CAPITOLO SEI
L’uomo riempiva con la sua mole tutto il sedile anteriore. Si voltò a guardarli attraverso il vetro che separava l’autista dai passeggeri, e i gemelli si resero conto che non era il grasso a renderlo così ingombrante: erano i muscoli. Una camicia senza maniche, a strisce bianche a nere, si tendeva sul suo petto massiccio, e l’uomo era così alto che il cranio rasato sfiorava il tetto della macchina. La pelle era di un marrone intenso e scuro, intonata al colore degli occhi, e i denti erano così bianchi da sembrare quasi innaturali. Sulle guance, proprio sotto gli occhi, c’erano tre cicatrici orizzontali. — Siete appena arrivati e avete già suscitato un vespaio — disse. La voce era un brontolio profondo. — Mentre venivo qui, ho intravisto delle creature che non mettevano piede su questa terra da generazioni. — Sorrise. — Sono Palamede, comunque. — Poi scosse la testa. — E non chiamatemi mai Pally.
— Palamede il Saraceno? — chiese Flamel, sbigottito, sporgendosi in avanti per scrutare meglio l’autista. — Uno dei cavalieri della Tavola Rotonda?
— In persona — confermò l’autista. Poi si voltò, abbrancò il volante e si rituffò nel traffico senza azionare le frecce, suscitando un coro di clacson e di frenate. Mostrò il cellulare all’Alchimista. — Francis mi ha dato solo i dettagli indispensabili. Di solito, non mi faccio coinvolgere nelle dispute tra le varie fazioni dell’Antica Razza – è più sicuro – ma quando mi ha detto che si trattava dei gemelli leggendari ho capito di non avere scelta. — Scrutò i ragazzi dallo specchietto retrovisore.
Josh afferrò la mano della sorella e la strinse forte, per impedirle di pensare a Palamede. Anche se lui non ne aveva mai sentito parlare, non dubitava che il sapere della Strega di Endor avrebbe informato Sophie sul conto dell’autista.
L’uomo aveva la corporatura di un giocatore di rugby o di un lottatore professionista, e parlava inglese con uno strano accento. Josh pensò che forse era egiziano. Quattro anni prima, la famiglia Newman al completo aveva fatto un viaggio in Egitto; avevano trascorso un mese a visitare i monumenti, e l’accento melodioso dell’uomo era simile a quello che si poteva ascoltare all’ombra delle piramidi. Il ragazzo si sporse in avanti per guardarlo meglio. Mani massicce e dalle dita tozze serravano il volante; i polsi erano grossi e le nocche indurite dai calli. Josh aveva notato mani simili su alcuni dei sensei dei maestri con cui si era allenato; di solito appartenevano a qualcuno che aveva studiato karate, kung fu o boxe per anni.
— Aspettate. — Palamede fece un’inversione vietata e ripartì per la strada da cui erano venuti. — Restate seduti e acquattati nell’ombra — li avvertì. — Ci sono talmente tanti taxi per strada che siamo praticamente invisibili; nessuno ci degnerà di uno sguardo. E loro non si aspetteranno mai di vedervi tornare indietro.
Josh annuì. Era una strategia intelligente. — “Loro” chi? — domandò.
Prima che Palamede potesse rispondere, Nicholas si irrigidì all’improvviso, guardando fuori dal finestrino.
— Li vedi? — chiese Palamede.
— Li vedo — bisbigliò l’Alchimista.
— Chi? — domandarono Sophie e Josh all’unisono, facendosi avanti e seguendo la direzione dello sguardo di Flamel.
— I tre uomini sull’altro lato della strada.
Un trio di giovani con la testa rasata, pieni di piercing e tatuaggi, raggiunse con passo spavaldo il centro della strada. Con i jeans scoloriti, le magliette sporche e gli anfibi, avevano un’aria minacciosa, ma non particolarmente soprannaturale.
— Se socchiudete gli occhi, dovreste riuscire a scorgere la loro aura — spiegò Flamel.
I gemelli ridussero gli occhi a poco più di due fessure, e scorsero subito le orribili volute grigie di luce affumicata che il trio emanava. Il grigio era punteggiato di viola.
— Cucubuth — spiegò Palamede.
L’Alchimista annuì. — Molto rari. Sono figli di un vampiro e di un Torc Madra — chiarì a beneficio dei gemelli. — Spesso hanno la coda. Sono mercenari, cacciatori. E si nutrono di sangue.
— Una vera feccia. — Palamede si accostò a un autobus, schermando così la macchina alla vista dei Cucubuth. — Seguiranno la vostra aura fino alla chiesa, poi non la sentiranno più. E questo li confonderà. Con un po’ di fortuna, si metteranno a litigare e cominceranno a darsele tra loro.
La macchina rallentò, poi si fermò al rosso.
— Laggiù, al semaforo — bisbigliò Nicholas.
— Sì, gli sono passato davanti mentre venivo qui — confermò Palamede.
I gemelli scrutarono l’incrocio, ma non videro nulla fuori dall’ordinario.
