CAPITOLO SESSANTOTTO
La Caccia Selvaggia correva per la pianura di Salisbury.
Le creature che prima Sophie e Josh avevano solo intravisto erano più vicine. Alcune erano riconoscibili: cani neri e lupi grigi, enormi gatti dagli occhi rossi, orsi massicci, cinghiali dalle zanne ricurve, capre, cervi e cavalli. Ma anche altre si erano unite alla Caccia: figure dalla forma umana scolpite nella roccia; creature con la pelle di corteccia, la chioma di foglie e rami a mo’ di braccia e gambe. Sophie e Josh videro altri Genii Cucullati; videro Cucubuth dalla testa rasata che brandivano catene, e cavalieri dall’armatura ossidata e rosa dalla ruggine. Guerrieri tatuati rivestiti di pellicce e centurioni romani zoppicavano dietro le Dearg Due dai capelli rossi. E in mezzo a tutti questi mostri correvano uomini normalissimi, armati di spade, coltelli e lance; Josh li trovò più terrorizzanti di tutti.
I gemelli guardarono verso il punto in cui Stonehenge incombeva scura e indistinta nella notte, e capirono che non l’avrebbero raggiunta in tempo. — Combatteremo — boccheggiò Josh, analizzando la situazione e le opzioni limitate che avevano. — Mi è rimasta ancora un po’ di forza… Forse riesco a evocare un altro po’ di pioggia…
Un ululato selvaggio e acuto riecheggiò per tutta la pianura.
Josh ebbe un tuffo al cuore quando vide del movimento alla loro destra: un altro gruppo stava per attaccarli, tagliando loro la strada. — Guai — annunciò.
— Al contrario. — Palamede sorrise. — Guarda meglio.
E allora Josh riconobbe la figura in testa al gruppo. — Shakespeare!
Il Bardo condusse i Segugi di Gabriel nella mischia, attaccando di lato. I cani spettrali si scagliarono con metodo in mezzo a quell’esercito male assortito, costringendolo a una brusca frenata. Lance di ferro e spade di metallo lampeggiarono nella notte e una cappa di polvere si levò sopra la pianura.
William Shakespeare, vestito con il giubbotto antiproiettile e il casco integrale della polizia moderna, si portò al fianco di Palamede. — Ben trovato — disse.
— Pensavo di averti detto di non aspettare dopo il tramonto — replicò il Cavaliere saraceno.
— Oh, la pazienza è la virtù dei forti — ribatté Shakespeare. — E poi lo sai che non ti ascolto mai — aggiunse, con un sorriso mite. — Inoltre, dato che le strade erano bloccate, ho pensato che avreste trovato un rifugio finché non faceva buio.
Palamede gettò l’Alchimista ancora svenuto a terra e si mise a schiaffeggiarlo sulle guance. — Svegliati, Flamel. Svegliati. Dobbiamo sapere qual è la pietra.
Gli occhi chiari di Nicholas si aprirono di scatto. — La Pietra dell’Altare — bisbigliò roco.
Gabriel sbucò fuori dalla notte. La pelle nuda era striata di fuliggine, che gli imbrattava anche i lunghi capelli. — Ce ne sono troppi, e continuano ad arrivarne altri ogni minuto — ansimò. — Non ce la facciamo.
Josh indicò il cerchio di pietra. — Ritiriamoci tutti a Stonehenge. — La stessa sensazione di pace che aveva provato prima lo inondò di nuovo. Non c’erano più decisioni da prendere. Ancora una volta, non doveva fare alto che combattere; avrebbe protetto sua sorella fino alla fine. Premendosi le mani sul petto, sentì le due pagine del Codice crepitare sotto la maglietta. Forse era giunta l’ora di distruggerle, anche se non sapeva bene come. Si chiese se potesse mangiarle. — Ritiriamoci — gridò. — Combatteremo laggiù la nostra ultima battaglia.