CAPITOLO CINQUE
—Aspettate. Mi squilla il telefono. — Sophie si infilò al riparo di una soglia, si frugò in tasca e tirò fuori il cellulare. La batteria si era scaricata nel Regno d’Ombra di Ecate, ma il conte di Saint-Germain aveva trovato il caricabatterie giusto per rimetterla in funzione. Inclinando lo schermo, la ragazza scrutò il numero insolitamente lungo. — Non so chi sia — disse, guardando prima il fratello e poi Flamel.
Josh scrutò da sopra la sua spalla. — Neanch’io riconosco il numero.
— Come comincia? — chiese l’Alchimista, socchiudendo gli occhi, cercando di mettere a fuoco lo schermo.
— Zero, zero, tre, tre…
— È il prefisso internazionale della Francia — disse Flamel. — Rispondi: può essere soltanto Francis.
— Oppure Dee o Machiavelli — si affrettò a obiettare Josh. — Forse dovremmo…
Ma prima che potesse finire, Sophie aveva premuto il tasto verde. — Pronto? — disse, cauta.
— Sono io! — La voce di Saint-Germain era allegra e senza accento, e dai rumori di sottofondo Sophie capì che si trovava all’esterno. — Fammi parlare con il vecchio. E non dirgli come l’ho chiamato!
Sophie trattenne un sorriso e passò il telefono all’Alchimista. — Aveva ragione, è Francis. Vuole parlare con lei.
Flamel si schiacciò il telefono contro un orecchio e si coprì l’altro con la mano, per bloccare il rumore del traffico. — Allô?
— Dove siete? — chiese Saint-Germain in latino.
L’Alchimista si guardò intorno, cercando di orientarsi. — A Marylebone Road, vicino alla metropolitana di Regent’s Park.
— Aspetta un secondo; ho qualcuno sull’altra linea.
Flamel udì l’amico allontanarsi dal telefono e riferire l’informazione in un francese rapidissimo e arcaico.
— Okay — disse Saint-Germain un attimo più tardi. — Proseguite fino in fondo alla strada e aspettate davanti a St Marylebone Church. Verranno a prendervi.
— Come farò a sapere che l’autista lavora per te? — chiese Flamel.
— Bella domanda. Hai motivo di ritenere che questa conversazione sia controllata?
— All’italiano e all’inglese non mancano le risorse per farlo.
— Giusto.
— E all’arrivo ci aspettava un comitato di benvenuto non molto amichevole. Immagino che abbiano fatto rapporto prima di inseguirci.
— Ah. — Saint-Germain fece una pausa e poi aggiunse piano: — Suppongo che tu abbia risolto il problema con discrezione.
— Con molta discrezione. Ma…
— Ma?
— Anche se non ho fatto ricorso alla mia aura, è stata comunque dispiegata una certa quantità di energia. Il che avrà sicuramente attirato l’attenzione, soprattutto in questa città.
Ci fu un’altra pausa; poi Saint-Germain disse: — Okay, ho appena mandato un sms all’autista. Lascia che ti ricordi una festa che tenni a Versailles nel febbraio del 1758. Era il mio compleanno, e tu mi regalasti un libro di pergamena della tua biblioteca personale.
Le labbra dell’Alchimista si piegarono in un sorriso. — Me lo ricordo.
— Ho ancora il libro. L’autista ti dirà il titolo — continuò Saint-Germain, alzando la voce per farsi sentire oltre il chiasso di sottofondo.
— Cos’è questo rumore? — chiese Flamel.
— Operai. Stiamo cercando di puntellare la casa. A quanto pare, c’è il pericolo molto concreto che possa franare nelle catacombe, portandosi dietro metà della strada.
— Amico mio. Non posso dirti quanto mi dispiace per il guaio che ho causato alla tua casa. Naturalmente ti ripagherò i danni.
Saint-Germain ridacchiò. — Non ti disturbare, ti prego. Non mi sta costando nulla. Ho venduto l’esclusiva della storia a una rivista, e il ricavato è più che sufficiente per pagare i lavori. E poi la copertura sulla stampa ha un valore inestimabile. Il mio nuovo album sta salendo in testa a tutte le classifiche di download… C’è una certa ironia in tutto ciò, non trovi? — aggiunse con una risata.
— Quale storia? — domandò Flamel, con una rapida occhiata ai gemelli.
