CAPITOLO CINQUANTAQUATTRO
Josh avanzò con cautela nel fienile, con Clarent immobile e silenziosa tra le mani; i minuscoli cristalli di quarzo della lama di pietra erano opachi e senza vita. Camminava pianissimo, in punta di piedi, colpito dall’intensità con cui riusciva a percepire tutto ciò che aveva intorno. Anche se sapeva di non essere mai stato lì prima, e di averne fino ad allora scorto solo una piccolissima parte, sapeva anche con assoluta certezza di potersi muovere a occhi chiusi in quello spazio.
Il fienile era caldo, carico dell’odore di fieno vecchio ed erba secca. Creature invisibili zampettavano negli angoli, colombi tubavano fra le travi, e Josh riusciva a udire chiaramente il ronzio di un grosso nido di vespe in un angolo del soffitto; un flusso di insetti andava e veniva dal nido. Macchinari agricoli erano stati chiusi e abbandonati lì; Josh pensò di riconoscere un vecchio aratro, e i tozzi resti di un trattore, con le grosse gomme ruvide ridotte a piatte strisce nere. Ogni brandello di metallo era ricoperto di uno spesso strato di ruggine. Casse di legno e barili vuoti erano sparpagliati intorno, e un rozzo tavolo da lavoro – due assi poggiate su blocchi di cemento – era stato costruito a ridosso di un muro. Il legno si era piegato e arricciato alle estremità. Sotto il tavolo da lavoro c’era il telaio annerito di una bicicletta, quasi invisibile dietro una fitta coltre di erbacce e ortiche.
— Questo posto è in disuso da anni — commentò Josh. Era in piedi al centro del fienile, e parlava girando su se stesso. Poggiò Clarent a terra, tra i piedi, e incrociò le braccia al petto. — È sicuro.
Gilgamesh vagabondava nel fienile, togliendosi lentamente strati di vestiario e lasciandoseli cadere alle spalle. Sotto tutti i cappotti e le felpe indossava i resti di quello che un tempo era stato un abito elegante. La giacca era unta dall’usura, e i pantaloni avevano le ginocchia consumate e il cavallo lucido. Una sudicia camicia senza colletto e i resti sfilacciati di una sciarpa di lana completavano il tutto. — Mi piacciono i posti come questo — commentò.
— Anche a me piacciono i posti vecchi — disse Josh. — Ma questo non ha niente di speciale, no?
Il Re spalancò le braccia. — Che cosa vedi?
Josh fece una smorfia. — Robaccia. Un trattore arrugginito, un aratro rotto, una vecchia bici.
— Ah… ma io vedo il trattore che un tempo dissodava questi campi. Vedo l’aratro che si tirava dietro. Vedo una bicicletta riposta con cura sotto un tavolo.
Josh si voltò di nuovo lentamente, guardando meglio quegli oggetti.
— Vedo tutte queste cose e mi interrogo sulla vita della persona che ha riposto con tanta cura il prezioso trattore e l’aratro nel fienile, al riparo dalle intemperie, e che ha sistemato la sua bicicletta sotto un tavolo artigianale.
— Perché? — domandò Josh. — Perché dovrebbe essere importante?
— Perché qualcuno deve ricordare — lo fulminò Gilgamesh, improvvisamente irritato. — Qualcuno deve ricordare l’uomo che ha corso con quella bicicletta e che ha guidato quel trattore, la persona che ha dissodato i campi, che è nata, vissuta e morta, che ha amato, riso e pianto, la persona che è rabbrividita al freddo e che ha sudato sotto il sole. — Si aggirò di nuovo nel fienile, toccando ogni oggetto, finché non ebbe i palmi rossi di ruggine. — Solo quando nessuno ti ricorda più si è completamente persi. È questa la vera morte.
— Allora lei sarà sempre ricordato, Gilgamesh — intervenne Sophie. Era seduta su una botte capovolta, e osservava il Re attentamente. — L’epopea di Gilgamesh è pubblicata ancora oggi.
