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Domenica 21 dicembre

Il congelatore era solamente un guscio. Tutti i cesti interni erano stati rimossi e sul fondo c’era solo una sottile lamiera arrugginita. Grace si sporse all’interno del congelatore, infilò le dita sotto un bordo della lamiera rugginosa, la sollevò e subito sentì una raffica di aria umida e fredda.

Saliva da un pozzo profondo, che il congelatore teneva nascosto.

Accese la torcia e puntò la luce verso il basso, ma tutto quel che vide nel buio fu il condotto verticale scavato nella terra e alcuni pioli metallici che sparivano in un oscuro vuoto. Non riuscì a vedere la fine del pozzo, né a stimarne la profondità.

Arretrò per consentire a Branson e Batchelor di dare un’occhiata, avvertendoli di fare attenzione. Entrambi si fecero avanti.

«Porco mondo!» proruppe Batchelor. «Porco mondo, questo tizio è un pazzo furioso.»

«Purtroppo, però, è molto furbo», commentò Grace.

«Che cos’è?» chiese Branson.

«La via di fuga di Crisp. Ci credo che la squadra di sorveglianza non l’ha visto.»

«Scendiamo noi a controllare, signore», disse l’ispettore della squadra di supporto.

Grace scosse la testa. «Vado io per primo, è una faccenda personale», disse, anche se soffriva di vertigini. Strinse la torcia fra i denti, s’infilò nel congelatore e posò il piede destro sul primo piolo.

«Capo, bisogna tenere sempre tre arti su ogni piolo», suggerì Martin. «Noi siamo dietro.»

Grace cominciò a scendere, seguito dall’agente Gregory Martis e da Glenn Branson. Gli altri rimasero su, in attesa di istruzioni. Scese con tutta la velocità che riuscì a osare, facendo quello che gli aveva detto l’ispettore e che lui stesso aveva imparato qualche anno prima a un corso di addestramento sulle operazioni in quota. Continuò per quella che gli sembrò un’eternità, le braccia sempre più stanche.

«Si vede il fondo, capo?» chiese Batchelor dall’alto.

«Per ora no.»

«Hai mai visto il film Viaggio al centro della terra?» urlò Branson.

«Credo che sbucheremo in Australia, dannazione!» ribatté Grace e in quel mentre il piede destro toccò qualcosa di solido. Il fondo. Abbassò anche il piede sinistro, controllando prudentemente con la torcia. Era in piedi su un pavimento di cemento in uno spazio chiuso. Si girò, proiettando la luce tutt’intorno, e vide che alle sue spalle si apriva una galleria, retta da rudimentali supporti in legno simili per dimensioni e spessore alle traversine ferroviarie. Era più bassa di quella che collegava la cantina della casa di Crisp al luogo in cui c’erano i tre uomini senza arti, e il pavimento era in cemento, invece di essere rivestito di canapa grezza.

Grace chiamò gli altri in cima. «Siamo sul fondo, stiamo per entrare in una piccola galleria.»

S’inginocchiò e iniziò a camminare carponi, seguito dagli altri due. Dopo alcuni minuti, vide davanti a sé alcune deboli strisce di luce che diventavano sempre più brillanti a mano a mano che procedeva. Un po’ dubbioso, guardò i montanti che sostenevano la galleria. Uno sulla sinistra presentava grosse fenditure e un altro sulla destra era di una quindicina di centimetri più corto del dovuto. Alcune travi orizzontali somigliavano più ad assi di legno inchiodate insieme. Ed erano tutto quello che sosteneva la volta. Proprio come la precedente, quella dannata galleria non sembrava affatto opera di un professionista e decisamente non infondeva sicurezza.

Era una follia, non avrebbe dovuto trovarsi là sotto, Grace lo sapeva. E non avrebbe dovuto permettere ad altri di seguirlo. Ma se c’era una possibilità, anche remota, di trovare Crisp in quel luogo, allora non gli importava d’altro.