— Caspita, quella dell’esplosione di gas che ha danneggiato la mia casa, naturalmente — rispose Saint- Germain in tono allegro. — Devo andare. Mi terrò in contatto. — Fece una pausa. — Amico mio, sta’ attento. Se hai bisogno di qualcosa… di qualunque cosa… sai come contattarci.
Flamel chiuse la comunicazione e passò il telefono a Sophie senza dire una parola. — Ha detto…
— Abbiamo sentito. — Grazie ai sensi risvegliati, i gemelli avevano udito chiaramente l’intera conversazione. — Un’esplosione di gas? — chiese Sophie.
— Be’, certo non poteva dire che i danni sono stati causati da una specie di dinosauro primordiale, no? — scherzò Josh. — Chi gli avrebbe creduto? — Ficcandosi le mani in tasca, corse dietro a Flamel, che si stava già dirigendo in fondo alla strada. — Muoviamoci, sorella.
Sophie annuì. Josh aveva ragione. Anche lei stava cominciando a comprendere come gli Antichi Signori fossero riusciti a mantenere segreta la propria esistenza così a lungo. L’umanità si rifiutava di ammettere che c’era della magia nel mondo. Non poteva essere vero, nell’epoca della scienza e della tecnologia: i mostri e la magia appartenevano al passato barbaro e primitivo.
Eppure, negli ultimi giorni, Sophie ne aveva visto le prove ovunque. La gente riferiva fatti impossibili in continuazione; vedevano le cose più strane, le creature più bizzarre… e nessuno ci credeva. Non potevano essere tutti bugiardi, confusi o svitati, no? Se gli Oscuri Signori e gli uomini al loro servizio erano in posizioni di potere, non dovevano fare altro che liquidare quelle segnalazioni, ignorarle o – come era appena successo a Parigi – ridicolizzarle attraverso i media. Ben presto tutte le persone che avevano riferito i fatti, quelle stesse persone che avevano assistito a qualcosa di straordinario, avrebbero cominciato a dubitare dei loro stessi sensi.
Soltanto il giorno prima, Nidhogg, una creatura che si presumeva esistere solo nella leggenda, aveva imperversato nei vicoli di Parigi, lasciandosi una scia di devastazione alle spalle. Aveva attraversato gli Champs-Elysées e aveva divelto una sezione della banchina sul lungofiume prima di piombare nella Senna. Dozzine di persone lo avevano visto; ma dov’erano le loro storie, le loro testimonianze? La stampa aveva parlato di un’esplosione di gas nelle antiche catacombe.
E poi tutti i gargoyle di Notre-Dame avevano preso vita e si erano calati giù dall’edificio. Amplificando la propria aura tramite quella di Josh, Sophie aveva usato il Fuoco e l’Aria per ridurre quelle creature a un cumulo di detriti… Eppure di cosa aveva parlato la stampa?
Degli effetti della pioggia acida.
Mentre il treno ad alta velocità sfrecciava per le campagne francesi, i due gemelli avevano letto i giornali online sul portatile di Josh. Tutte le agenzie di stampa del mondo avevano una storia da raccontare sugli eventi accaduti, ma erano tutte versioni della stessa menzogna. Solo nei siti e nei blog dedicati alle più improbabili teorie del complotto si era parlato di avvistamenti di Nidhogg, con tanto di fotogrammi sfocati del mostro ripresi col cellulare. Dozzine di commenti liquidavano quei video e quelle immagini come dei falsi, confrontandoli con le foto contraffatte dello Yeti o del mostro di Loch Ness. Ma Sophie stava cominciando a sospettare che anche quelle creature fossero reali.
— Non restare indietro, Sophie — disse l’Alchimista. — Non hai idea del pericolo in cui ci troviamo.
— Meno male che lei continua a ricordarcelo — borbottò la ragazza, affrettando il passo per raggiungere Flamel e Josh. In quel momento non riusciva proprio a immaginare come le cose potessero andare peggio.
— Dove stiamo andando? — chiese Josh. Era ancora stordito dopo la scossa di adrenalina, e cominciava anche a sentirsi poco saldo sulle gambe.
— Laggiù — rispose Flamel, indicando con un cenno una chiesa di pietra bianca alla loro sinistra.
Sophie si portò al fianco del fratello. Notò che era pallido e che aveva un velo di sudore lucido sulla fronte. Gli strinse il braccio, mentre chiedeva: — Come stai? — Sapeva quello che stava passando: i rumori, gli odori, i suoni della città stavano cominciando a sopraffare i suoi sensi da poco risvegliati. Lei aveva sperimentato lo stesso sconvolgente sovraccarico sensoriale quando Ecate aveva risvegliato i suoi. Ma mentre la Strega di Endor e Giovanna d’Arco l’avevano aiutata a controllare quell’ondata di emozioni e di sensazioni, non c’era nessuno lì ad aiutare Josh.
