CAPITOLO SEDICI
Dall’esterno, la lunga struttura di metallo al centro dello spiazzo fangoso sembrava fatiscente e in rovina; come tutto il resto del deposito; però, era soltanto una facciata. Dentro, regnavano l’ordine e la pulizia. Un capo della stanza era adibito a cucina e soggiorno, con un lavandino, un frigorifero e un forno disposti accanto a un tavolo. La sezione centrale della baracca conteneva una scrivania a più ripiani, con un computer e due schermi LCD identici, mentre al capo opposto c’erano un grande televisore al plasma e due divani di pelle. Un trio di basse colonne di metallo conteneva dozzine di DVD.
Quando i gemelli entrarono alle spalle di Shakespeare, capirono subito di avere appena interrotto una lite. Flamel e Palamede erano in piedi l’uno di fronte all’altro ai due capi del piccolo tavolo di legno della cucina, il Cavaliere con le braccia piegate sul petto massiccio, l’Alchimista con i pugni chiusi. L’aria era acida degli odori mescolati delle loro aure.
— Penso che dovreste aspettare fuori — disse Nicholas con calma, guardando prima Sophie e Josh. — Tra qualche minuto avremo finito.
Sophie fece per andarsene, ma Josh la spinse avanti. — No, io credo che dovremmo restare — disse in tono fermo. Guardò prima Palamede e poi l’Alchimista. — Se avete qualcosa da dire, dovreste dirla di fronte a noi. Dopotutto, questa storia riguarda noi, no? — Lanciò un’occhiata alla sorella. — Noi siamo… com’è che si dice?
— Il catalizzatore — lo imbeccò lei.
Josh annuì. — Il catalizzatore — ripeté, anche se non era quella la parola che stava cercando. Scrutò la stanza, trattenendo gli occhi sul computer, quindi si voltò a guardare la sorella. — Detesto quando gli adulti ti mandano fuori dalla stanza per parlare di te, tu no?
Sophie concordò. — Anch’io, sì.
— Non stavamo parlando di voi — si affrettò a dire Flamel. — Questo non ha niente a che vedere con voi, a dire il vero. Si tratta di una faccenda in sospeso tra me e il signor Shakespeare.
Josh si fece avanti, concentrandosi per tenere la voce piatta e impedirle di tremare — In questo momento, tutto quello che succede ci riguarda. — Fissò l’Alchimista dritto negli occhi. — Lei ci ha quasi uccisi. Ha cambiato la nostra vita ir… irre… irrevo…
— Irrevocabilmente — concluse Sophie.
— Irrevocabilmente — ripeté Josh. — E se voi due avete un problema, il problema è anche nostro. Dobbiamo sapere di che si tratta.
Sophie mise una mano sulla spalla del fratello e gli diede una stretta di incoraggiamento.
Palamede sorrise, un rapido lampo di denti bianchi. — Il ragazzo ha grinta. Mi piace.
Il volto di Flamel era una maschera impassibile, ma i suoi occhi chiari si erano rannuvolati. Gli pulsava una vena sulla fronte. Piegando le braccia sul petto, indicò Palamede con un cenno del capo. — Se proprio dovete saperlo, non ho nulla contro il Cavaliere saraceno. — Spostò lentamente la testa, indicando l’ometto con la tuta da meccanico che in quel momento stava tirando fuori dei sacchetti di frutta dal frigo. — Ho un problema con lui. Un grosso problema.
Shakespeare lo ignorò. — Cosa vi va di mangiare? — chiese, rivolto ai gemelli. — So che non volete carne, ma abbiamo un sacco di frutta, fresca di giornata. E Palamede ha preso dell’ottimo pesce al mercato di Billingsgate. — Rovesciò la frutta nel lavello e aprì i rubinetti al massimo. L’acqua tuonò sul metallo.
— Solo la frutta — replicò Sophie.
Palamede guardò i gemelli. — Questa disputa non ha niente a che vedere con voi; risale a secoli fa. Però sono d’accordo: si riflette anche su di voi. Su tutti noi. — Tornò a guardare l’Alchimista. — Se vogliamo sopravvivere, dobbiamo – tutti quanti – mettere da parte le antiche liti e le vecchie abitudini. Tuttavia suggerirei di parlarne dopo mangiato — concluse, con la sua voce cupa.
— Vogliamo delle rispose ora — ribatté Josh. — Siamo stanchi di essere trattati da bambini.
Il Cavaliere si inchinò. Poi si rivolse all’Alchimista. — Hanno diritto a delle risposte.
Nicholas Flamel si strofinò le mani sulla faccia. Aveva delle borse livide sotto gli occhi, e le rughe della fronte si erano fatte più profonde. Sophie notò che sul dorso delle mani avevano cominciato a spuntargli delle macchioline scure. L’Alchimista aveva detto che sarebbe invecchiato al ritmo di almeno un anno al giorno, ma la ragazza pensò che dimostrasse almeno dieci anni di più rispetto alla settimana precedente.