Percorsa una breve distanza, giunse a una botola di legno nel pavimento, dai cui bordi filtrava una debole luce. Grace stava sudando molto. Si voltò per fare cenno agli altri due poliziotti di fare piano, poi cominciò a sollevare la botola, un centimetro alla volta, sbirciando dentro.

E sentì una scarica di adrenalina.

Proprio sotto di lui, ai piedi di una scala in acciaio, si apriva una stanzetta scavata nella terra, ben illuminata. Era arredata con cuscini, televisore, frigorifero, forno a microonde e lavandino. Adagiato sui cuscini, con un bicchiere da cocktail in mano, vestito con camicia, cardigan, jeans e mocassini, c’era il dottor Edward Crisp. Annuiva gioioso, agitando la mano come se stesse dirigendo un’orchestra, e sembrava incurante di tutto il resto. Ovviamente, non aspettava visitatori.

Grace aveva i nervi tesi. Stentava a credere ai suoi occhi, alla fortuna che stava avendo. Ti ho beccato! Ti ho beccato, bastardo, piccolo stronzo assassino. Senza fare rumore, richiuse la botola, con le mani che tremavano.

Era quello l’astuto piano di Crisp? Fargli credere di essere fuggito e restarsene invece nascosto, in attesa che si calmassero le acque, per poi sgattaiolare via in silenzio?

Anni prima, quando Grace era ancora un giovane poliziotto in prova, prima di unirsi al dipartimento d’investigazione criminale, era intervenuto sulla scena di numerose effrazioni. E aveva imparato che un tipico stratagemma dei rapinatori appena scappati dallo stabile in cui era intervenuta la polizia consisteva nel camminare con noncuranza verso di loro, nella convinzione che le forze dell’ordine avrebbero cercato solo qualcuno che correva nella direzione opposta. Era per quello che Crisp era ancora lì? Pensava che, dopo aver perquisito accuratamente le due proprietà, gli agenti non avrebbero mai sospettato che lui si fosse rintanato proprio sotto il loro naso?

C’era un altro tunnel in cui Crisp avrebbe potuto tentare la fuga una volta che Grace e gli altri fossero scesi dalla botola? Che ci provi, pensò Grace. Contro la mia squadra addestrata non avrebbe la minima speranza.

Parlando piano e in modo concitato, Grace informò Branson e Martis su quanto aveva visto.

«Scendo prima io, signore», disse Martis.

Grace scosse la testa. «No, voglio avere io questo piacere.»

«Io ho il giubbotto antiproiettile. Potrebbe essere armato.»

«Sembra di no», disse Grace. «Vado io per primo, voi due restate qui.»

Riluttante, Martis concordò. «Ha dei guanti, signore?» chiese.

«Solo un paio di quelli in lattice che si usano sulla scena del crimine.»

Martis gli porse i suoi guanti in pelle. «Metta questi, così non si brucerà le mani scivolando lungo la scala.»

«A te non serviranno?»

«Le mie mani sono come il cuoio.»

Grace li indossò, grato, e guardò i due colleghi, prima l’uno e poi l’altro, facendo un paio di respiri profondi. «Rock’n’roll?»

Entrambi annuirono.

Grace esitò, fece un altro respiro profondo e spalancò la botola.

Non appena i suoi piedi toccarono il primo piolo della scala, risuonò la voce di Crisp.

«Sovrintendente Grace, che gradita sorpresa. Gradita davvero, per me.»

«Signore!» fu il grido allarmato di Martis.

Grace guardò verso il basso e vide le canne di un fucile sovrapposto puntate contro di lui. Ebbe un brivido. Cazzo, cazzo, cazzo, dove accidenti...?

All’improvviso si sentì strattonare verso l’alto in modo brusco e doloroso, tirato per le ascelle. Due esplosioni assordanti in rapida successione gli fecero schioccare le orecchie, e provò subito un dolore lancinante alla gamba destra.

Cadde giù di faccia, nel tunnel, investito da una cascata di terra.

«Maledetto bastardo!» sentì che urlava Martis.

«Roy, va tutto bene? Roy?» Branson gli era inginocchiato accanto.