— Sto bene — rispose il ragazzo. — Be’, non così bene — ammise un attimo dopo, notando l’espressione incredula della sorella. Anche lei aveva subito la stessa trasformazione; sapeva come ci si sentiva. — Solo che è tutto… — Non riuscì a trovare le parole.
— Troppo — concluse Sophie per lui.
Josh annuì. — Troppo. Proprio così. Riesco perfino a sentire il sapore dei gas di scarico.
— Vedrai che si sistema tutto — promise Sophie. — E poi sarà più facile. O forse semplicemente ci si abitua.
— Non penso che mi ci abituerò mai — ribatté Josh, abbassando il capo e socchiudendo gli occhi, schermandosi dal sole che faceva capolino tra le nuvole. I raggi che scintillavano sulle strade bagnate erano come pugnalate negli occhi. — Mi servono degli occhiali da sole.
— Buona idea. — Sophie fece una corsetta in avanti. — Nicholas, aspetti.
L’Alchimista si voltò a guardarla, ma non si fermò. — Non possiamo perdere tempo — replicò brusco, e continuò imperterrito.
Sophie si fermò in mezzo alla strada e costrinse il fratello a fermarsi accanto a lei.
Flamel era già andato avanti di una dozzina di passi quando si accorse che i gemelli non erano più alle sue spalle. Si fermò e si voltò, facendo loro cenno di muoversi.
I ragazzi lo ignorarono.
Quando l’Alchimista tornò indietro, c’era qualcosa di scuro e minaccioso nell’espressione del suo viso. — Non ho tempo per queste sciocchezze.
— Ci servono degli occhiali da sole per Josh, e anche per me — replicò Sophie. — E dell’acqua.
— Ce li procureremo più tardi.
— Ci servono ora!
Nicholas fece per ribattere, ma Josh fece un passo avanti e, con una punta di arroganza nella voce, disse: — Ci servono ora.
Sul sagrato della cattedrale di Parigi, mentre il potere gli fluiva in corpo e i gargoyle di pietra animata si frantumavano sotto i suoi occhi, Josh si era reso conto di quanto lui e sua sorella fossero potenti. In quel momento forse avevano bisogno dell’Alchimista, ma anche lui aveva bisogno di loro.
Flamel scrutò i vivaci occhi azzurri del ragazzo. Qualunque cose vi lesse lo convinse ad annuire e a dirigersi verso la fila di negozi. — Acqua e occhiali da sole — disse. — Avete preferenze sul colore? — aggiunse, ironico.
— Neri — risposero i gemelli all’unisono.
Sophie restò con Josh fuori dal negozio. Era esausta, ma sapeva che il fratello stava molto peggio di lei. Ora che il vento aveva spazzato via la pioggia, la strada stava cominciando a popolarsi. Persone di una dozzina di nazionalità diverse andavano e venivano, chiacchierando in una varietà di lingue.
All’improvviso la ragazza piegò la testa di lato, aggrottando la fronte.
— Che c’è? — domandò Josh.
— Niente — rispose Sophie. — Solo che…
— Cosa?
— Mi è sembrato di riconoscere alcune parole di quelle donne…
Josh si voltò per seguire lo sguardo della sorella. Due donne vestite nel lungo abaya dei Paesi mediorientali, con la testa coperta e il volto nascosto dal burka, stavano chiacchierando animatamente.
— Sono sorelle… stanno andando da un dottore qui dietro l’angolo, in Harley Street… — disse Sophie, sbigottita.
Josh si voltò per sentire meglio, scostandosi una ciocca di capelli dall’orecchio. Concentrandosi al massimo, riuscì a isolare le voci delle due donne. — Sophie, io non capisco un accidenti di quello che dicono… credo che sia arabo.
Due uomini d’affari in abiti eleganti gli passarono davanti, diretti alla stazione della metro di Regent’s Park. Erano tutti e due al cellulare.
— Quello a sinistra sta parlando con sua moglie a Stoccolma — continuò Sophie, in poco più di un sussurro. — Si scusa per essersi perso il compleanno del figlio. Quello a destra invece sta parlando col suo capoufficio, anche lui in Svezia. Sta chiedendo l’invio di certi documenti.