Il Re si fermò, con le testa piegata di lato, a riflettere. Sorrise e si strofinò le mani sui pantaloni, lasciando delle strisce rosse sulla stoffa macchiata. — Una volta l’ho letta. Non mi è piaciuta. Contiene solo qualcosa di vero, e mancano le parti più belle.
Flamel chiuse la porta del fienile, bloccando l’ingresso del sole. — Potresti scrivere la tua versione — suggerì. — E raccontare la tua storia, la vera storia.
Il Re rise, e l’eco tonante della sua risata fece volare via i colombi dalle travi. — E chi mi crederebbe? Se dovessi metterci la metà di quello che so, mi rinchiuderebbero in un… — La sua voce si spense e i suoi occhi si rannuvolarono.
Nicholas fece subito un passo avanti e si inchinò profondamente, un gesto cortese e all’antica. Sapeva di dover riprendere il controllo della situazione prima che Gilgamesh cominciasse a ricordare troppo. — Maestà, manterrà la sua promessa e insegnerà ai gemelli la Magia dell’Acqua?
Il Re annuì lentamente. — Lo farò.
L’Alchimista si raddrizzò, ma non prima che i gemelli avessero visto l’espressione di trionfo sul suo viso magro. — Sophie è stata addestrata nell’Aria e nel Fuoco. Josh non ha avuto alcun addestramento, perciò non ha idea di cosa lo aspetta.
Josh si fece avanti. — Mi dica solo quello che devo fare — disse pieno di entusiasmo, con gli occhi che brillavano. Sorrise alla sorella. — Cominceremo di nuovo a essere dei veri gemelli.
Sophie ricambiò il sorriso. — Non è una gara.
— Forse non per te!
Gilgamesh raccolse una botte e la sistemò a terra, accanto a Sophie. — Vieni a sederti accanto a tua sorella.
— E io, che cosa vuoi che faccia? — domandò Flamel, appoggiato alla porta, con le mani ficcate nelle tasche posteriori dei jeans.
— Sta’ zitto e non venirmi tra i piedi — lo fulminò Gilgamesh, lanciandogli uno sguardo con i lampeggianti occhi azzurri. — E quando avrò finito, io e te faremo una chiacchieratina… sulla decina d’anni che ho trascorso in quell’istituto. Dobbiamo ancora fare i conti.
Nicholas Flamel annuì, il volto impassibile. — Questo processo attiverà l’aura dei gemelli?
Il Re piegò la testa di lato, riflettendo. — Forse. Perché?
— La loro aura funzionerà come un’esca. Chissà che cosa attireranno.
Gilgamesh annuì. — Fammi vedere cosa posso fare. Ci sono vari modi di insegnare. — Il Re si accasciò con le gambe incrociate sul pavimento davanti ai gemelli, e si strofinò alacremente le mani. — Allora, da dove cominciamo?
Josh capì all’improvviso che si stavano consegnando a un pazzo, a un vagabondo che a volte dimenticava perfino il proprio nome. Come poteva ricordarsi una magia così antica? Cosa sarebbe successo se si fosse dimenticato del processo a metà dell’opera? — Lo ha già fatto altre volte? — chiese, preoccupato.
Il Re prese la mano destra di Sophie e la mano sinistra di Josh, quindi li guardò con un’espressione seria in viso. — Solo una. E non è finita bene.
— Come mai? — Josh cercò di tirare via la mano, ma Gilgamesh la stringeva forte, la pelle ruvida come corteccia.
— Lui allagò il mondo. Ora, chiudete gli occhi — ordinò il Re.
Sophie li chiuse subito, ma Josh li tenne aperti a fissare il Re.
Gilgamesh ricambiò lo sguardo. A un tratto i suoi grandi occhi azzurri e spalancati sembrarono enormi.
Josh avvertì una fitta nauseante di vertigini. Si sentì cadere in avanti… e poi giù… e poi di nuovo su, all’improvviso. Strinse forte gli occhi nel tentativo di bloccare quelle sensazioni sgradevoli, ma vedeva ancora gli enormi occhi del Re che gli bruciavano la retina, sempre più grandi, percorsi di tortuose venature bianche. Gli ricordavano… gli ricordavano…. delle nuvole.
La voce di Gilgamesh tuonò. — Ora, pensate a…