CAPITOLO DUE
Le strade erano vuote, dato che il temporale aveva spinto molta gente a rifugiarsi nella stazione o nei negozi dei paraggi. Il traffico su Euston Road si era fermato, e i tergicristalli sbattevano furiosi sui finestrini. I clacson strombazzavano; l’allarme di un’auto vicina cominciò a suonare.
— Restate con me — ordinò Nicholas, quindi si voltò e si tuffò in strada, insinuandosi nel traffico bloccato.
Sophie lo seguì.
Josh esitò prima di abbandonare il marciapiede, e si voltò a guardare la stazione. Le tre figure si erano riunite nell’ingresso, con le teste e i volti nascosti nei cappucci. Mentre la pioggia tingeva di verde scuro le loro giacche a vento, Josh avrebbe giurato che per un attimo si trasformassero in mantelli. Rabbrividì, e stavolta non solo per colpa dello scroscio di pioggia. Poi si voltò e si tuffò in strada.
A testa china contro la pioggia battente, Nicholas guidò i ragazzi tra i veicoli. — Svelti! Se li distanziamo a sufficienza, forse gli odori del traffico e la pioggia laveranno via il nostro profumo.
Sophie si gettò un’occhiata alle spalle. Il terzetto di Incappucciati aveva lasciato il riparo della stazione e si stava avvicinando in fretta. — Ci seguono — boccheggiò, con una nota crescente di allarme nella voce.
— E adesso che facciamo? — domandò Josh.
— Non ne ho idea — rispose Flamel, cupo. Scrutò la lunga strada dritta. — Ma se restiamo qui, siamo morti. O perlomeno, io sono morto. — Fece lampeggiare i denti in un sorriso privo di allegria. — Dee cercherà ancora di catturarvi vivi, ne sono sicuro. — Si guardò intorno, poi individuò un vicolo sulla sinistra e fece cenno ai ragazzi di seguirlo. — Da questa parte. Proviamo a seminarli.
— Quanto vorrei che Scatty fosse qui — borbottò Josh, comprendendo appieno l’entità della sua perdita. — Lei li avrebbe sistemati senza problemi.
Il vicolo, delimitato da alti muri, era stretto e asciutto. Cassonetti di plastica marroni, verdi e blu ingombravano una parete, mentre i resti di bancali di legno e cumuli di sacchi neri traboccanti di spazzatura erano addossati all’altra parete. Il tanfo era insopportabile. Un gatto arruffato se ne stava appollaiato su un sacco, intento a strapparla metodicamente con gli artigli; non alzò nemmeno la testa all’arrivo precipitoso di Flamel e dei ragazzi. Un attimo più tardi, tuttavia, quando le tre figure incappucciate si affacciarono sul vicolo, il gatto inarcò la schiena, gonfiò il pelo e scomparve nel buio.
— Ha idea di dove porti questo vicolo? — chiese Josh mentre sorpassavano una serie di porte sulla sinistra, che erano chiaramente gli ingressi posteriori dei negozi affacciati sulla strada principale.
— Neanche un po’ — ammise Flamel. — Ma non importa, purché ci conduca lontano dagli Incappucciati.
Sophie si voltò a guardare indietro. — Non li vedo — annunciò. — Forse li abbiamo seminati. — Seguì l’Alchimista dietro un angolo e gli andò a sbattere contro: Flamel si era fermato di botto.
Poi fu la volta di Josh, che girò lo stesso angolo e li mancò di poco. — Muovetevi — disse, superandoli. E poi si rese conto del perché i due si fossero fermati: il vicolo terminava con un alto muro di mattoni rossi, sormontato da filo spinato.
L’Alchimista si voltò e si portò un dito alle labbra. — Silenzio! Forse sono andati avanti e hanno saltato il vicolo… — Un rapido scroscio di pioggia fredda spazzò la terra, portando con sé un odore rancido e inconfondibile: il tanfo della carne guasta. — O forse no — aggiunse, mentre i tre Genii Cucullati spuntavano a larghi passi da dietro l’angolo. Flamel spinse i gemelli alle sue spalle, ma i ragazzi si rifiutarono: istintivamente, Sophie si portò alla sua destra e Josh alla sua sinistra. — State indietro — disse l’Alchimista.
— No — replicò Josh.