Josh voltò di nuovo la testa, ignorando il traffico e la miriade di altri rumori della città. A un tratto scoprì che, concentrandosi sui due uomini, poteva cogliere le singole parole. Aveva un udito così acuto da riuscire a distinguere perfino le voci sottili all’altro capo del telefono. Nessuno dei due uomini stava parlando inglese. — Come fai a capirli? — chiese.
— È il sapere della Strega di Endor — rispose Flamel. Era uscito dal negozio in tempo per sentire la domanda di Josh. Tirò fuori da un sacchetto di carta due paia di occhiali da sole economici e li passò ai gemelli. — Non sono firmati, mi dispiace.
Sophie se li infilò subito. Il sollievo fu immediato, e dall’espressione del fratello vide che anche per lui era lo stesso. — Mi spieghi meglio — disse. — Pensavo che la Strega di Endor mi avesse passato solo un mucchio di roba antica. Non mi ero resa conto che potesse essermi utile.
L’Alchimista consegnò loro due bottiglie d’acqua. I gemelli gli si affiancarono e insieme affrettarono il passo verso St Marylebone Church. — Quando ti ha avviluppato in quel bozzolo d’aria, la Strega ti ha trasmesso tutto il suo sapere. Troppo, per la tua portata, lo ammetto. Ma non avevo idea delle sue intenzioni — si affrettò ad aggiungere Flamel, notando l’espressione scura sul volto di Josh. — È stato un gesto del tutto inaspettato e decisamente insolito da parte sua. Nell’antichità le sacerdotesse studiavano tutta la vita con la Strega, e in compenso ricevevano solo dei minuscoli frammenti del suo sapere.
— Allora perché a me lo ha trasmesso tutto? — chiese Sophie, confusa.
— È un mistero — ammise Flamel. Individuando un varco nel traffico, guidò i gemelli attraverso Marylebone High Street. Ormai erano abbastanza vicini da ammirare l’elegante facciata della chiesa. — So che Jeanne ti ha aiutato a mettere un filtro al sapere della Strega.
Sophie annuì. A Parigi, mentre lei dormiva, Giovanna d’Arco le aveva insegnato le sue tecniche per controllare quel guazzabuglio arcano e incomprensibile che imperversava nel suo cervello.
— Quello che sta accadendo ora, credo, è che i ricordi e le conoscenze della Strega di Endor si stanno a poco a poco assimilando ai tuoi. Oltre a sapere semplicemente quello la Strega sa, presto saprai anche come lo sa. In pratica, i suoi ricordi stanno diventando i tuoi.
Sophie scosse la testa. — Non capisco.
Avevano finalmente raggiunto la chiesa. L’Alchimista salì due gradini e scrutò la strada nelle due direzioni. Studiò in fretta i passanti e allungò il collo verso Regent’s Park, quindi si voltò di nuovo verso i gemelli. — È come la differenza che passa tra guardare una partita e giocarla in prima persona. Quando hai incontrato Saint-Germain, ti è subito venuto in mente quello che la Strega sa sul suo conto, giusto?
Sophie annuì. In un lampo aveva saputo che la Strega non si fidava di lui e che il Conte non le piaceva.
— Pensa a Saint-Germain adesso — suggerì l’Alchimista.
La ragazza guardò il fratello, che si strinse nelle spalle, gli occhi invisibili dietro le lenti scure. Sophie girò il polso destro e scrutò il cerchio dorato con il puntino rosso al centro. Saint-Germain le aveva impresso a fuoco quel tatuaggio – in modo del tutto indolore – quando le aveva insegnato la Magia del Fuoco. Pensare a Saint-Germain le provocò un’ondata di ricordi: brillanti, intensi, molto concreti.
Sophie chiuse gli occhi, e in un istante si ritrovò in un altro tempo, in un altro luogo.
Londra, 1740
Era in un’enorme sala da ballo, e indossava un abito così pesante che sembrava inchiodarla a terra. Si sentiva pungere, prudere, strizzare, costringere e contrarre ovunque. L’aria nella sala puzzava di cera e di troppi profumi, di gabinetti intasati, di cibo cucinato e di corpi non lavati. Una folla di gente le ondeggiava intorno, ma quando lei si mosse, tutti si fecero da parte, cedendo il passo al giovane dagli abiti scuri e dagli inquietanti occhi azzurri. Era Francis, il conte di Saint-Germain, e stava parlando in russo con un gentiluomo della corte dello zar bambino, Ivan VI.
