CAPITOLO QUARANTOTTO
Il dottor John Dee era di fronte all’ampia finestra di cristallo di uno degli ultimi piani della Canary Wharf Tower, la sede londinese della Enoch Enterprises. Sorseggiando una tazza fumante di tisana, osservò i primi barlumi dell’alba che comparivano sull’orizzonte orientale.
Rasato di fresco, i capelli tirati indietro a scoprire il volto, vestito in giacca, pantaloni e gilet grigi, non somigliava affatto allo straccione che si era presentato alla guardiola del parcheggio meno di un’ora prima. Aveva fatto molta attenzione a evitare le videocamere, e un semplice incantesimo era bastato a far concentrare la guardia sulle caselle bianche e nere di un cruciverba; anche se avesse voluto, l’uomo non sarebbe stato in grado di distogliere lo sguardo dal giornale. Muovendosi nell’ombra del parcheggio vuoto, Dee si era fatto strada fino all’ascensore privato e aveva usato il suo codice personale – 13071527 – per raggiungere direttamente le suite dell’attico.
La Enoch Enterprises occupava un intero piano della Canary Wharf Tower, l’edificio più alto del Paese, nel cuore del distretto finanziario di Londra. Dee aveva uffici simili sparsi in tutto il mondo e, anche se vi si recava solo di rado, aveva una lussuosa suite privata in ognuno di essi. Ogni ufficio includeva un’alta cassaforte che si apriva solo con l’impronta della sua mano e la scansione della sua retina. Dentro c’erano vestiti, soldi in varie valute, carte di credito e un buon numero di passaporti con una dozzina di nomi diversi. In passato gli era successo di trovarsi in trappola, senza denaro né vestiti, e aveva giurato che non sarebbe più successo.
Solo quando si trovò sotto la doccia bollente, con l’acqua che lavava via lo sporco e la fuliggine, il Mago ebbe finalmente il tempo di riflettere sulle sue opzioni. E dovette ammettere che erano estremamente limitate.
Poteva trovare l’Alchimista, ucciderlo, recuperare le pagine mancanti e assicurarsi i gemelli.
Oppure poteva scappare.
Poteva fuggire dalla Gran Bretagna con un passaporto falso e nascondersi in un posto fuori mano, e convivere con la paura per il resto della sua vita, senza usare l’aura per non rivelare la propria posizione, guardandosi le spalle di continuo, aspettandosi sempre di veder comparire uno dei suoi padroni, pronto a imporgli le mani. Un tocco sulla sua pelle nuda, e l’incantesimo di immortalità si sarebbe spezzato, e lui sarebbe invecchiato e morto. O forse avrebbero mantenuto la promessa: lo avrebbero reso mortale e avrebbero lasciato che i suoi quasi cinquecento anni consumassero il suo corpo… e poi lo avrebbero reso di nuovo immortale, negli ultimi istanti di vecchiaia estrema. Dee rabbrividì. Sarebbe stata una morte in vita.
Uscendo dalla doccia, passò la mano sullo specchio appannato e fissò il suo riflesso. Era la sua immaginazione, o aveva delle nuove rughe sulla fronte e agli angoli degli occhi? Erano secoli che correva, per scappare dal pericolo o per inseguire l’Alchimista e gli altri come lui. Si era rintanato e nascosto, facendosi piccolo per timore degli Antichi Signori suoi padroni, obbedendo ai loro ordini senza fiatare.
Il vapore si addensò e corse lungo lo specchio, e sembrò che il riflesso del Mago stesse piangendo. Ma Dee non piangeva più; l’ultima volta che aveva versato delle lacrime era stato quando suo figlio Nicholas, ancora bambino, era morto nel 1597.
Lo studio della magia e della stregoneria aveva insegnato al Mago che il mondo era pieno di possibilità illimitate, e gli anni trascorsi a compiere ricerche alchemiche con Flamel gli avevano mostrato che niente – nemmeno la materia – era fisso e inalterabile: tutto si poteva manipolare. Aveva vissuto la sua lunga vita dedicandosi a cambiare il mondo, migliorandolo con il ritorno degli Oscuri Signori. In superficie sembrava un compito impossibile, le probabilità erano contro di lui, ma nel corso dei secoli si era avvicinato al successo, e ormai gli Oscuri Signori erano pronti a ritornare sulla Terra.
La sua situazione era disperata e pericolosa, ma poteva aggiustare le cose. La chiave alla sua sopravvivenza era semplice: doveva trovare Flamel.
Si vestì in fretta, godendosi il sollievo degli abiti puliti, poi si preparò una tisana e andò ad ammirare la città che era sotto il suo controllo. Stando di fronte alla finestra, scrutando il dedalo di strade, si rese conto dell’enormità del compito che lo aspettava; non aveva idea di dove l’Alchimista avesse portato i ragazzi.