— Chi? — domandò Sophie.
— Le studentesse — brontolò Palamede.
Due giovani donne con i capelli rossi e la carnagione pallida chiacchieravano aspettando il verde. Si somigliavano abbastanza da poter essere sorelle, e sembravano indossare delle uniformi scolastiche. Entrambe avevano delle borsette dall’aria costosa.
— Non le guardate — li avvertì Palamede. — Sono come gli animali: si accorgono quando vengono osservate.
Sophie e Josh fissarono il pavimento, e fecero del loro meglio per non pensare alle due ragazze. Nicholas raccolse un giornale che aveva trovato sul sedile posteriore e lo aprì davanti al viso, concentrandosi sull’articolo più noioso che riuscì a trovare: i tassi di cambio delle valute.
— Stanno attraversando proprio di fronte a noi — mormorò Palamede, voltandosi a guardare nell’abitacolo e nascondendo il viso. — Sono sicuro che non mi riconoscerebbero, ma non voglio correre il rischio.
Scattò il verde, e il taxi ripartì con il resto del traffico.
— Dearg Due — disse Flamel, anticipando la domanda dei gemelli. Si voltò a guardare dal lunotto posteriore. I capelli rossi delle ragazze erano ancora visibili mentre si mescolavano in mezzo alla folla. — Vampiri che si stanziarono sulle future isole celtiche dopo la caduta di Danu Talis.
— Come Scatty? — chiese Sophie.
Nicholas scosse la testa. — Per niente. I Dearg Due non sono vegetariani.
— Anche loro erano dirette alla chiesa — osservò Palamede, ridacchiando. — Se si imbattono nei Cucubuth, ci sarà un incontro interessante. Si odiano.
— Chi vincerebbe? — chiese Sophie.
— Le Dearg Due, senza dubbio — rispose Palamede, con un sorriso allegro. — Ho combattuto contro di loro in Irlanda. Sono micidiali, impossibili da uccidere.
Continuarono lungo Marylebone Road e svoltarono su Hampstead Road. Il traffico rallentò a passo d’uomo, finché non si interruppe del tutto. Da qualche parte di fronte a loro, i clacson cominciarono a suonare e un’ambulanza accese la sirena.
— Forse staremo fermi per un po’. — Palamede tirò il freno a mano e si voltò di nuovo a guardare i gemelli e Flamel. — Così tu saresti il leggendario Nicholas Flamel, l’Alchimista. Ho sentito molto parlare di te nel corso degli anni, e mai bene. Sapevi che in certi Regni d’Ombra usano il tuo nome come un’imprecazione?
I gemelli rimasero stupiti dalla foga con cui lo disse. Non capivano se stesse scherzando.
Palamede si concentrò sull’Alchimista. — Morte e distruzione ti seguono ovunque…
— Gli Oscuri Signori sono stati spietati nei loro tentativi di fermarmi — replicò Flamel, con una nota distintamente gelida nella voce.
— Per non parlare di incendi, carestie, inondazioni e terremoti — continuò Palamede, ignorando l’interruzione.
— Cosa stai insinuando? — chiese Nicholas, stizzito, e per un attimo un soffio di menta aleggiò sui sedili posteriori del taxi. L’Alchimista si sporse in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia, con le mani intrecciate strette.
— Sto insinuando che forse avresti dovuto scegliere dei luoghi meno popolosi per trascorrere la tua lunga vita. L’Alaska, forse, oppure la Mongolia, la Siberia, l’Outback australiano o qualche sperduto avamposto dell’Amazzonia. Luoghi disabitati. Luoghi privi di potenziali vittime.
Un silenzio gelido calò sui sedili posteriori dell’auto.
I gemelli si scambiarono uno sguardo. Josh alzò le sopracciglia in una domanda muta, ma Sophie scosse impercettibilmente la testa, e si schiacciò il lobo di un orecchio con l’indice. Josh afferrò il messaggio: taci e ascolta.
— Stai insinuando che ho causato morti innocenti? — chiese Flamel.
— Oh, sì.
Il volto pallido di Flamel avvampò. — Io non ho mai…
— Potevi scomparire dal mondo — incalzò Palamede, con una voce profonda che vibrava per tutto l’abitacolo. — Hai finto la tua morte una volta, potevi farlo di nuovo, e rifugiarti in qualche posto remoto e inaccessibile. Potevi perfino fuggire in un Regno d’Ombra. Ma non l’hai fatto. Hai scelto di rimanere in questo mondo. Perché?
— Ho il dovere di proteggere il Codice — sbottò l’Alchimista, con una rabbia genuina nella voce, mentre il profumo di menta si intensificava, riempiendo l’aria.