Annuì, anche se la gamba gli faceva un male cane, poi sentì un rumore di legno che si spezzava. L’agente Martis stava cercando di spostare una traversina di sostegno sopra la botola e Grace capì cosa voleva fare: impedire a Crisp di salire dalla botola con il fucile.

Quasi al rallentatore, la traversina rimossa cadde nel vano aperto, seguita da una valanga di terra e da un enorme pezzo di legno.

Grace sentì un grido d’incredulità, seguito da uno di dolore. La terra gli investì la faccia, e dovette chiudere gli occhi per proteggersi. Poi sentì un altro urlo di Crisp, stavolta di terrore.

«Tiratemi fuori di qui! Per favore! Fatemi uscire, non riesco a muovermi!»

Grace strisciò fino all’apertura e guardò giù, molto cautamente. Sentì altra terra cadergli sulla testa. Gli sembrava di avere la gamba destra punta da mille vespe, ma ignorò il dolore.

Più in basso, Crisp era steso sulla schiena, bloccato dai materiali caduti. «Aiutatemi! Non riesco a muovermi! Aiutatemi!»

Un grosso pezzo di terra, compatto, colpì Grace dietro la testa, dolorosamente.

«Signore!» Dal tono di voce Martis sembrava preoccupato. «Lo sente questo rumore? Dobbiamo andarcene da qui.»

La terra gli stava piovendo addosso.

«Aiutatemi!» urlò Crisp. Il volto era una maschera di puro terrore, mentre altro terriccio gli cadeva addosso.

Qualcuno stava tirando Grace per un braccio. Martis. «Signore, dobbiamo uscire da qui.»

«Non possiamo lasciarlo laggiù», disse Grace.

«Non abbiamo scelta, signore, dobbiamo andarcene. Subito!»

Puntò la torcia verso l’alto e vide che l’intera volta della galleria si stava muovendo, i sostegni rimasti vibravano pericolosamente, e si staccava sempre più terra.

«Tutti fuori da dove siamo venuti!» ordinò Grace.

«Faccia strada, signore», disse Martis.

«Vado per ultimo. Forza!»

«Vi prego, aiutatemi, non riesco a muovermi!» gridava ancora Crisp. «Non lasciatemi qui, per favore, aiutatemi! Aiuto! Aiuto!»

Grace sbirciò un’ultima volta nell’apertura e un oggetto enorme gli precipitò accanto: un’altra traversina, che mancò la testa di Crisp di pochi centimetri e si abbatté sul pavimento.

Improvvisamente, Grace si sentì tirare via a forza. Si voltò e vide Branson che lo trascinava dalla gamba sana.

«Ehi!»

Altra terra gli precipitò addosso.

«Non ne vale la pena, amico. Lascialo lì o moriamo tutti!» urlò Branson, tirandolo sempre più lontano.

Sopra di loro ci fu uno schiocco secco, seguito da un diluvio di terriccio. «Via!» gridò Grace. «Via! Via! Via!»

Sentì Crisp che chiedeva ancora aiuto.

Doveva tornare indietro?

Fu investito da altra terra. Inalò polvere e tossì con violenza. Pensò a Cleo e Noah. Pensò che non li avrebbe mai più rivisti e per cosa? Per tentare di salvare un mostro? Prese la sua decisione e, seguendo i colleghi, fuggì via carponi, il dolore alla gamba che peggiorava a ogni movimento. Avanzò, ancora e ancora, andando a sbattere con la faccia contro i tacchi delle scarpe di Branson. «Muoviti, Glenn, per l’amor del cielo!» gridò.

Alle sue spalle sentì un rombo cupo.

Il messaggio era stato ricevuto. Branson stava avanzando, staccandosi da lui. Grace gli strisciò dietro il più in fretta possibile, ma la gamba destra stava diventando inutile. Terriccio umido gli turbinava attorno soffocandolo, riempiendogli i polmoni. In pochi istanti, poté vedere solo nebbia marrone.