— Non le permetteremo di affrontare questi tre da solo — aggiunse Sophie.
Gli Incappucciati rallentarono, si sparpagliarono per bloccare il vicolo e si fermarono. Assunsero un’immobilità innaturale, coi volti coperti dagli ampi cappucci.
— Che stanno aspettando? — mormorò Josh, la voce poco più di un sussurro.
C’era qualcosa nel modo in cui le tre figure si erano posizionate, nel modo in cui stavano all’erta, che faceva pensare a un animale. Una volta, in un documentario del National Geographic, Josh aveva visto un alligatore in agguato: aspettava che una gazzella attraversasse il fiume; era rimasto immobile, finché non era scattato in azione.
A un tratto uno schiocco come di legno spezzato risuonò fortissimo nel silenzio del vicolo, seguito da un rumore simile a quello prodotto da una stoffa che si strappa.
— Si stanno trasformando — disse Sophie in un fiato.
Sotto le giacche a vento verdi, i muscoli ribollirono e si contrassero. Le creature arcuarono la schiena, spingendo le teste in avanti. Le braccia si allungarono visibilmente, e le mani che sbucavano dalle maniche troppo lunghe si rivestirono di una folta pelliccia, culminando in artigli neri, curvi e frastagliati.
— Lupi? — chiese Josh, tremante.
— Più orsi che lupi — rispose Nicholas calmo, guardandosi intorno con gli occhi socchiusi. — Anzi più ghiottoni che orsi — aggiunse, mentre una lievissima traccia di vaniglia tingeva l’aria.
— E non costituiscono una minaccia per noi — annunciò Sophie, drizzando la schiena.
E sollevò la mano destra e premette il pollice sinistro sul polso, sopra il cerchio d’oro marchiato a fuoco sulla sua pelle.
— No! — la fulminò Flamel, abbassandole la mano. — Ve l’ho detto: non potete usare i vostri poteri in questa città. Le vostre aure sono troppo riconoscibili.
Sophie scosse la testa, stizzita. — So cosa sono queste creature — disse in tono deciso. Poi un fremito si insinuò nella sua voce. — So quello che fanno. Non può chiederci di starcene fermi qui mentre la divorano. Lasci che me ne occupi io… Le ridurrò in cenere. — La stizza si tramutò rapidamente in eccitazione, e Sophie sorrise. Per un attimo i suoi vivaci occhi azzurri brillarono d’argento, e il suo volto divenne duro e marcato, facendola sembrare molto più vecchia dei suoi quindici anni.
Il sorriso dell’Alchimista era cupo. — Potresti farlo. Ma dubito che riusciremmo a percorrere un solo chilometro prima che qualcosa di molto più letale di quelle creature ci raggiunga. Non hai idea di ciò che si muove per queste strade, Sophie. Me ne occupo io — insistette. — Non sono del tutto indifeso.
— Stanno per attaccare — intervenne Josh con urgenza, interpretando il linguaggio corporeo delle creature e notando che si erano disposte in formazione di attacco. Da qualche parte in un angolo del suo cervello si chiese come facesse a saperlo. — Se ha intenzione di fare qualcosa, è meglio che lo faccia subito.
I Genii Cucullati si erano sparpagliati, distribuendosi di fronte a Flamel e ai gemelli. Erano curvi in avanti, con le schiene arcuate, le giacche a vento tirate sul petto ampio, le spalle grosse e le braccia muscolose. All’ombra dei cappucci, occhi nerazzuri baluginavano sopra fauci appuntite. Le creature parlavano tra loro alternando ringhi e guaiti.
Nicholas si tirò su le maniche del giubbotto di pelle, scoprendo il bracciale d’argento e i due braccialetti colorati che indossava sul polso destro. Sciolse uno dei due braccialetti di stoffa, se lo arrotolò tra i palmi delle mani, lo portò alle labbra e soffiò.
Sophie e Josh lo guardarono scagliare la piccola sfera a terra, davanti agli Incappucciati. Videro i fili colorati cadere in una pozza di fango ai piedi della creatura più grossa e si prepararono a un’esplosione. Perfino le terrificanti creature arretrarono in fretta e furia dalla pozza, con gli artigli che scivolavano sul selciato.
E non successe nulla.
Il suono che si levò dalla creatura più grossa sembrava una risata.
