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Nick

Nessun problema. Sta giocando. Sta giocando a nascondino. Tutto qua.

Mi racconto tutte le bugie che riesco a inventare mentre mi guardo freneticamente intorno, cercando in strada una qualche sua traccia. Sono stato in casa solo per… quanto? Trenta secondi? Un minuto? Non può essere andata lontano.

Arrivo in fondo al viale e giro a sinistra, chiamandola a gran voce mentre corro sul marciapiede. Un tizio su una scala, intento a pulire una finestra sulla strada di fronte, si gira a guardarmi.

«Ha visto mia figlia?», gli chiedo urlando. «Era qui un minuto fa».

L’uomo scuote il capo e torna alla sua lurida finestra.

Torno di gran carriera verso la casa, la supero e continuo a gridare il nome di Ellie. Senza risultati.

Sono di nuovo nel viale, giro intorno alla macchina, guardo tra i cespugli – ovunque mi venga in mente – di sicuro non può essere arrivata da sola in fondo alla strada, quindi deve essere ancora qui nei paraggi.

«Ellie, non è divertente. Vieni fuori, adesso», latro, cercando di convincermi che sia davvero qui vicino e che mi stia facendo uno scherzo piuttosto crudele. Poi mi rendo conto di cosa ho pensato pochi istanti fa.

Non può essere arrivata da sola in fondo alla strada, quindi deve essere ancora qui nei paraggi.

Non può essere arrivata da sola in fondo alla strada.

Da sola.

Se è sparita, è perché l’ha presa qualcuno.

Non so più che fare. Mi rovisto nelle tasche dei pantaloni e tiro fuori il cellulare, ma mi servono tre tentativi per inserire la password, da quanto mi tremano le mani e le dita.

Premo l’icona del telefono verde e per prima cosa mi chiedo che numero dovrei comporre. So che voglio chiamare la polizia, ma bisogna fare il 999 anche da un cellulare? C’è un numero apposito? Non ricordo qual è. Di sicuro il 999 funzionerà lo stesso. O dovrei usare l’altro numero, quello non riservato alle emergenze? Non ricordo neanche quale sia, e poi per quanto mi riguarda questa è un’emergenza eccome. Faccio l’unica cosa che posso fare, e compongo il 999.

L’operatrice risponde molto rapidamente, e io le dico che voglio parlare con la polizia. La chiamata viene inoltrata in un paio di secondi, e prima ancora di poter mettere ordine tra i pensieri mi ritrovo a farfugliare su mia figlia che è scomparsa, qualcuno che l’ha rapita e fin troppi dettagli sul suo ritratto della signorina Williams.

L’uomo all’altro capo della linea fa del suo meglio per calmarmi con una serie di domande molto pragmatiche.

«Da quanto tempo è scomparsa?», mi chiede.

Guardo l’orologio. Non lo so. Sembrano ore, settimane, anni, ma sarà passata tutt’al più una manciata di minuti. Non so neanche a che ora siamo saliti in macchina. In questo preciso momento, ricordo a malapena come mi chiamo.

«Non lo so. Da poco. Ma non era mai successo prima. L’ho lasciata da sola per trenta secondi. L’ho cercata. Non lo so».

Mi accorgo che non riesco a trattenere le lacrime.

«E dice di averla vista per l’ultima volta fuori dalla sua abitazione? Ha cercato in strada e parlato coi vicini per appurare se hanno visto qualcosa?»

«L’ho cercata. E ho chiesto al tizio sulla scala. Non riesco a trovarla. Non è da nessuna parte. La prego, mi aiuti. Venite qui e trovate la mia bambina».

«Quanti anni ha sua figlia?», mi chiede lui.

«Cinque. Doveva essere a scuola», rispondo, col cervello che si rifugia nella sicurezza delle beghe organizzative. «Adesso farà tardi».

«Cerchi di non preoccuparsi troppo», dice l’agente, e il suo tentativo di sembrare rassicurante arriva invece come una forma di condiscendenza. «Quasi tutti i bambini tornano subito a casa. Di solito si tratta solo di un fraintendimento. Ha parenti o amici dalle sue parti che potrebbero aiutarla nelle ricerche?»

«No, non ce li ho. Per favore, la prego, venga qui e mi aiuti lei. Io… io credo che l’abbiano rapita».

Dall’altro capo della linea mi arriva quello che sembra il rumore del tasto di un mouse oppure uno schiocco della lingua contro il palato.

«Conosce qualcuno che potrebbe aver rapito sua figlia, signore?»

«Io non… non lo so. Ma l’ho cercata ovunque. Non c’è. Non è possibile che sia rientrata in casa. Ero lì. Ho guardato in giardino, e da qui non si può accedere al cortile sul retro. Ho controllato dappertutto in strada. Non c’è!».

«Va bene, signore, non si faccia prendere dal panico», dice il poliziotto, cosa che mi fa agitare ancora di più. «Potrebbe essersi spinta oltre la strada di casa sua mentre eravate separati?»

«No», rispondo, con fermezza. «Decisamente no. È impossibile».

Per alcuni secondi l’uomo resta in silenzio, ma a me pare che passino ore prima che lui riprenda a parlare.

«Ora manderò lì da lei alcuni agenti del posto. Nel frattempo, potrebbe bussare alla porta dei suoi vicini e chiedere di poter controllare nelle loro case e nei giardini? È possibile che la piccola sia finita nella proprietà di qualcun altro senza neanche accorgersene».

«Lo farò», dico. «Grazie».

Devo avvertire Tasha. Seleziono il suo nome dalla mia lista dei “preferiti”, e dopo un’eternità parte la chiamata.

«Che c’è tesoro? Sto per entrare in ufficio», risponde lei, senza darmi tempo di parlare e senza neanche salutarmi.

«Ellie è scomparsa», dico.

«Scomparsa?»

«Già. Scomparsa. Sono andato a prendere una cosa per lei, e quando sono tornato non c’era più. Sta per arrivare la polizia, ma…».

«Che stai dicendo? È uscita di casa?»

«No, era in macchina. Io sono…».

«L’hai lasciata in macchina?», mi chiede, con la voce che sale di tono e di volume.

«Per dieci secondi. Al massimo. Sono solo andato a prendere una cosa. Poi sono tornato e lei era sparita. L’ho cercata dappertutto, e la polizia…».

«Cristo santo, Nick».

È tutto quello che ha da dire. Geniale.

«Torni a casa?», le chiedo.

«Che scelta ho?», ribatte lei. «E sono appena arrivata. Lo sapevi che oggi avevo un incontro con la Maxxon. Perché fai sempre così?», chiede, e poi chiude la telefonata.