Fu preso dal panico. Sarebbe morto laggiù. Non avrebbe mai più rivisto Cleo o Noah, né vissuto con loro nella nuova casa, non avrebbe mai...

Devi pensare lucidamente, si disse. Era il panico ad ammazzare la gente. Sopravvivono ai disastri quelli che mantengono la calma, i nervi saldi. Il condotto era più avanti. Se l’avesse raggiunto sarebbe stato in salvo. Continuò a procedere arrancando. Gli cadde la torcia, ma non si fermò a cercarla, continuò ad avanzare e basta. Ancora. Ancora.

Poi sbatté dolorosamente la faccia contro qualcosa di duro e metallico.

L’ultimo piolo del condotto verticale.

Provò un enorme sollievo.

Di colpo, fu abbagliato dalla luce di una torcia. Batté le palpebre e sentì la voce di Branson. «Sono qui, amico. Senza di te non me ne vado, perciò vedi di darti una cazzo di mossa! Seguimi, saliamo!»

Alzò le mani, tastò il piolo più in alto e si tirò su. Sputacchiava, la bocca secca. Qualcuno più in alto stava tossendo. Grace tossì a sua volta, con forza, avvertendo un forte dolore ai polmoni, e per poco non perse la presa.

Tre arti, ricordò.

Ma riusciva a malapena a muovere la gamba destra.

Il piolo al quale era aggrappato vibrava, come se fosse sul punto di staccarsi. Spostò in fretta il braccio destro al piolo successivo.

Il rumore profondo alle sue spalle si era trasformato in un rombo, come quello di un vulcano. Stava crollando tutto. Doveva continuare a inerpicarsi. Doveva farlo. Doveva.

Tre arti, sempre.

All’improvviso cedette il piolo su cui poggiava entrambi i piedi, e lui rimase lì a dondolare, ostinatamente appeso per una mano, ma sentiva già le dita che scivolavano.

Noah, Cleo. Dio, vi amo così tanto.

In qualche modo, nell’oscurità soffocante, riuscì a mettere l’altra mano sul piolo. Poi sentì che anche quello cedeva. Si issò, proprio mentre il piolo sotto i suoi piedi si staccava del tutto e precipitava sferragliando nel turbinante inferno marrone sottostante. Grace afferrò il successivo. Lo teneva con entrambe le mani, ma riusciva a stento a reggere la presa.

Il rombo aumentò d’intensità. Divenne assordante, come un terremoto, proprio mentre i suoi polsi venivano stretti in una morsa. Ebbe la sensazione che gli venissero staccate le braccia dal corpo, e lentamente fu sollevato verso l’alto. Alzò lo sguardo e vide le facce di Branson e Martis.

«Va tutto bene, amico, ti teniamo noi. Cazzo, quanto pesi!»

Un attimo dopo, ansimante per lo sforzo, oltrepassò il bordo del congelatore e sbatté con violenza la faccia contro il pavimento in cemento del garage.

«Tutto bene, Roy? Scusa se ti ho fatto male.»

Grace si voltò a guardare Branson. «Passerà», disse, senza fiato. «Grazie, amico.»

«Ai tizi della tua età serve un montascale Stannah.»

«Va’ a cagare!» Da un punto lontano giunse il lamento di una sirena. Poi il dolore atroce alla gamba si acuì. «Cazzo!» gridò.

«Non le reggi più certe attività, eh?» lo rimproverò Branson.

Grace scosse la testa. «No, non è quello. È il tuo senso dell’umorismo. Niente di personale, eh, ma ogni volta che sento una delle tue battute trite e ritrite mi passa la voglia di vivere.» Sorrise e lo abbracciò. «Non so nemmeno perché, ma ti voglio bene, maledizione.»

«Non sei poi così male, per essere un vecchio stronzo», ribatté Branson. Poi s’inginocchiò e guardò preoccupato la gamba di Grace, notando che l’amico era pallido. «Cazzo, Roy, sembra una cosa seria.» Si rivolse a Martis. «Ci serve un’ambulanza, presto.»

Il segno della morte
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