— Io dico di combattere — disse Josh in tono di sfida, anche se era scosso dal fallimento dell’Alchimista. Avendo visto Flamel scagliare lance di energia pura e fare spuntare una foresta da un pavimento di legno, si era aspettato qualcosa di spettacolare. Lanciò un’occhiata alla sorella e capì che Sophie stava pensando esattamente la stessa cosa: invecchiato e indebolito com’era, Flamel stava perdendo i suoi poteri. Josh fece un lieve cenno della testa e vide Sophie annuire a sua volta, sgranchendosi le dita. — Nicholas, ha visto cosa abbiamo fatto ai gargoyle — continuò il ragazzo, sicuro dei suoi poteri e di quelli della sorella. — Insieme, io e Sophie possiamo affrontare chiunque… e qualunque cosa.
— Il confine tra sicurezza e arroganza è molto sottile — replicò Flamel. — E il confine tra arroganza e stupidità lo è ancora di più. Se usate i vostri poteri, ci condannerete a morte.
Josh scosse la testa. Era disgustato di fronte all’evidente debolezza dell’Alchimista. Allontanandosi da lui, si scrollò di dosso lo zaino e lo aprì. Da un lato dello zaino sbucava un robusto tubo di cartone, di quelli che si usano per trasportare poster e mappe arrotolati. Strappò il coperchio, infilò la mano nel tubo, afferrò l’involto di plastica a bolle che c’era dentro e lo tirò fuori.
Sophie si rivolse all’Alchimista. — Nicholas…?
— Pazienza — bisbigliò Flamel. — Pazienza…
Il più grosso degli Incappucciati si mise a quattro zampe e fece un passo avanti, coi lunghi artigli neri che ticchettavano sul selciato. — Tu sei stato dato a me — disse con una voce sorprendentemente acuta, quasi infantile.
— Dee è molto generoso — ribatté Flamel, in tono piatto. — Ma mi sorprende che i Genii Cucullati si degnino di lavorare per un figlio degli homines.
La creatura fece un altro passo ticchettante in avanti. — Dee non è un figlio degli homines qualunque. Il Mago immortale è pericoloso, ma il padrone che lo protegge lo è infinitamente di più.
— Forse dovresti avere paura di me — suggerì Flamel, con un sorriso sottile. — Sono più vecchio di Dee, e non ho padroni che mi proteggano. Non ne ho mai avuto bisogno!
La creatura rise e poi, senza preavviso, balzò alla gola dell’Alchimista.
Una spada di pietra sibilò nell’aria, penetrando senza sforzo nel cappuccio della giacca a vento e staccando un grosso pezzo di stoffa verde. La creatura uggiolò e si piegò a mezz’aria, scostandosi dalla lama che ritornava a squarciare il davanti della giacca mozzando i bottoni e distruggendo la cerniera.
Josh si portò di fronte a Flamel, reggendo con tutte e due le mani la spada di pietra che aveva estratto dal tubo di cartone. — Non so chi sei, né che cosa sei — disse teso, con voce che tremava per l’adrenalina e per lo sforzo di impugnare l’arma. — Ma immagino che tu sappia cos’è questa.
La bestia si fece indietro, con gli occhi nerazzurri fissi sulla lama grigia. Il cappuccio che prima la nascondeva non c’era più, ridotto in brandelli alle sue spalle, e la testa era scoperta. Non c’era nulla di neanche lontanamente umano nelle geometrie di quel volto, notò Josh, eppure era bellissimo. Il ragazzo si era aspettato di vedere un mostro, ma la testa era piccola, con i grandi occhi scuri infossati sotto una fronte stretta, gli zigomi alti e affilati. Il naso era dritto, con le narici dilatate. La bocca era uno squarcio orizzontale che in quel momento era socchiuso, scoprendo i denti storti, gialli e neri.
Josh lanciò rapide occhiate verso le altre due creature. Anche loro fissavano la spada di pietra. — Questa è Clarent — disse piano. — Ho combattuto Nidhogg a Parigi con quest’arma. E ho visto quello che fa alla vostra razza. — Mosse lentamente la spada e la sentì vibrare, con l’elsa che si scaldava nelle sue mani.
— Dee non ce l’aveva detto — replicò la prima creatura, con la sua vocina infantile. Guardò l’Alchimista. — È vero?
— Sì — confermò Flamel.
