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29 dicembre 1976

Aveva quindici anni ed era rientrato a casa per le vacanze di Natale dal collegio che odiava a morte, i Cloisters, a Godalming, nel Surrey. Tutti dicevano che era una bella scuola in un posto favoloso e che non esisteva di meglio se volevi diventare un giocatore di cricket. In cima a una collina, il terreno asciugava in fretta lasciando il wicket in buone condizioni anche dopo piogge torrenziali. E la lista dei giocatori di cricket leggendari tra gli ex alunni era già di suo una hall of fame.

Peccato che il cricket non gli piacesse, né qualsiasi altro sport con la palla. L’unico che gli interessava non era incluso nel programma di studi: la speleologia. E poi gli interessavano le grotte e qualunque genere di tunnel.

Ecco perché lo chiamavano Talpa.

Lui non piaceva davvero a nessuno, gli altri lo trovavano inquietante e presuntuoso. Si vantava della ricchezza dei suoi genitori, delle loro auto vistose, della piscina a forma di cuore, dello yacht gigantesco. E per questo motivo piaceva ancora meno. Neanche agli insegnanti piaceva. Non aveva amici. In realtà, ci era abituato perché non ne aveva mai avuti, di amici veri, e la cosa non lo turbava affatto. Aveva i suoi amici immaginari, che erano molto più divertenti.

Il giorno di San Valentino, però, aveva ricevuto un bigliettino anonimo molto affettuoso da parte di un’ammiratrice segreta, e lui l’aveva orgogliosamente mostrato a tutti a scuola, anche se non aveva ancora capito chi gliel’avesse inviato. Ho una ragazza, visto?

Era saltato fuori che il gruppo di ragazzi che gli dava il tormento di continuo gliel’aveva mandato per fargli uno scherzo. Lo avevano preso in giro per giorni, cantilenando ogni volta che lo vedevano. Talpa ha una fidanzata, Talpa ha una fidanzata, Talpa ha una fidanzata.

Ma le prese in giro per quel biglietto non erano state nulla in confronto alla notte in cui, qualche tempo dopo, gli si erano avvicinati di soppiatto, gli avevano strappato le coperte dal letto e l’avevano sorpreso a masturbarsi con una torcia in bocca e una copia di Playboy nella mano sinistra.

Quello lo aveva ferito molto. Moltissimo.

Era deciso a fargliela pagare. Le cose sarebbero andate diversamente l’anno successivo. Aveva una ragazza per le vacanze di Natale, be’, una specie, non proprio lo standard dei Cloisters, tutta gente di alto livello, ma aveva le tette grosse. O, almeno, sembravano piuttosto grosse sotto la camicetta. Quando guardava in giù e le sbirciava il seno, riusciva quasi a vederle i capezzoli. Se li immaginava rossi, turgidi e voluttuosi. Quel pensiero glielo faceva venire duro. Aveva dovuto mettersi la mano in tasca mentre camminava insieme a Mandy White verso i laghetti di Hove Lagoon, per evitare che si vedesse il gonfiore. Non che dovesse preoccuparsi: Mandy ci stava, ne era sicuro. Sua madre faceva le pulizie dai suoi. Mandy era solo una puttana da due soldi con le tette grosse.

Ma nessuno ai Cloisters l’avrebbe mai saputo.

Erano stati a lezione di ballo da sala da Marjorie Bentley qualche giorno prima, vicino alla stazione di Hove. Avevano ballato stretti, con il suo coso duro premuto contro di lei. Mandy gli aveva sussurrato all’orecchio che le sarebbe piaciuto fargli un pompino, ma la madre di lui lo stava aspettando fuori per ricondurlo a casa.

Quella sera era diverso. Lui l’aveva portata in un pub vicino al lungomare di Hove per offrirle qualcosa da bere, e c’era riuscito perché sembrava più vecchio della sua età. Poi le aveva proposto di accompagnarla a casa a piedi. Lei viveva di fronte al porto di Shoreham. Era una serata di freddo pungente, la temperatura era sotto lo zero ormai da quindici giorni. Lui le offrì una sigaretta e passeggiarono fumando, il che lo fece sentire davvero adulto. E arrapato da impazzire. Pur avendo bevuto, però, lei sembrava stranamente distaccata e restia, non come quando avevano ballato.

