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Giovedì 18 dicembre

Il mattino dopo, Roy Grace stava controllando gli appunti presi alla riunione del Gruppo Oro la sera prima, in preparazione del briefing che si sarebbe tenuto alle otto e mezzo. Il Gruppo Oro aveva concordato di continuare con la strategia di comunicazione adottata.

Sulla sua scrivania c’era un messaggio di Glenn Branson su Denise Patterson. Erano stati rintracciati i suoi genitori, che vivevano ancora nella stessa casa di Aldwick Bay. La camera da letto della ragazza era stata tenuta come un reliquiario e la sua spazzola era stata inviata al laboratorio per il test del DNA. Avevano anche il nome dello studio dentistico che la giovane aveva frequentato, e la speranza era quella di avere una conferma ufficiale dell’identità entro la giornata grazie alle cartelle odontoiatriche.

Grace fu interrotto dal rumore di colpi alla porta. Il sergente Tanja Cale entrò, sembrava agitata e aveva in mano una busta imbottita. «Signore, mi scusi se entro di fretta, ma potrebbe essere importante.»

«Nessun problema, dimmi.»

«Abbiamo ricevuto una telefonata alla sala operativa mezz’ora fa, dall’Argus. Questa busta era sulla loro soglia stamattina, alla cortese attenzione del direttore ma indirizzata a lei. Meglio se le dà un’occhiata», disse porgendogli la busta.

Grace l’aprì e tirò fuori un sacchetto di plastica, contenente due fogli di carta. Uno era un foglio di giornale, in particolare la prima pagina dell’Argus del giorno prima, contenente l’articolo in cui si dichiarava che erano stati ricevuti determinati oggetti, presumibilmente dal killer, con il commento del sovrintendente Grace secondo cui si era trattato di un passo falso.

L’altro documento era un semplice A4 stampato, con il seguente testo:

QUESTO È UN REGALO CHE HO PENSATO TI AVREBBE FATTO PIACERE RECIVERE, ROY. VA’ AL MONUMENTALE INDIANO PER UNA SORPRESA DA ASPORTO.

Grace notò subito lo stesso errore di ortografia della volta precedente: recivere. «Be’, o è una schiappa in ortografia, oppure lo fa apposta.»

Il sergente Cale fece una faccia perplessa. «Apposta?»

«Il suo modo di esprimere la propria identità. C’era lo stesso errore nel messaggio di ieri. Ma ho la sensazione che non sia un ignorante.» Tornò a studiare il messaggio. «Monumentale indiano?»

«Sembra molto criptico», disse Cale. «Devo cercare su Google i ristoranti indiani che fanno servizio da asporto?»

«Sì, stavo pensando la stessa cosa. Si diverte a giocare con noi, a mandarci piccoli enigmi.» Poi rilesse la seconda parte, ad alta voce: «Va’ al monumentale indiano per una sorpresa da asporto».

Durante la gravidanza Cleo faceva spesso le parole incrociate sui quotidiani, specialmente il grosso cruciverba del giorno del Times, e lui si divertiva a cercare di risolverli insieme a lei. Monumentale indiano. Si morse le labbra, cullando per un attimo l’idea di chiamare Cleo.

Poi all’improvviso capì.

Spinse indietro la sedia e si alzò. «Credo di sapere a cosa si riferisce. Andiamo.»