—Josh! — gridò l’Alchimista.

Il ragazzo aprì lo sportello di sinistra, controllò che non ci fossero serpenti in terra e saltò fuori dal taxi. Puntò Clarent contro Dee, e la lama emise un gemito, come un lamento funebre. — Io lo terrò occupato — gridò. — Riesce a far partire la macchina? — domandò al Cavaliere.

— Ci proverò — rispose Palamede, cupo. Si voltò a guardare l’Alchimista. — La batteria è morta. Puoi ricaricarla?

— Josh Newman! — esclamò John Dee, in tono affabile, all’avvicinarsi del ragazzo. — Non penserai sul serio di batterti con me?

Josh lo ignorò. Stringendo forte Clarent con entrambe le mani, sentì che la spada si adattava comodamente alla sua presa.

Dee sorrise e continuò con pazienza. — Vorrei che tu riflettessi per un attimo su ciò che stai meditando di fare. Ho trascorso una vita con quest’arma; tu possiedi Clarent da poco più di un giorno, al massimo. Non potrai mai sconfiggermi.

Senza preavviso, Josh si slanciò in un furioso attacco contro il Mago. Clarent gridò letteralmente di trionfo quando si abbatté su Excalibur. Josh non cercò nemmeno di ricordare le mosse che Jeanne e Scatty gli avevano insegnato; lasciò che fosse la spada a prendere il controllo, a decidere stoccate, affondi, parate e fendenti. E da qualche parte in un angolino del suo cervello si accorse che stava analizzando ogni singola mossa di Dee: il gioco di gambe, il modo in cui teneva l’arma, e come socchiudeva gli occhi un attimo prima di lanciarsi in un affondo.

Era Clarent a trascinare Josh, fendendo l’aria, e lui non poteva fare altro che tenere salda la presa. Era come cercare di reggere al guinzaglio un cane che vuole scagliarsi in avanti: un cane famelico e rabbioso. E per un istante, Josh ebbe il ridicolo pensiero che Clarent fosse viva e affamata.

— Sophie! — tuonò Nicholas.

Ma lei non lo udì. Tutta la sua attenzione era per il fratello. Aprì lo sportello di destra e scese. Non appena poggiò i piedi a terra, la sua aura scintillò, rivestendola di un’armatura identica a quella che aveva visto indosso a Jeanne. A differenza di Josh, non aveva armi, ma era stata addestrata nella Magia dell’Aria e del Fuoco. La ragazza abbassò volutamente le barriere che Giovanna d’Arco aveva innalzato per proteggerla dai ricordi della Strega di Endor. In quel momento, aveva bisogno di sapere tutto ciò che la Strega sapeva su Cernunnos.

Voci, frammenti, racconti bisbigliati.

Un tempo era bellissimo. Un gigante; alto, fiero e superbo. Uno stimato scienziato. Aveva compiuto esperimenti prima sugli altri, poi, quando ciò venne proibito, su se stesso. Alla fine era diventato ripugnante: escrescenze ossee gli erano spuntate sul cranio, i piedi si erano fusi in spessi zoccoli. Solo il volto era rimasto intatto, un orribile ricordo dell’antica bellezza. L’incomprensibile scorrere del tempo aveva distrutto il suo grande intelletto, e ormai era poco più di un animale. Antico, potente, ancora dotato dell’abilità di deformare gli esseri umani in lupi, dimorava in un remoto Regno d’Ombra fatto di foreste umide e putrescenti…

“Tutti gli animali detestano il fuoco” ragionò Sophie “e se l’Arconte vive in un mondo di foreste umide, probabilmente anche lui lo teme.” Per un brevissimo istante avvertì un briciolo di paura – e se il fuoco l’avesse di nuovo abbandonata? – ma scacciò quell’idea con forza. Stavolta non sarebbe successo. Un secondo prima di premere il dito sul tatuaggio per evocare la Magia del Fuoco, usò una minuscola porzione della sua aura per richiamare la Magia dell’Aria.

Un tornado furioso comparve all’improvviso intorno all’Arconte. I resti della Caccia Selvaggia, ogni singola particella di polvere e ghiaia, si sollevarono per avvolgere Cernunnos in una fitta coltre ronzante. Accecata, con la bocca e le narici piene di detriti, la creatura si coprì il volto.

Poi Sophie premette il pollice sul tatuaggio, e incendiò la nube di polvere. Un istante prima di accasciarsi al suolo, priva di sensi, avvertì il grido del Dio Cornuto. Era il suono più terrificante che avesse mai udito.

