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Tasha

L’effetto migliore dei farmaci è che mi permettono di dormire, sia anche solo per un paio d’ore. La scorsa notte, però, non credo di esserci riuscita. Sono rimasta sveglia a letto per gran parte della notte, a pensare a quello che Nick ha raccontato a me e alla polizia riguardo alla sua ex fidanzata. So che adesso non beve e non si mette più in nessuna situazione a rischio perché sostiene di averlo fatto fin troppo spesso quando era giovane, ma neanche io avevo il minimo sospetto di un suo crimine passato.

Mi spaventa sapere che è stato capace di una cosa del genere. Pensare che potrebbe semplicemente succedere di nuovo, senza che poi se ne parli mai più. Chi mi assicura che non si ripeterà? Chi mi dice che non è già successo e di recente?

La parte peggiore è che non me ne ha mai parlato. Ho sempre creduto che ci saremmo detti ogni cosa. A ben pensarci, riconosco che con ogni probabilità ci sono cose che non gli ho raccontato, ma niente del genere. E quando mi ha costretta a starmene lì seduta e ascoltarlo mentre mi confessava tutto per la prima volta, davanti alla polizia, umiliandomi e facendomi fare la figura della stupida… che gli è passato per la testa? Se c’è una cosa che non sopporto sono le bugie, e comincio a chiedermi quali altre cose mi ha tenuto nascoste. Se è riuscito a serbare un segreto di questa portata tanto a lungo, come faccio a sapere che non ce ne sono altri?

Il problema, con Nick, è che si tiene sempre tutto dentro. Non prova mai ad affrontare i problemi, le difficoltà, e proietta invece tutto sugli altri. Se a questo si aggiunge il fatto che è capace di tener nascosti dei grandi segreti del suo passato, ecco che non sono più sicura di conoscere davvero mio marito.

Per ogni singolo minuto, da quando è successo, mi sono tormentata per cercare di capire chi poteva aver rapito Ellie. All’inizio speravo che se ne fosse semplicemente andata in giro chissà dove, magari nel tentativo di arrivare a scuola per conto suo. A questo punto, però, qualcuno l’avrebbe già trovata, portata in casa e avvisato le forze dell’ordine. Una volta passato il primo giorno, stando alla polizia, le possibilità sono due: o qualcuno l’ha rapita e la tiene chissà dove, o le è successo qualcosa di orribile e non è stato ancora rinvenuto il suo corpicino. Ogni fibra del mio essere spera nella prima possibilità, ma questo significa che qualcuno ha deciso di catturarla, il che mi riporta alla solita domanda: perché?

E so di non avere la risposta. Il cervello non mi permette di ipotizzare nessuna reale possibilità in questo momento. Fatico a mettere insieme pensieri coerenti. La mancanza di sonno peggiora le cose, e mi fa male la testa per quanto mi sento frustrata e disperata. Mi sembra di fare qualcosa di orribile anche solo se provo a dormire, sapendo che dovrei essere fuori, in strada, a cercare la mia bambina. La polizia mi ha sconsigliato di farlo, spiegandomi che dobbiamo lasciare che se ne occupino gli esperti, ma è più facile a dirsi che a farsi.

Il cervello quasi torna alla sua consueta attività di logica e organizzazione, e così decido che farò quello che faccio di solito quando devo provare a rilassarmi. La polizia ci ha raccomandato di ritrovare una qualche parvenza di normalità, di impegnarci per non perdere il senno, e quando ho bisogno di rilassarmi e calmarmi io faccio il bagno. Di nuovo, mi sembra orribile già solo il fatto che ci sto pensando, ma in realtà a quest’ora del mattino non c’è molto altro che io possa fare. TV, radio e giornali saranno pieni di esempi di persone che vanno avanti con la loro vita normale di ogni giorno, oppure trasmetteranno la notizia della scomparsa di Ellie. La polizia ha fornito alcune informazioni alla stampa locale affinché la gente tenga gli occhi aperti, ma non sono sicura che servirà a qualcosa. Che cazzo, se qualcuno trova una bimba di cinque anni che vaga in strada da sola, chiamerà la polizia anche se alla radio non gli hanno suggerito di farlo.

Devo restare aggrappata agli ultimi scampoli della mia razionalità. Faccio scivolare le gambe giù dal letto e mi avvio verso il bagno adiacente. Mi chiudo silenziosamente la porta alle spalle e mi sporgo verso la vasca, apro i rubinetti, lascio che salga il vapore e lo aspiro. Se riesco a lasciarmi tutto alle spalle per qualche minuto, a fingere che non sia successo niente, so che forse potrò conservare un appiglio con la realtà. Perché se crollo adesso, non credo che riuscirò mai a rialzarmi.