I clacson cominciarono di nuovo a strombazzare. Palamede si voltò, allentò il freno a mano e ripartì. — Il dovere di proteggere il Codice — ripeté, fissando davanti a sé. — Nessuno ti ha costretto a diventare il Guardiano del Libro. Hai accettato il ruolo di buon grado e senza fiatare… proprio come gli altri Guardiani prima di te. Però eri diverso dai tuoi predecessori. Loro si sono dati alla macchia. Ma tu no. Tu sei rimasto in questo mondo. E per colpa di questa scelta, molti homines sono morti: un milione nella sola Irlanda, più di centoquarantamila a Tokyo.
— Uccisi da Dee e dagli Oscuri Signori!
— Dee ha seguito te.
— Se io avessi ceduto il Libro di Abramo, gli Oscuri Signori sarebbero tornati in questo mondo e la Terra avrebbe conosciuto il vero significato della parola Armageddon — ribatté Flamel in tono asciutto. — Il solo spalancarsi dei Regni d’Ombra avrebbe provocato onde d’urto su tutto il pianeta, causando uragani, terremoti e tsunami. I morti sarebbero stati milioni. Pitagora una volta ha calcolato che il solo evento iniziale avrebbe annientato metà dell’intera popolazione mondiale. E poi gli Oscuri Signori si sarebbero riversati in questo mondo. Ne hai conosciuti alcuni, Palamede; sai come sono fatti, sai di che cosa sono capaci. Se dovessero mai tornare sul pianeta, sarebbe una catastrofe di proporzioni globali.
— Dicono che sarebbe l’alba di una nuova Età dell’Oro — replicò Palamede.
Josh osservò il volto di Flamel per studiare come reagiva; Dee aveva fatto la stessa dichiarazione.
— Dicono così, ma è una menzogna. Hai visto quello che hanno fatto per cercare di strapparmi il Libro, tutte le morti che hanno causato. Dee e gli Oscuri Signori non hanno alcun riguardo per la vita umana — ribatté l’Alchimista.
— E tu ce l’hai, Nicholas Flamel?
— Il tuo tono non mi piace.
Nello specchietto retrovisore il sorriso di Palamede era feroce. — Non mi interessa se ti piace o no. Perché tu non mi piaci affatto, né mi piacciono quelli come te, che pensano di sapere cosa è meglio per il mondo. Chi ti ha nominato guardiano degli homines?
— Io non sono il primo; ce ne sono stati altri prima di me.
— Di quelli come te ce ne sono sempre stati, Nicholas Flamel. Sono quelli che pensano di saperla lunga, quelli che decidono cosa la gente dovrebbe vedere, leggere e ascoltare, quelli che a conti fatti cercano di plasmare il pensiero e le azioni del resto del mondo. È tutta la vita che combatto contro quelli come te.
Josh si sporse in avanti. — Sta dalla parte degli Oscuri Signori?
Ma fu Flamel a rispondere in tono sprezzante. — Il Cavaliere saraceno non prende posizione da secoli. Proprio come Ecate.
— Un’altra delle tue vittime — commentò Palamede. — Sei stato tu a portare la rovina nel suo mondo.
— Se mi disprezzi tanto, che cosa ci fai qui? — replicò Flamel, gelido.
— Francis mi ha chiesto una mano, e nonostante i suoi molti difetti, o forse proprio per questi, lo considero un amico. — Palamede ammutolì. Poi i suoi occhi marroni guizzarono sullo specchietto retrovisore per scrutare Sophie e Josh. — E, naturalmente, per via di questa ultima coppia di gemelli — aggiunse.
Sophie pose subito la domanda che si stava formando sulle labbra del fratello. — In che senso, questa ultima coppia?
— Pensate di essere i primi? — Palamede scoppiò a ridere. — L’Alchimista e sua moglie cercano i gemelli della leggenda da secoli. Hanno trascorso gli ultimi cinquecento anni a collezionare giovani proprio come voi.
I ragazzi si guardarono scioccati.
Josh si fece avanti, esitante. — Cos’è successo agli altri?
Palamede ignorò la domanda, perciò Josh si voltò verso Nicholas. — Cos’è successo agli altri? — ripeté, alzando la voce incrinata. Per un brevissimo istante, gli comparve un bagliore dorato negli occhi.
L’Alchimista abbassò lo sguardo, poi – lentamente, con cura – si staccò le dita di Josh dal braccio, dove il ragazzo lo aveva afferrato.
— Me lo dica! — Josh lesse nel suo sguardo che stava per rispondergli con una bugia, e scosse la testa. — Ci meritiamo la verità! — sbottò. — Ce lo dica.
Flamel trasse un respiro profondo. — Sì — disse infine. — Ce ne sono stati altri, è vero, ma non erano i gemelli della leggenda. — Poi appoggiò la testa allo schienale e incrociò le braccia al petto. Guardò prima Josh e poi Sophie; il suo volto era una maschera inespressiva. — Voi invece sì.
— Cos’è successo agli altri gemelli? — domandò Josh, con voce che tremava in un misto di rabbia e di paura.
L’Alchimista si voltò a guardare fuori dal finestrino.
— Ho sentito dire che sono morti — disse Palamede, dal sedile anteriore. — Morti o impazziti.