CAPITOLO QUATTORDICI
Senza pensarci su due volte Josh si scrollò il tubo dalla spalla e sfilò la spada con uno scossone. L’arma gli scivolò con facilità in mano; le dita si strinsero intorno all’elsa di pelle macchiata. Il ragazzo fece un passo avanti, mettendosi tra Shakespeare e la sorella.
L’immortale non li degnò di uno sguardo. Capovolse la padella in fiamme, rovesciandone il contenuto. Una mezza dozzina di quelle che sembravano salsicce carbonizzate cadde a terra; sfrigolarono e sibilarono al contatto col fango, ma continuarono a bruciare, mandando scintille roteanti nell’aria. Uno dei cani dagli occhi rossi sbucò da sotto la baracca, raccolse con la lunga lingua biforcuta un pezzo di carne infuocata e lo inghiottì tutto intero. Le fiamme trasformarono i suoi occhi in rubini, e quando la creatura si leccò le labbra, riccioli di fumo grigio fuoriuscirono dagli angoli della sua bocca.
Shakespeare si chinò ad accarezzare rudemente la testa dell’animale. Stava per voltarsi e salire le scale quando notò i gemelli. La luce smorta della sera si rifletteva sui suoi grossi occhiali, trasformandoli in specchi d’argento. — La nostra cena ha avuto una piccola disavventura — disse, svelando in un rapido sorriso i denti marci.
— Non fa niente. Non avevamo molta fame — si affrettò a rassicurarlo Sophie. — E sto cercando di rinunciare alla carne.
— Siete vegetariani?
— Più o meno — disse Sophie, e Josh concordò con un cenno.
— Potrebbe esserci un po’ di insalata dentro — disse Shakespeare, in tono vago. — Né io né Palamede siamo vegetariani. C’è della frutta — aggiunse. — Un sacco di frutta.
Josh annuì. — La frutta sarebbe perfetta. — Il solo pensiero della carne gli dava il voltastomaco.
Shakespeare sembrò notare solo allora la spada nelle mano di Josh. — “Rinfoderate quelle vostre spade che son sì belle lucide…” — mormorò. Facendo qualche passo avanti, tirò fuori un fazzoletto incredibilmente immacolato, si sfilò gli occhiali e cominciò a strofinarli.
Senza quelle lenti spesse, notò Sophie, somigliava di più all’immagine del famoso drammaturgo che lei aveva visto nei libri di scuola.
Shakespeare inforcò di nuovo gli occhiali e guardò Josh. — È Clarent?
Il ragazzo annuì. Se la sentiva tremare leggermente tra le mani e avvertiva un lento calore infiltrarsi nella sua carne.
L’immortale si chinò in avanti, portando il naso lungo e stretto a pochi centimetri dalla punta della lama. — Ho visto molte volte la sua gemella — disse in tono assente. — La lama è identica, ma l’elsa è leggermente diversa.
— È successo quando stava con Dee? — chiese Sophie.
Shakespeare annuì. — Quando stavo con il dottore, sì — confermò. Tese la mano e sfiorò con l’indice la punta della lama. La pietra scura scintillò e fu percorsa da una pallida striatura gialla, come se qualcuno avesse riversato un liquido lungo la lama, e una lieve traccia di limone si diffuse nell’aria. — Dee ha ereditato Excalibur dal suo predecessore, ma in realtà era questa l’arma che desiderava trovare. Le lame gemelle sono più antiche degli Antichi Signori, e risalgono addirittura a molto prima che Danu Talis emergesse dalle acque. Singolarmente, le spade sono potenti, ma secondo la leggenda, insieme avrebbero il potere di distruggere il tessuto stesso della realtà.
— Mi sorprende che Dee non l’abbia trovata — commentò Josh, con il fiato un po’ corto. Si sentiva la spada ronzare tra le mani, e strane immagini aleggiavano ai margini della sua coscienza. In qualche modo, capì che erano i ricordi di Shakespeare.
Un edificio circolare in fiamme…
Una tomba miseramente piccola, e una giovane donna in piedi sull’orlo della fossa, che vi gettava dentro un pugno di terra…
E Dee. Un po’ più giovane di come Josh lo ricordava, con il volto senza rughe, i capelli scuri e folti, il pizzetto senza un’ombra di grigio.
— Il Mago ha sempre ritenuto che la spada fosse andata persa in un lago tra i monti del Galles — continuò Shakespeare. — L’ha cercata lì per decenni.
— Flamel l’ha trovata in una grotta in Andorra — disse Sophie. — Ritiene che Carlo Magno l’abbia nascosta lì nel Nono secolo.
Shakespeare sorrise. — E così il Mago si è sbagliato. È consolante sapere che il dottore non ha sempre ragione.
Sophie sbucò da dietro le spalle di Josh e gli abbassò il braccio. Il vento che incontrò la lama gemette. — Lei è… è davvero William Shakespeare? Il Bardo? — chiese. Pur con tutto quello che aveva visto e sperimentato negli ultimi giorni, quell’idea la lasciava ancora sgomenta.
