CAPITOLO CINQUANTATRÉ
—Fine della strada. — Palamede schiacciò il freno.
Il taxi si fermò stridendo davanti al fienile. Una nuvola di polvere si levò dalla terra battuta, gonfiandosi intorno ai finestrini. Gilgamesh aprì subito lo sportello e uscì nella pace del mattino, rivolgendo la faccia al sole e stendendo le braccia. I ragazzi lo seguirono, sfilandosi dalle tasche gli occhiali da sole che l’Alchimista gli aveva comprato.
Flamel fu l’ultimo a uscire, e si voltò a guardare il Cavaliere, che non aveva dato cenno di spegnere il motore o di scendere dal taxi. — Non ti fermi?
— Vado al villaggio più vicino — replicò Palamede. — Mi procuro un po’ d’acqua e di provviste e vedo se riesco a capire cosa sta succedendo. — Spostò lo sguardo verso il Re e abbassò la voce. — Sta’ attento. Sai quanto è incostante.
L’Alchimista spostò leggermente lo specchietto laterale, posizionandolo in modo da vedere Gilgamesh e i gemelli che esploravano il fienile. L’edificio sorgeva in mezzo a un campo. I muri antichi e coperti di erbacce erano fatti di grossi blocchi di legno nero e fango. Le porte erano di epoca più recente, forse del Diciannovesimo secolo, intuì. Erano tutte e due appese di sghembo, e quella di destra si reggeva su un solo cardine. Erano entrambe marce, scheggiate dal tempo e rosicchiate dagli animali.
— Il ragazzo entrerà per primo — disse Palamede, guardando oltre la spalla dell’Alchimista.
Flamel annuì in silenzio.
— Devi fare attenzione anche con lui — lo ammonì il Cavaliere. — Devi separarlo dalla spada.
Nicholas regolò leggermente lo specchietto. Vide Josh che sfilava Clarent dal tubo ed entrava cauto nel fienile, seguito poco dopo dalla sorella e infine dal Re. — Gli serviva un’arma — disse l’Alchimista. — Gli serviva qualcosa per proteggersi.
— Peccato che fosse proprio quella spada. Ci sono altre spade. E non sono così pericolose, non così… affamate.
— La riprenderò quando avrà imparato una delle magie elementali — disse Flamel.
Palamede sbuffò. — Ci proverai. Dubito che ci riuscirai. — Ingranò la marcia. — Meglio che vada. Torno il prima possibile.
— Siamo al sicuro qui? — gli chiese Flamel, guardandosi intorno. Il campo era circondato da antiche querce ritorte; non c’erano tracce di abitazioni vicine né di linee elettriche. — C’è la possibilità che il proprietario si faccia vivo?
— Non credo proprio — rispose Palamede, con un ghigno. — Il fienile appartiene a Shakespeare, così come tutto il resto per chilometri intorno. Ha delle proprietà sparse per tutta l’Inghilterra. — Il Cavaliere diede un colpetto sul navigatore satellitare attaccato al parabrezza. — Le abbiamo tutte inserite qui; ecco come sono riuscito a portarvi in salvo.
Nicholas scosse la testa. — Non avrei mai immaginato che Will fosse un proprietario immobiliare… ma del resto, non me lo sarei nemmeno mai immaginato come meccanico.
Il Cavaliere annuì. — Era – ed è ancora – un attore. Recita molti ruoli. Ha cominciato a comprare proprietà nel Sedicesimo secolo, quando scriveva ancora. Diceva sempre che guadagnava più dalle sue terre che dalle sue commedie. Ma è meglio non credere alla metà di quello che dice; può essere un terribile bugiardo. — Palamede diede gas e girò il volante, facendo lentamente compiere al grosso taxi nero un semicerchio, mentre l’Alchimista lo seguiva a piedi. — Il fienile è invisibile dalla strada, e mi chiuderò il cancello dietro. — Il Cavaliere lanciò un’occhiata di sghembo a Flamel, quindi indicò con un cenno brusco del mento la struttura in rovina. — Hai davvero cercato di uccidere il Re, l’ultima volta che vi siete incontrati?
Nicholas scosse la testa. — Nonostante quello che pensi di me, Palamede, non sono un assassino. Nel 1945, io e Perenelle lavoravamo ad Alamogordo, nel Nuovo Messico. Era senza dubbio l’incarico perfetto per un alchimista. Anche se il nostro lavoro era protetto dal massimo livello di segretezza possibile, Gilgamesh in qualche modo scoprì i nostri piani.
— E quali erano questi piani? — chiese Palamede, confuso.
— La detonazione della prima bomba atomica. Gilgamesh voleva finirci sotto. Pensava che fosse l’unico modo in cui poteva morire davvero.
Il volto del Cavaliere saraceno si corrugò in una smorfia di compassione. — Che accadde poi?
— Perenelle lo fece ricoverare in un istituto, per il suo stesso bene. Lì ha trascorso dieci anni, finché non capimmo che ormai era al sicuro e che potevamo consentirgli di fuggire.
Palamede sbuffò. — C’è poco da meravigliarsi se ti detesta — disse. Poi fece rombare il motore e si allontanò in una nuvola di polvere.
— C’è poco da meravigliarsi, davvero — mormorò Nicholas. Aspettò che la polvere si posasse, quindi si voltò e si diresse verso il fienile. Sperava che Gilgamesh non ricordasse tutto – soprattutto la parte relativa all’istituto – almeno fino a quando non avesse insegnato ai gemelli la terza delle magie elementali.
Mentre varcava la soglia del fienile, l’Alchimista fu colto da un terribile dubbio: visto il suo stato mentale, il Re avrebbe ricordato l’antica Magia dell’Acqua?