— Nidhogg. — La creatura pronunciò quel nome con disprezzo. — E che ne è stato del leggendario Divoratore di Cadaveri?
— Nidhogg è morto — tagliò corto Flamel. — Distrutto da Clarent. — Fece un passo avanti e posò una mano sulla spalla di Josh. — Josh l’ha ucciso.
— Ucciso da un figlio degli homines? — ribatté la creatura, incredula.
— Dee vi ha usato, vi ha tradito. Non vi ha detto che avevamo la spada. Cos’altro vi ha tenuto nascosto? Vi ha parlato della sorte delle Disir a Parigi? Vi ha raccontato del Dio Addormentato?
Le tre creature ripresero a parlare nel loro linguaggio, uggiolando e ringhiando tra loro. Poi la più grossa si voltò a contemplare di nuovo Josh. Una lingua nera danzò nell’aria. — Queste cose non hanno la minima importanza. Davanti a me vedo soltanto un figlio degli homines spaventato. Sento i suoi muscoli che si tendono per lo sforzo di impugnare la spada. Avverto la sua paura nell’aria.
— Eppure ti ha attaccato lo stesso — ribatté Flamel. — Questo che cosa ti suggerisce?
La creatura scrollò goffamente le spalle. — Che è uno sciocco, o un eroe.
— E tu e quelli della tua razza siete sempre stati vulnerabili a entrambi — replicò Flamel.
— È vero, ma non ci sono più eroi in questo mondo. Non c’è nessuno pronto ad attaccarci. Gli homines non credono più alla nostra esistenza. E questo ci rende invisibili… e invulnerabili.
Josh sbuffò e sollevò la punta della spada. — Non per Clarent.
La creatura piegò la testa e annuì. — Non per la Lama del Codardo, è vero. Ma noi siamo in tre, e siamo molto, molto veloci — aggiunse, con un sorriso che scoprì le fauci frastagliate. — Penso che possiamo prenderti, ragazzo; e strapparti la spada dalle mani prima ancora che tu te ne…
Istinti che Josh non sapeva di possedere lo avvertirono che la creatura aveva intenzione di attaccarlo nell’istante stesso in cui avrebbe smesso di parlare. E sarebbe stata la fine. Senza riflettere, si slanciò in un affondo che gli aveva insegnato Giovanna d’Arco. La lama vibrò quando la punta si avvicinò alla gola della creatura. Josh sapeva che non doveva fare altro che graffiare quell’orrore con la spada: un solo taglio era bastato a distruggere Nidhogg.
Ridendo, la creatura si portò con un balzo fuori dalla portata della lama. — Troppo lento, figlio degli homines, troppo lento. Ho visto le nocche delle tue dita tendersi e sbiancare prima del colpo.
In quell’istante Josh capì di avere perso: i Genii Cucullati erano troppo veloci. Da dietro le sue spalle, tuttavia, sentì che Flamel ridacchiava. Fissò la creatura. Sapeva che l’ultima cosa che poteva fare era voltarsi, ma si chiese cosa avesse divertito l’Alchimista. Guardò attentamente l’Incappucciato. Non era cambiato nulla… tranne che quando era balzata via per sfuggire alla spada, la creatura era atterrata nella pozza d’acqua sporca.
— La paura ti ha fatto uscire di senno, Alchimista? — domandò l’Incappucciato.
— Immagino che tu conosca l’Antica Signora Iris, figlia di Elettra — replicò Flamel in tono affabile, mentre si portava al fianco di Josh. Il volto stretto dell’Alchimista si era fatto duro e inespressivo, le labbra erano una linea sottile, gli occhi chiarissimi socchiusi in poco più di due fessure.
La creatura abbassò lo sguardo. I suoi occhi si sgranarono per l’orrore.
L’acqua sporca che si inanellava intorno alle sue zampe tutt’a un tratto era fiorita di un arcobaleno di colori, che fluivano fuori dai brandelli di stoffa del braccialetto di Flamel.
L’Incappucciato cercò di balzare indietro, ma aveva le zampe anteriori intrappolate nella pozza. — Liberami, figlio degli homines — supplicò in tono stridulo, con voce carica di terrore. Cercò freneticamente di liberarsi. Facendo leva sulle zampe posteriori tentò di allontanarsi, ma sfiorò l’orlo della pozza e ululò di nuovo. Tirò via la zampa; un artiglio ricurvo si staccò, restando impigliato sul bordo dell’acqua. La creatura abbaiò e le sue due compagne corsero ad afferrarla, cercando di strapparla dal liquido colorato e vorticante.
