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Mercoledì 17 dicembre
Alle tre del pomeriggio, un’ora e mezzo dopo la fine della conferenza stampa, Grace controllò l’edizione online dell’Argus e fu soddisfatto di quel che vide. Fedele alla parola data, Siobhan Sheldrake aveva pubblicato il titolo che lui le aveva chiesto.
Il Marchiatore di Brighton fornisce indizi essenziali
L’articolo citava le parole di Grace alla conferenza stampa, secondo cui erano stati ricevuti determinati oggetti, presumibilmente inviati dall’assassino di Katy Westerham e della donna di Hove Lagoon, provvisoriamente identificata come Denise Patterson.
Grace affermava che era stato un grosso errore, da parte del killer, fornire alla polizia del materiale utile per entrare in possesso di indizi essenziali.
Le parole erano state scelte accuratamente dallo psicologo forense Tony Balasz, e Grace le aveva riportate, nella speranza che scatenassero una reazione. Intanto, la Scientifica era al lavoro sulla busta e sul messaggio contenuto nel portadocumenti di plastica.
Ancora una volta, senza aver fatto la pausa pranzo, Grace scese in tutta fretta nel parcheggio della Sussex House, deciso a fare una rapidissima scappata a casa per provare a parlare con Cleo e a darle almeno una piccola mano con le operazioni di imballaggio. Guidando mangiò un vecchio Twix con il cioccolato chiazzato di bianco, che aveva trovato nel vano portaoggetti dell’auto insieme a vari scontrini di parcheggi. Sapeva di stantio, ma Grace non ci fece caso. Aveva così tanta fame che praticamente qualsiasi cosa avrebbe avuto un buon sapore.
Quando aprì la porta di casa, con in mano un grosso mazzo di fiori comprato lungo il tragitto, rimase sbalordito. C’erano due amici di Cleo, sua sorella Charlie e i suoi genitori, tutti freneticamente all’opera, intenti ad avvolgere i loro effetti personali in carta velina e a collocarli nelle scatole. Sentì Noah che urlava al piano di sopra.
«Ciao, Roy!» Charlie lo saluto con due baci sulle guance. A Grace era sempre stata simpatica Charlie, una versione più giovane e più in carne di Cleo, dall’aria perennemente allegra. Lei puntò un dito verso le scale: «Noah è una lagna totale, mi sa che sta mettendo i dentini, poverino». Poi guardò i fiori. «Li hai presi tu?»
«Sì.»
«Bella mossa», disse. «Potrebbero salvarti il matrimonio.» Sorrise.
Salutò e ringraziò i genitori e gli amici di Cleo, poi salì rapidamente le scale ed entrò nella cameretta di Noah. Rimase scioccato dalla faccia tesa e stanca di Cleo, che era seduta su una sedia accanto al lettino e teneva Noah in braccio, cullandolo, nel tentativo di placare il piagnucolio. Lei gli fece un cenno del capo poco convinto.
«Ti ho portato questi, tesoro», disse Grace, mostrandole i fiori.
«Fantastico», ribatté Cleo con voce piatta. «Una cosa in più da imballare.»
«Ehi, avanti!» Lui la raggiunse, diede un’occhiata affettuosa alla faccina raggrinzita di suo figlio, poi baciò Cleo sulla fronte.
«Scusami», disse lei con un debole sorriso. «È che stanno succedendo troppe cose. E, come se non bastasse, mi chiedo se stiamo facendo la cosa giusta a trasferirci in campagna. Almeno qui quando il piccolo mi rincretinisce, posso portarlo in giro con il passeggino, vedere un po’ di vita, di persone. Che farò, invece, a Henfield? Parlerò con vacche e pecore?»
«Dicono tutti che i paesi sono molto più amichevoli delle città.»
Noah ricominciò a piangere forte. Nello stesso momento, il telefono di Grace suonò e lui dovette uscire dalla stanza per rispondere. Gli giunse all’orecchio una voce in un inglese irregolare e stentato, che gli sembrava vagamente familiare, ma che per un attimo non riconobbe, distratto dalle urla di Noah.
«Roy, ciao. Parlo con Roy Grace?»
«Sì, chi è?»
«Marcel Kullen! Ti stai rimbambendo con l’età. Ti dimentichi il tuo amico tedesco?»
Grace chiuse la porta della stanza di Noah e si spostò nel silenzio della loro camera da letto. «Marcel! Ehi, come stai? Lieto di risentirti, come va?»
Marcel Kullen era un poliziotto della Landeskriminalamt di Monaco, l’equivalente tedesco del dipartimento d’investigazione criminale inglese. Avevano stretto amicizia quando, circa cinque anni prima, l’ispettore tedesco era venuto alla Sussex House per sei mesi nell’ambito di un programma di scambio.
Si erano poi rivisti un anno e mezzo prima, quando Grace era volato a Monaco per un possibile avvistamento di Sandy, rivelatosi poi infondato.
«Qui tutto bene.»
«Come stanno i piccoli?» chiese Grace.
«Be’, direi bene. Mio figlio Dieter adesso ha due anni e ci fa impazzire, credo che stia vivendo quelli che in Inghilterra chiamate i ’terribili due anni’.»
«Già, adesso ho un figlio anch’io. Forse lo senti piangere proprio ora!»
«Ja, hai un figlio? Ti sei risposato?»
«Sì, felicemente. Mi farebbe piacere fartela conoscere.»
«Portala a Monaco. Come si chiama?»
«Cleo.»
«E il piccolo?»
«Noah.»
«Ascolta, ti chiamo per questo: riguarda tua moglie, la tua ex moglie. Sandy, giusto?»