L’ometto fece un passo indietro ed eseguì un inchino flessuoso e sorprendentemente elegante, con la gamba distesa e il capo chino fin quasi al ginocchio. — Per servirla, mia signora. — L’effetto fu un po’ rovinato dal fetore di corpo non lavato che emanò nel gesto. — Ma ti prego, chiamami Will.
Sophie non sapeva come reagire. — Non ho mai incontrato nessuno di famoso prima d’ora… — cominciò, ma si interruppe quando si rese conto di quello che stava dicendo.
Shakespeare si raddrizzò.
Josh tossì e si allontanò di qualche passo, con le lacrime agli occhi.
— Avete già incontrato Nicholas e Perenelle Flamel — replicò Shakespeare. — Il dottor John Dee, il conte di Saint-Germain e, naturalmente, Niccolò Machiavelli — continuò. — E senza dubbio avete conosciuto anche l’affascinante Giovanna d’Arco.
— Sì, li abbiamo conosciuti tutti — confermò Sophie, con un sorriso timido. — Ma nessuno è paragonabile a lei.
William Shakespeare rifletté per un attimo, quindi annuì. — Sono certo che Machiavelli e Dee non sarebbero d’accordo. Ma sì, hai ragione, naturalmente. Nessuno di loro ha… — fece una pausa — … il mio profilo. La mia opera prospera ancora dopo tutto questo tempo, mentre le loro non sono così popolari.
— Ed è stato davvero al servizio di Dee? — domandò Josh all’improvviso, cogliendo l’opportunità di ottenere qualche risposta.
Il sorriso di Shakespeare si spense. — Ho trascorso venti anni al suo servizio.
— Perché? — chiese Josh.
— Ci hai mai parlato? — replicò l’immortale.
Josh annuì.
— Allora sai che Dee è il più pericoloso dei nemici: è davvero convinto di essere nel giusto.
— Lo ha detto anche Palamede — mormorò Josh.
— Ed è vero. Dee è un bugiardo, ma ormai ho compreso che crede alle bugie che dice. Perché vuole crederci, ha bisogno di crederci.
Un rapido e rado scroscio di pioggia percorse il cortile, tintinnando sui rottami.
— Ma ha ragione? — chiese Josh, chinandosi mentre i goccioloni di pioggia colpivano la parete metallica della baracca. Tese una mano e afferrò l’immortale per un braccio. La sua aura divampò all’istante, scintillando di un acceso color oro arancio, mentre intorno al corpo di Shakespeare si profilava una pallida aura gialla. Il profumo delle arance si mescolò a quello dei limoni e, al contrario di quanto ci si sarebbe potuti aspettare, il risultato fu acido e sgradevole, corrotto dal tanfo dell’immortale.
Dee, più giovane, con il volto privo di rughe, i capelli e la barba scuri, che scrutava in un cristallo enorme, con un giovane Shakespeare dagli occhi sgranati al suo fianco.
Immagini nel cristallo…
Prati verdi e rigogliosi…
Distese di alberi carichi di frutti…
Mari spumeggianti di pesci…
— Ma allora… lei crede che Dee dovrebbe riportare gli Antichi Signori in questo mondo?
William Shakespeare si avviò sulle scale. — Sì — rispose, senza voltarsi. — Le mie ricerche personali mi hanno indotto a credere che potrebbe essere la decisione giusta.
— Perché? — domandarono i gemelli.
Il Bardo si voltò a guardarli. — La maggior parte degli Antichi Signori ha abbandonato la Terra. La Nuova Generazione tratta gli homines come giocattoli e sfrutta il pianeta come campo giochi o campo di battaglia. Ma noi homines siamo i più pericolosi di tutti. Stiamo distruggendo questo mondo. Credo che abbiamo bisogno del ritorno degli Oscuri Signori, affinché salvino la Terra dalla nostra stessa distruzione.
Sbigottiti, i gemelli si guardarono senza sapere più che pesci pigliare. — Ma Nicholas ha detto che gli Oscuri Signori si servono degli uomini come cibo — replicò Josh.
— Alcuni sì, è vero. Ma non tutti loro mangiano la carne; alcuni si nutrono di ricordi e di emozioni. Sembra un piccolo prezzo da pagare per un paradiso senza fame e senza malattie.
— Ma perché avremmo bisogno degli Oscuri Signori? — domandò Sophie. — L’Alchimista, Dee e gli altri immortali non possiedono forse già abbastanza poteri e conoscenze per salvare il mondo?
— Non credo.
— Ma Dee è potente… — cominciò Josh.
— Non chiedetemi nulla di lui; non ho risposte.
— Ma ha trascorso con lui venti anni; deve conoscerlo meglio di chiunque altro — obiettò Sophie.
— Nessuno conosce veramente il Mago. L’ho amato come un padre, come un fratello maggiore. Era tutto ciò che ammiravo, tutto ciò che desideravo essere. — Una singola lacrima comparve sotto le spesse lenti dell’immortale e rotolò lungo la sua guancia. — E lui mi ha tradito e ha ucciso mio figlio.