— Decenni fa, io e Perenelle salvammo Iris dalle sue sorelle, e lei in cambio mi donò questi braccialetti — spiegò Flamel. — L’ho vista intrecciarli personalmente con i fili tratti dalla sua stessa aura multicolore. Mi disse che un giorno avrebbero portato l’arcobaleno nella mia vita.
Vortici di colore cominciarono a risalire su per la zampa dell’Incappucciato. Gli artigli neri diventarono verdi, poi rossi, quindi la tinta livida della pelliccia si tramutò in un violetto scintillante.
— Morirai per questo — ringhiò la creatura, con voce ancora più stridula, gli occhi azzurri accesi e sgranati dal terrore.
— Morirò, un giorno — concordò Flamel. — Ma non oggi, e non per mano tua.
— Aspetta che lo dica a nostra Madre!
— Fa’ pure.
Ci fu un lieve schiocco, come di una bolla che scoppi, e all’improvviso i colori dell’arcobaleno avvolsero tutto il corpo della creatura, inondandola di luce. Il colore si diffuse anche sulle due compagne che la sostenevano, riversandosi prima sugli artigli e poi sulla pelle, tramutando le giacche a vento verdi in spettacolari vesti multicolori. Come olio sull’acqua, i colori dilagarono tracciando disegni ipnotici, dando vita a nuove e bizzarre sfumature e a tinte incandescenti.
Le creature riuscirono a emettere un singolo e raccapricciante ululato di terrore, poi il grido si interruppe e loro si accasciarono tutte e tre al suolo. Mentre giacevano a terra immobili, il turbinio di colori fluì rapidamente via dalle loro carni e restituì alle giacche il loro verde spento. I corpi cominciarono a cambiare, le ossa a schioccare, i muscoli e i tendini a riplasmarsi. Quando il colore fu del tutto rifluito nella pozza, le creature avevano assunto di nuovo le loro sembianze umane.
Uno scroscio di pioggia percorse tutta la lunghezza del vicolo, e la superficie della pozza multicolore danzò e si infranse. Per un attimo la miniatura di un perfetto arcobaleno comparve sopra di essa, per scomparire subito dopo. L’acqua tornò al marrone fangoso originario.
Flamel si chinò a raccogliere i resti del braccialetto di stoffa dalla strada: i fili intrecciati ormai erano di un bianco sporco. Si raddrizzò e si voltò a guardare i gemelli, sorridendo. — Non sono così indifeso come sembro. E non bisogna mai sottovalutare il nemico — li ammonì. — Ma questa vittoria è tua, Josh. Ci hai salvato. Di nuovo. Sta diventando un’abitudine: Ojai, Parigi, e adesso qui.
— Io non pensavo… — cominciò Josh.
— Tu non pensi mai — lo interruppe Sophie, stringendogli il braccio.
— Però hai agito — disse Flamel. — E questo è stato sufficiente. Venite, andiamocene prima che li scoprano.
— Non sono morti? — chiese Sophie, aggirando le creature.
Josh avvolse rapidamente Clarent nel foglio di plastica a bolle e la ficcò di nuovo nel tubo di cartone. Poi infilò il tubo nello zaino e se lo caricò sulle spalle. — Cos’è successo? — domandò. — Quell’acqua colorata, che cos’era?
— Il dono di un’Antica Signora — spiegò Flamel, affrettando il passo. — Iris viene chiamata la Dea dell’Arcobaleno a causa della sua aura multicolore. E ha anche accesso alle acque del fiume Stige, che scorre in un Regno d’Ombra — concluse in tono di trionfo.
— E che vuol dire? — lo incalzò Josh.
Il sorriso di Flamel era spietato. — I vivi non possono toccare le acque dello Stige. Il sistema nervoso si carica per lo shock, e il corpo crolla a terra privo di sensi.
— Per quanto tempo rimarranno così? — chiese Sophie, voltandosi a lanciare un’occhiata a quello che sembrava un mucchio di stracci in mezzo al vicolo.
— Stando alle leggende… per un anno e un giorno.