Grace sentì una stretta allo stomaco. «Sandy?»
«C’è una donna che è stata portata all’ospedale qui a Monaco, dopo un incidente. È stata investita da un taxi mentre attraversava la strada e, poco dopo, mentre era ancora a terra si è fermato un centauro a bordo di una motocicletta, le ha rubato la borsetta ed è ripartito. Che brave persone ci sono al mondo, eh?»
«Davvero affascinanti», commentò Grace. «Anche noi, qui, non ci possiamo lamentare. Sei sicuro che si sia trattato di un incidente e non di un’aggressione mirata, fatta da professionisti?»
«Ja, sicuro. C’erano testimoni. È scesa dal marciapiede e ha guardato dalla parte sbagliata, tutto qui. È quel genere di errori che a volte commettono gli inglesi, perché voi guidate ancora dalla parte sbagliata!»
Grace sorrise, ma aveva i nervi a fior di pelle. Ogni volta che veniva fatto il nome di Sandy, si sentiva gelare il sangue nelle vene, come se nella stanza entrasse un fantasma e gli passasse attraverso. «Quindi? Dimmi tutto.»
«Adesso la donna è in coma e finora non abbiamo nessuna conferma sulla sua identità, ma riteniamo che si faccia chiamare Lohmann. Questo, almeno, è quello che ci ha detto il figlio. Alessandra Lohmann.»
«Quanti anni ha il bambino, Marcel?»
«Dieci.»
«Marcel, noi non avevamo bambini e Sandy è scomparsa da più di dieci anni, ormai.»
«Lo so. Come si dice, è un azzardo, ma l’età corrisponde. E mi sembra che ci siano delle similitudini nei lineamenti del viso rispetto alle foto che ho, ma naturalmente risalgono a più di dieci anni fa e i capelli sono scuri, non biondi. Pensavo comunque di mandarti una fotografia, così da escludere questa ipotesi. Posso?»
«Ma certo», disse Grace, con più entusiasmo di quello che sentiva. Chiuse la porta. Non voleva che Cleo ascoltasse quella conversazione. Che l’incubo che lo perseguitava da quando si era innamorato di Cleo stesse per diventare realtà?
«Okay, Roy, ti mando alcune foto via email tra qualche minuto.»
«Danke!»
«Prego! Mi spiace crearti dei fastidi.»
«Nessun problema. È un piacere risentirti, Marcel.»
«Ci vediamo presto, ja?»
«Mi piacerebbe portare Cleo a visitare Monaco, è una bella città.»
«Porta Cleo e Noah. Casa nostra è casa tua.»
«Ottima idea, lo faremo.»
«Che ne dite di venire l’anno prossimo, così andiamo all’Oktoberfest insieme?»
«Faccio stirare i miei lederhosen!»
Conclusa la chiamata, Grace si sedette sul letto per un po’, assorto nei suoi pensieri. Demoni di ogni genere si erano risvegliati in lui. Ogni volta che credeva di essersi liberato del fantasma di Sandy, succedeva qualcosa che lo rievocava.
Poco dopo, la porta si spalancò ed entrò Cleo, che gli rivolse un sorriso fiacco. «Scusami, tesoro», gli disse. «È solo un momento difficile. Non volevo prendermela con te.»
Grace si alzò e l’abbracciò.
«In questo momento sono inutile, e mi dispiace», disse Cleo. «Non ho mai voluto intralciare il tuo lavoro, ma credo di non essermi resa conto di quanto sarebbe stato difficile prendermi cura da sola di un bambino. Però, non lo cambierei con nient’altro al mondo.»
«Nemmeno io. Sarà più semplice quando riusciremo a trovare una baby-sitter, ma ce la faremo.»
«Certo.»
Mentre parlava, Grace sentì vibrare il cellulare, avviso di un’email in arrivo. Si scusò, dicendo di aver bisogno del bagno e, sentendosi colpevole per quell’inganno, scivolò via per aprire l’email in privato.
Era il JPEG inviatogli da Marcel Kullen.
Lo aprì e si trovò davanti il viso di una donna. Lo fissò per un intero e silenzioso minuto. Gli tremavano le mani. Possibile che quella fosse lei? Che fosse Sandy?
Il viso era tumefatto e pesto, coperto di escoriazioni e in parte bendato, con un cerotto sul naso. Sì, c’era una certa somiglianza. Non riusciva a vedere il colore degli occhi, chiusi e molto gonfi. Notò delle rughe, dove Sandy non ne aveva mai avute, ma erano pur sempre passati dieci anni. E i capelli di un color castano scuro, dal taglio maschile, rendevano tutto più complicato. Ingrandì l’immagine, ma fece poca differenza. Era possibile, ma... ma...
Cristo, cosa avrebbe significato se fosse stata lei?
Cosa avrebbe significato per Cleo e Noah? E per la sua vita? E in quel periodo non aveva nessuna possibilità di prendersi una pausa per volare fino a Monaco ed escludere con sicurezza che fosse lei.
Scrisse un’email di risposta all’ispettore tedesco.
Grazie, Marcel, posso capire perché hai pensato di inviarmela, ma non credo sia lei. Per favore, però, se riesci a scoprire altro sulla sua identità fammi sapere. Intanto, buon Natale e spero di rivederti tra non molto.
Tirò lo sciacquone e aprì il rubinetto per un po’, poi si rimise il telefono in tasca e tornò in camera da letto.
Cleo gli rivolse un’occhiata curiosa. «Va tutto bene, tesoro?»
«Sì, tutto bene, perché?»
«Sembra che tu abbia visto un fantasma.»