Nonostante quella riluttanza, lui l’aveva convinta a lasciare la passeggiata e addentrarsi nell’oscurità del parco. Erano le dieci di sera e il posto era completamente deserto, c’erano solo i due laghetti ghiacciati e il debole bagliore dei lampioni che brillava sul ghiaccio nero come l’inchiostro. E poi c’erano le grosse tette di Mandy che prorompevano sporgenti dalla scollatura tonda sotto il cappotto, che erano lì solo per lui. L’erezione gli premeva insistentemente contro i pantaloni.

Mentre passeggiavano lungo il perimetro del laghetto più grande, lui si fermò all’improvviso, la tirò a sé e premette le labbra sulle sue.

Immediatamente lei girò la testa da un lato e lo spinse via in maniera decisa. «No!»

«È tutto a posto. Ho quei cosi. Sai, le protezioni», disse lui e chinò la testa, strusciando voracemente la faccia sul suo seno.

Lei gli rifilò una spinta così forte che per poco non lo fece cadere all’indietro sul ghiaccio. «Voglio andare a casa.»

Lui l’afferrò per un braccio. «Hai detto che volevi farmi un pompino la settimana scorsa, prima di Natale, alla lezione di ballo!»

«Sì, be’, non avevi foruncoli su tutta la faccia, però. E poi non puzzavi di dopobarba!» Si divincolò e iniziò ad allontanarsi di buon passo.

L’acne che gli era esplosa in faccia negli ultimi giorni l’aveva messo seriamente in imbarazzo. Alcune pustole erano grosse, livide, e lui aveva fatto il possibile per mascherarle con il Clearasil. Per l’appuntamento di quella sera si era anche cosparso di dopobarba Brut. L’aveva visto fare in una pubblicità in televisione, dove alle donne piaceva da impazzire.

«Maledetta rizzacazzi!» Le corse dietro e la riacciuffò.

«Mollami!» disse lei, a voce più alta.

Cercò di baciarla di nuovo, ma lei gli rifilò una ginocchiata all’inguine.

«Ahhhiii!» ululò, senza fiato.

La ragazza cominciò a correre.

Lui la inseguì e l’agguantò per la cintura del cappotto.

«Mollami, schifoso pervertito brufoloso!»

«Allora solo una sega!»

«Bleah, che schifo!»

La cinse con le braccia e cercò di stringerla forte a sé. Lei fece per allontanarsi e in quel momento lui incespicò, perdendo l’equilibrio. Caddero insieme sul fianco sinistro, stretti l’uno all’altra, frantumando il sottile strato di ghiaccio del laghetto e finendo nelle acque gelide.

«Aiuto, polizia! Mi violenta! Polizia!» gridò Mandy.

Lui le spinse la testa sott’acqua, gridando per la rabbia e la paura. «Zitta, stronza! Maledetta figa di legno!»

La sentì che lottava sotto di lui nell’acqua bassa, che scalciava con braccia e gambe, ma lui le teneva la testa giù con entrambe le mani premute contro la fronte. La ragazza si agitava come impazzita e lui continuava a tenerla sott’acqua, perdendo sempre più energie per lo sforzo.

Continuò a fare pressione, tenendole la testa giù, invisibile nell’oscurità nera come la pece.

A poco a poco lei smise di lottare, finché non rimase ferma, inerte. Lui stette lì, tremante, le mani che perdevano sensibilità e poi, sempre più in fretta, tutto il resto del corpo che s’intorpidiva, i pensieri in fermento.

Infine, quando fu certo che fosse rimasta sott’acqua a sufficienza, tornò sul terreno asciutto, attraversò il prato di corsa e si precipitò su per gli scalini della passeggiata. Lì, bagnato fradicio, agitando le braccia come un forsennato, corse in strada gridando: «Aiutatemi, vi prego, aiutatemi! Oh, Dio, qualcuno mi aiuti, per favore!»

Accostò un’auto di passaggio.

Lui corse al finestrino del conducente. «Grazie», disse. «Grazie. La prego, mi aiuti.»

Il segno della morte
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