— Josh — boccheggiò Dee, parando disperatamente i colpi tremendi che gli avevano già intorpidito le braccia. — Ci sono moltissime cose che non sai. E che potrei spiegarti. Tante domande a cui potrei rispondere.

— So già molte cose sul tuo conto, Mago.

Scintille bianco-azzurre e rossonere esplodevano ogni volta che le lame gemelle si toccavano, riversando sui duellanti una pioggia di lapilli. Il volto di Josh era chiazzato di punti neri, e il cappotto di Dee era butterato di fori.

— Tu. Stavi. Pensando. Di. Uccidere. L’Arconte. — Josh sottolineò ogni parola con un colpo.

— Hai impugnato Clarent — ansimò Dee. — Hai avuto un assaggio dei suoi poteri. Sai quello che può fare. Pensaci: se uccidi l’Arconte, sperimenterai millenni, centinaia di millenni di sapere. Conoscerai la storia del mondo fin dal principio. E non soltanto quella di questo mondo. Quella di una miriade di mondi.

All’improvviso un’enorme esplosione di calore dall’aroma di vaniglia li inondò, costringendo entrambi in ginocchio. Dee era rivolto verso l’Arconte e cadde all’indietro, con le mani sul viso, accecato dalla luce.

Josh rotolò di fianco, vide il Dio Cornuto inghiottito dalle fiamme verdi e dorate e vide Sophie accasciarsi a terra, svenuta. Con una stretta di paura allo stomaco, si sollevò carponi e scoprì che Excalibur giaceva in mezzo al fango, a un passo dalla sua mano destra. Ma non fece in tempo a raccoglierla che uno spasmo di agonia gli attraversò il braccio sinistro, fino alla mano con cui reggeva Clarent. Josh cercò di gettare la Lama del Codardo, ma non ci riuscì: era come incollata al palmo, stretta nel pugno. Rivoli di sangue gli colarono tra le dita. Mollò l’altra spada di scatto, e il dolore lancinante si spense. Rimettendosi goffamente in piedi, sollevò il bordo dell’elsa di Excalibur con la lama di Clarent e la scagliò via, quindi corse subito dietro la macchina per soccorrere Sophie.

Dee si sollevò sulle ginocchia, sbattendo le palpebre per scacciare i riflessi di luce che gli danzavano negli occhi. Vide Josh scagliare Excalibur in aria, e vide la spada atterrare con un plop nei resti vischiosi del fossato. L’arma galleggiò sulla superficie densa della nafta solo per un attimo; quindi affondò in un violento gorgoglio di bolle.

Josh cadde in ginocchio, terrorizzato. Prese Sophie tra le braccia e la trasportò sul sedile posteriore del taxi, nell’istante stesso in cui il motore tornava in vita. Nicholas Flamel, con il volto distrutto, si lasciò cadere sul sedile; le sue mani emanavano ancora fili dell’energia verde che aveva usato per ricaricare la batteria.

Dee fu costretto a gettarsi di lato quando la macchina, con tutti gli sportelli ancora aperti e oscillanti, imboccò rombando la strettoia di metallo, schiacciando sotto le ruote i resti di lance e frecce. Il Mago cercò disperatamente di concentrarsi e di raccogliere l’energia necessaria a fermare il taxi, ma era fisicamente e mentalmente esausto. Alzandosi a fatica, osservò l’Arconte crollare a terra e rotolarsi nel fango vischioso, estinguendo le fiamme che danzavano e scintillavano sugli strati di pelliccia delle sue vesti. Meno di una manciata di lupi della Caccia Selvaggia era sopravvissuto all’attacco, e due di essi si disintegrarono quando Cernunnos li schiacciò involontariamente.

Tra gli stridori del metallo e le scintille che sprizzavano dai parafanghi e dagli sportelli aperti, il taxi nero attraversò il cancello divelto e fece un testacoda sulla strada bagnata, quindi si allontanò rombando nella notte. Le luci rosse dei freni lampeggiarono; poi l’auto imboccò una curva e scomparve.

Nascosta nelle tenebre, Bastet tirò fuori un cellulare sottile dalla tasca e pigiò un tasto. Le risposero al primo squillo. — Dee ha fallito — annunciò concisa, e terminò la chiamata.

I segreti di Nicholas Flamel l'immortale - 3. L'Incantatrice
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