo militare. Immagino significhi che è una persona efficiente.

Mi rendo conto che probabilmente vorrà una foto di Tasha. E come posso fargliela arrivare? Non esiste modo di caricarla su un computer senza che sia tracciabile. Devo ragionarci con attenzione.

Mi appoggio allo schienale della sedia e cerco di riflettere. Comunque decida di farlo, deve sembrare naturale. Per quanto possa sembrare naturale la morte di una persona. Niente di ovvio come un colpo di arma da fuoco, ma d’altronde anche inscenare un suicidio è rischioso. No, deve passare per un incidente.

Ricordo l’idea che ho avuto qualche tempo fa. Una rapina finita male? Tasha è così assurdamente ostinata che se qualcuno provasse a rapinarla, a rubarle la borsetta, di sicuro tenterebbe di discuterci o di reagire, finendo per farsi davvero male o peggio. O peggio.

Ma dove? Esce di rado senza di me, e di sicuro io non devo essere neanche nei paraggi quando succede, visto che mi servirà un alibi. Deve accadere in un luogo non troppo affollato e magari non in pieno giorno. Per mia fortuna, Tasha è piuttosto avventata, e non è il tipo di persona da scegliere un itinerario più lungo pur di restare sulle strade principali.

Ripenso all’incontro con Mark al Jubilee Park. Di notte in quel parco non ci va quasi nessuno, anche se resta sempre aperto. E mia moglie ha un’amica, Emma, che abita dall’altra parte del Jubilee. Tasha avrebbe bisogno – e lo farebbe di sicuro – di attraversare il parco per arrivare a casa sua. Tuttavia, preferirei davvero evitare di coinvolgere Emma, se posso. Non mi sorride l’idea di passare troppo tempo con quella donna, ma Tasha è riuscita ad alienarsi sistematicamente tutti gli altri suoi amici. Neanche Cristina e Leanne nutrono più tutto questo affetto per lei. Senza quasi rendermene conto, tiro fuori il telefono dalla tasca e chiamo Emma.

«Nick, che piacere sentirti», risponde. Una bugia bella e buona. Da anni si comporta in modo strano, con me. «Come va? Voglio dire, a parte tutto. Ci sono notizie?»

«No, nessuna. Non ci resta che aspettare. Non possiamo fare altro. È questa la parte più difficile», aggiungo. Un po’ di compassione non guasta. «E cominciamo anche a patirne, se devo dirla tutta. Tasha continua a ripetere che sta bene, ma io la conosco. Soffre quanto e più di me. È per questo che ti ho chiamata, in realtà. Lei non lo ammetterà mai, ma credo abbia bisogno di un’amica».

«Davvero?»

«Già. Non dirle che te ne ho parlato, però. Lo sai com’è fatta». Ridacchio, nel tentativo di alleggerire l’atmosfera. «Pensavo che magari potresti telefonarle e invitarla a casa tua domani sera, credo che le farebbe un gran bene. Si distrae un po’, trova un minimo sostegno, cambia aria, cose del genere. Magari vi riunite tra voi ragazze e provate a farla rilassare».

C’è una pausa, prima della sua risposta. «Già, certo», dice poi. «Farò quello che posso. Deve essere dura, per voi, non poter fare altro che aspettare notizie. Vi sentirete impotenti».

«Proprio così», rispondo.

«Non temere, la chiamo subito». Di nuovo si prende una pausa prima di parlare. «E tu come stai, Nick?»

«Sono stato meglio», dico, cercando di sminuire il problema. «Ah, Emma? Potresti farmi un grandissimo favore?».

Ancora una pausa, poi la risposta. «Ma certo. Di che si stratta?»

«Non dire a nessuno che te l’ho suggerito io. Soprattutto non a Tasha. Sai come reagisce se pensa che qualcuno la sta trattando da debole».

Quasi riesco a vedere il sorriso di Emma all’altro capo della linea. «Ma certo».

Una volta finiti i convenevoli e i saluti, mi rimetto in tasca il cellulare e mi rendo conto di quanto in fretta sta andando avanti questa storia. Clicco di nuovo il pulsante di risposta nel sito del deep web e aggiorno lo sconosciuto.

Sarà domani sera, al Jubilee Park. Deve sembrare un incidente. Il pagamento a quel punto sarà disponibile. A breve la descrizione.

Sento Alan che trascina i piedi al piano di sopra, e mi ritrovo a lanciare uno strillo. So che devo restare calmo. Non mi conviene agitarmi così.

Pochi istanti dopo, sul portatile arriva un altro messaggio.

Uno scarso preavviso. Serve contatto più ravvicinato. Procurati un telefono usa e getta. 07700919663. Geoff.

Geoff. Si chiama davvero così? Immagino di no.

Magari lui ce l’ha un telefono usa e getta, io di sicuro no. I numeri privati sono tracciabili dalla polizia, in caso di necessità? Non lo so, ma non posso rischiare. Dovrò usare un telefono pubblico, meglio se lontano da qualsiasi telecamera a circuito chiuso. Non saprei dove procurarmi un cellulare usa e getta, e mi pare di ricordare che ormai anche per una scheda prepagata bisogna fornire nome e indirizzo. La cabina telefonica mi sembra l’unica possibile alternativa.

Decido che devo tornare a casa e stare con Tash. Quando le arriverà l’invito di Emma, mi dirà a che ora uscirà di casa, così potrò chiamare Geoff per aggiornarlo.

Ho intenzione di lasciare il denaro in un borsone, nascosto tra gli alberi fuori dalla città. C’è un boschetto dalle parti di Huish Farm, che è piuttosto fitto, col terreno coperto di foglie secche. Ci vado abbastanza spesso, quando ho bisogno di schiarirmi la mente per affrontare uno snodo significativo nella trama di un mio libro. Di tanto in tanto io e Tasha portiamo Ellie a passeggio da quelle parti se c’è bel tempo, ma è raro. In passato succedeva più di frequente, ma poi mi sono ritrovato a camminare nei boschi da solo sempre più spesso. La storia della mia vita.

Se nascondo la sacca tra il fogliame del sottobosco, potrà restare lì per qualche ora o un giorno o due. In effetti, potrebbero passare mesi senza che nessuno la trovi. A parte gli sporadici proprietari di cani, non è esattamente una via di grande traffico.

Mi rialzo e mi prendo un momento per riflettere. Sta diventando tutto reale. Architetto piani e identifico nascondigli, percorsi, scuse. La cosa un po’ mi spaventa. Per certi versi è fin troppo concreto, troppo intenso. E a questo punto mi rendo conto che dovrò davvero andare fino in fondo.

All’improvviso, sta succedendo tutto molto in fretta.