— Prima che continuiamo — disse Nicholas, l’accento francese più marcato per la stanchezza — devo ammettere di sentirmi a disagio a discutere di qualunque cosa di fronte a… — Alzò la testa e guardò Shakespeare. — Lui.
— Ma perché? — domandò Sophie, frustrata. Prese una sedia e crollò a sedere.
Josh si sistemò accanto a lei. Palamede esitò ancora per un attimo, quindi si sedette anche lui. Solo l’Alchimista e il Bardo rimasero in piedi.
— Ha tradito me e Perenelle — ringhiò Flamel. — Ci ha venduti a Dee.
I gemelli si voltarono a guardare il Bardo, che stava disponendo uva, mele, pere e ciliegie su dei piatti.
— Questo è vero — disse Shakespeare.
— Per causa sua, Perenelle è rimasta ferita e ha rischiato di morire — sbottò l’Alchimista.
I gemelli guardarono di nuovo il Bardo.
Lui annuì. — Era il 1576 — disse piano, sollevando lo sguardo dal tavolo, con gli occhi celesti ingranditi dalle lenti e carichi di lacrime non versate.
Josh si abbandonò sullo schienale della sedia, sbigottito. — State litigando per qualcosa che è successo più di quattrocento anni fa? — chiese, incredulo.
Shakespeare si voltò per parlare direttamente ai ragazzi. — Io avevo solo dodici anni, meno di quanti ne abbiate voi adesso. — Mosse le labbra, scoprendo i denti gialli. — Ho commesso un errore – un terribile errore – e sono secoli che ne pago il prezzo. — Lanciò un’occhiata a Flamel. — Ero il suo apprendista. Lui aveva una piccola libreria a Stratford, dove sono cresciuto.
Josh si voltò a guardare Nicholas.
— Non mi trattava bene.
Flamel levò la testa di scatto e aprì la bocca per parlare.
Ma Shakespeare continuò. — Non ero privo di istruzione: avevo frequentato la King’s New School, e sapevo leggere e scrivere in inglese, latino e greco. Fin da allora, piccolo com’ero, sapevo di voler diventare uno scrittore, e convinsi mio padre a procurarmi un posto presso la libreria del signor Fleming. — Gli occhi di Shakespeare fissavano l’Alchimista, e sia le sue parole sia il suo accento stavano cambiando, diventando più formali, quasi arcaici. — Volevo leggere, studiare e scrivere; il signor Fleming invece mi faceva spazzare i pavimenti, fare commissioni e portare pacchi di libri per tutta la città.
L’Alchimista aprì di nuovo la bocca, ma preferì richiuderla senza aver detto nulla.
— Poi a Stratford comparve il dottor Dee. Allora era famoso, lo sapete. Era stato al servizio di due regine, Maria ed Elisabetta, e aveva ancora la testa attaccata al collo, cosa non da poco per l’epoca. Era vicino a Elisabetta; si diceva che avesse perfino scelto il giorno della sua incoronazione. E pare che avesse la più grande biblioteca d’Inghilterra — continuò Shakespeare. — Perciò fu più che naturale che si presentasse in libreria. Stranamente però i Fleming, che lasciavano di rado quell’alloggio e mai la città, quel giorno non erano in casa. La bottega era stata affidata a uno dei loro assistenti, un uomo con la faccia da cavallo di cui non sono mai riuscito a rammentarmi il nome.
— Sebastian — mormorò Flamel.
Shakespeare puntò gli occhi umidi sul volto dell’Alchimista e annuì. — Sebastian, sì. Ma Dee non era interessato a lui. Parlò con me, prima in inglese, poi in latino, poi in greco. Mi chiese di consigliargli un libro – gli suggerii la Medea di Ovidio – e poi mi domandò se fossi felice della mia posizione. — Gli occhi celesti di Shakespeare inchiodarono quelli di Flamel. — Gli dissi di no. E Dee mi offrì un posto da apprendista. Di fronte alla scelta tra restare nella mia umile posizione di assistente libraio o diventare l’apprendista di uno degli uomini più potenti d’Inghilterra, come potevo rifiutare?
Josh annuì. Avrebbe fatto anche lui la stessa cosa.
— Così divenni l’apprendista di Dee. Di più, forse: giunsi a credere che mi considerasse perfino come un figlio. Certo è che fu lui a crearmi.
Sophie si sporse in avanti, con i gomiti sul tavolo, confusa. — In che senso?