Aveva sì degli agenti – umani e inumani – a Londra. Membri della Nuova Generazione e mercenari immortali pattugliavano le strade. Tutti avevano gli identikit più aggiornati dell’Alchimista e dei ragazzi, e Dee avrebbe aggiunto Palamede e il Bardo alla lista. Avrebbe raddoppiato – no, triplicato – la ricompensa. Era solo una questione di tempo, e qualcuno avrebbe individuato il gruppetto.
Ma lui di tempo non ne aveva.
Il cellulare ronzò nella tasca della giacca, quindi suonò i primi accordi della sigla di X-Files.
Dee fece una smorfia; quella suoneria non gli sembrava più tanto divertente. Posò la tazza, pescò il telefono e lo strinse forte in pugno prima di guardare lo schermo. Era il numero lunghissimo che si aspettava. Fu sorpreso che ci avessero messo tanto a raggiungerlo; forse si erano aspettati che fosse lui a fare rapporto. Lasciò che il dito aleggiasse sopra il tasto verde per un po’. Sapeva che nell’istante stesso in cui avrebbe risposto, gli Antichi Signori avrebbero saputo dove si trovava. Dubitava che sarebbe vissuto abbastanza da finire la sua tisana.
Così, si infilò il telefono in tasca senza rispondere e raccolse la tazza. Poi, un attimo dopo, ripescò il cellulare e digitò un numero a memoria.
Gli risposero al primo squillo.
— Ho bisogno di un favore — disse.
Niccolò Machiavelli saltò su dalla sedia. — Un favore? — chiese in italiano, senza neanche rendersene conto.
— Un favore — confermò Dee nella stessa lingua. — Senza dubbio avrai saputo della mia piccola difficoltà.
— Sto guardando il telegiornale: parlano di un incendio a Londra — disse Machiavelli, cauto, sapendo che tutto ciò che diceva poteva essere registrato. — Immagino che tu fossi coinvolto.
— Flamel e gli altri sono fuggiti in macchina — continuò Dee. — Devo prenderli.
— E così li stai ancora inseguendo?
— A costo della vita — rispose al Mago. — Un costo che potrei dover pagare prima di quanto desideri — aggiunse. — Ma ho giurato di compiere il mio dovere verso i miei padroni. Questo lo capisci, Machiavelli, vero?
L’italiano annuì. — Sì. — Tornò a sedersi. — Che cosa vuoi che faccia? — Lanciò un’occhiata all’orologio. Erano le 5.45 a Parigi. — Sappi che tra poche ore partirò per San Francisco.
— Ti chiedo solo una telefonata.
Machiavelli rimase in silenzio, deciso a non commentare. Sapeva che quella conversazione poteva essere molto pericolosa. Il suo padrone e quello di Dee erano in qualche modo in contrasto, ma volevano entrambi la stessa cosa: il ritorno degli Oscuri Signori sulla Terra. E lui sapeva di dover dimostrare che sosteneva quella causa in tutti i modi possibili. Al ritorno degli Oscuri Signori, la vera battaglia per il controllo del pianeta sarebbe iniziata. Naturalmente, sperava che il suo padrone e i seguaci del suo padrone trionfassero, ma se i padroni di Dee avessero preso il sopravvento, allora gli avrebbe fatto comodo avere il Mago come alleato. Machiavelli sorrise e si strofinò le mani; quelle macchinazioni gli ricordavano i bei vecchi tempi dei Borgia.
— Come capo dei servizi segreti francesi, avrai sicuramente dei contatti con la tua controparte britannica — continuò Dee.
— Naturalmente. — Machiavelli annuì. — Li contatterò. Li informerò che adesso i terroristi che hanno attaccato Parigi si trovano a Londra. Sono sicuro che le autorità inglesi si affretteranno a chiudere tutti gli aeroporti e le stazioni.
— Ci serviranno anche dei posti di blocco per le strade.
— Dovrebbe essere possibile. — Machiavelli ridacchiò. — Farò subito la telefonata.
Dee diede un colpetto di tosse. — Ti sono debitore.
— Lo so. — Machiavelli sorrise.
— Allora lascia che ti chieda un ultimo favore — aggiunse Dee. — Potresti aspettare, prima di informare i nostri Antichi Signori della mia posizione? Concedimi quest’ultimo giorno per trovare l’Alchimista.
Machiavelli esitò; poi disse: — Non lo dirò al tuo padrone. E sai che sono un uomo di parola.
— Sì.
— Hai un ultimo giorno a disposizione — cominciò l’italiano, ma Dee aveva già riattaccato. Machiavelli si rilassò sullo schienale e si picchiettò il labbro col cellulare. Poi cominciò a digitare un numero. Aveva promesso al Mago di non informare il suo padrone; ma il proprio Antico Signore avrebbe certamente voluto saperlo.
A Londra nastri di arancio e rosa striati di sfumature nere e purpuree comparvero all’orizzonte. Il Mago fissava il cielo; gli occhi grigi coglievano tutti i colori e li studiavano attentamente, mentre la tisana si raffreddava tra le sue mani. Sapeva che se non avesse ritrovato l’Alchimista e i gemelli, quella avrebbe potuto essere la sua ultima alba.