Gli occhi di Shakespeare si rannuvolarono per la tristezza. — Dee vide qualcosa in me – una fame di sensazioni, una brama d’avventura – e si offrì di addestrarmi e di istruirmi come i Fleming – i Flamel – non volevano o non erano in grado di fare. Il Mago mantenne la parola, e mi mostrò meraviglie. Mi condusse in mondi inconcepibili, nutrì la mia immaginazione, mi diede libero accesso alla sua incredibile biblioteca, e io ne trassi la lingua necessaria a dare forma e voce ai mondi che avevo sperimentato. È grazie a John Dee se sono diventato il poeta William Shakespeare.
— Hai tralasciato la parte in cui ti chiese di introdurti in casa nostra in piena notte per rubare il Codice — intervenne Nicholas Flamel, gelido. — E quando tu fallisti, Dee ci accusò di essere spie spagnole. Cinquanta guardie della regina circondarono la libreria e attaccarono senza preavviso. Sebastian rimase ferito e Perenelle fu colpita da un moschetto su una spalla. Rischiò di morire.
Shakespeare ascoltò quelle parole e annuì. — Io e Dee non eravamo a Stratford quando ciò accadde, e ne venni a conoscenza solo molto, molto tempo dopo — disse in un sussurro. — E ormai era troppo tardi, naturalmente. Ero del tutto in suo potere: mi aveva convinto che sarei potuto diventare il poeta che desideravo essere. Anche se sembrava impossibile, gli credetti. Mio padre era un guantaio e un commerciante di lana; non c’erano né scrittori, né poeti o drammaturghi nella mia famiglia, e nemmeno attori. — Shakespeare scosse lievemente il capo. — Forse avrei dovuto seguire le orme di mio padre.
— Il mondo sarebbe stato un luogo ben più misero — disse Palamede, che stava attentamente osservando Shakespeare e Flamel.
— Mi sposai. Ebbi dei figli — continuò il Bardo, parlando più in fretta, concentrandosi soltanto sull’Alchimista. — Prima una bambina, la mia bella Susanna; poi, due anni dopo, i gemelli. Hamnet e Judith.
Sophie e Josh drizzarono la schiena, scambiandosi un rapido sguardo; non avevano mai sentito parlare dei gemelli di Shakespeare.
Ci fu una lunga pausa. Infine il Bardo immortale fece un respiro profondo e tremante. Posò le mani dalle lunghe dita affusolate sulla tavola e guardò i gemelli. — Fu allora che scoprii il motivo per cui Dee era interessato a me. Aveva scoperto in qualche modo che avrei avuto dei gemelli, e riteneva che fossero i gemelli leggendari profetizzati nel Codice. Nel 1596 ero a Londra, non abitavo più nella mia casa di Stratford. Dee fece visita a mia moglie e si offrì di istruire i gemelli. Lei scioccamente accettò, sebbene all’epoca cominciassero già a circolare orribili voci sul conto del dottore. Pochi giorni dopo, Dee provò a risvegliare Hamnet. — Shakespeare chinò il capo. — Mio figlio aveva undici anni. Il Risveglio lo uccise.
Nessuno osò spezzare il lungo silenzio che seguì. Si sentiva solo il ticchettio della pioggia sul tetto di metallo.
Alla fine, Shakespeare alzò lo sguardo e scrutò l’Alchimista, con gli occhi lucidi, mentre le lacrime gli rigavano le guance. Girò intorno al tavolo fino a portarsi direttamente di fronte a Flamel. — Un giovane sciocco ti ha tradito per ignoranza e stupidità. Alla fine, ho pagato per quel gesto con la vita di mio figlio. Nicholas, non sono tuo nemico. Odio Dee in un modo che non puoi nemmeno cominciare a comprendere. — Shakespeare afferrò il braccio dell’Alchimista e strinse le dita. — È da tanto tempo che aspetto di rivederti. Noi conosciamo più cose riguardo al Mago di chiunque altro sul pianeta. Sono stanco di scappare e di nascondermi. È giunta l’ora di mettere in comune le nostre conoscenze, di lavorare insieme. È giunta l’ora di dare battaglia a Dee e agli Oscuri Signori. Che ne dici?
— È un’ottima strategia — disse Josh, prima che Flamel potesse rispondere. Era consapevole, perfino mentre lo diceva, che era Marte a parlare per lui. — State scappando da una vita; Dee non si aspetterà che cambiate tattica.
Palamede posò le grosse braccia sul tavolo. — Il ragazzo ha ragione — sospirò. — Il Mago vi ha intrappolati qui a Londra. Se scappate, vi catturerà.
— E se restiamo qui, ci catturerà lo stesso — aggiunse Josh.
Nicholas Flamel fece scorrere lo sguardo intorno al tavolo, preoccupato. — Non sono sicuro — disse infine. — Se solo potessi parlare con Perenelle… Lei saprebbe cosa fare.
Shakespeare sorrise per la prima volta da quando i gemelli erano arrivati. — Questo si può fare.