Sophie si accorse di comprendere quello che i due stavano dicendo. Il gentiluomo stava alludendo al fatto che la figlia minore di Pietro il Grande, Elisabetta, avrebbe ben presto preso il potere, e che ci sarebbero state delle ottime opportunità a San Pietroburgo per un uomo delle capacità di Saint-Germain.
Il Conte si voltò lentamente a guardarla. Prendendole la mano, si inchinò e disse in italiano: “Madame, è un onore fare finalmente la vostra conoscenza”.
Sophie spalancò gli occhi e perse per un attimo l’equilibrio.
Il braccio di Josh fu pronto ad afferrarla. — Cos’è successo? — domandò.
— Ero lì… — bisbigliò Sophie. Scosse la testa. — Cioè qui, a Londra. Più di duecentocinquanta anni fa. Ho visto tutto. — Strinse il braccio del fratello. — Sentivo i vestiti che avevo indosso, il tanfo della stanza, e quando Saint-Germain ha parlato in russo ho capito le sue parole, e quando si è rivolto a me in italiano, ho capito anche quello. Ero lì — ripeté la ragazza, ancora sgomenta per quei ricordi nuovi.
— I ricordi della Strega di Endor stanno diventando i tuoi — disse Flamel. — Il suo sapere sta diventando il tuo. Alla fine, saprai tutto ciò che sa lei.
Sophie rabbrividì. Poi fu colta da un pensiero inquietante. — Ma che ne sarà di me? La Strega ha migliaia d’anni di ricordi e di esperienze; io ne ho solo quindici e mezzo, e non ricordo neanche tutto. È possibile che i suoi ricordi prendano il sopravvento sui miei?
L’Alchimista sbatté le palpebre. Poi, lentamente, annuì. — Non ci avevo pensato, ma sì, hai ragione, è possibile — disse con molta calma. — Dobbiamo fare in modo che non succeda.
— Perché? — chiesero i gemelli all’unisono.
Flamel scese i due gradini e si portò accanto a loro. — Perché noi tutti non siamo altro che la somma dei nostri ricordi e delle nostre esperienze. Se i ricordi della Strega prendono il sopravvento sui tuoi, tu diventerai a tutti gli effetti la Strega di Endor.
— Allora lo ha fatto apposta — disse Josh alzando la voce in uno scatto di rabbia, e attirando l’attenzione di un gruppo di turisti che fotografava l’orologio della chiesa. La sorella gli diede un colpetto con il gomito e lui abbassò la voce in un sussurro roco. — Ecco perché ha trasmesso a Sophie tutto il suo sapere! — Nicholas cominciò a scuotere la testa, ma Josh insistette. — Quando i suoi ricordi avranno preso totalmente il sopravvento, la Strega avrà a sua disposizione un corpo nuovo e molto più giovane, al posto di quello cieco e decrepito che si ritrova. Non può negarlo.
Nicholas chiuse la bocca e distolse lo sguardo. — Devo… devo rifletterci — disse. — Non ho mai sentito dire che sia successa una cosa del genere.
— Ma non aveva mai sentito dire neppure che la Strega avesse trasmesso tutto il suo sapere a una persona sola, vero? — ribatté Josh.
Sophie afferrò il braccio dell’Alchimista e gli si mise di fronte. — Nicholas, che facciamo? — chiese.
— Non ne ho idea — ammise lui, con un sospiro esausto. E in quel momento sembrò vecchissimo, con le rughe scavate sulla fronte e intorno agli occhi, le pieghe lungo il naso, i solchi tra le sopracciglia.
— Ma a chi lo chiediamo, allora? — ribatté brusca Sophie, con una nota di paura nella voce.
— A Perenelle — rispose l’Alchimista, e annuì con forza. — La mia Perenelle saprà che cosa fare. Dobbiamo riportarti da lei. Ti saprà aiutare. Nel frattempo, dovrai concentrarti su te stessa. Devi focalizzarti sulla tua identità.
— Come?
— Pensa al tuo passato, ai tuoi genitori, alle tue scuole, alle persone che hai incontrato, agli amici, ai nemici, ai posti che hai visitato. — Nicholas si rivolse a Josh. — E tu dovrai aiutarla. Falle delle domande sul suo passato, su tutto ciò che avete fatto insieme, sui posti in cui siete stati. — L’Alchimista si voltò di nuovo verso Sophie. — Ogni volta che cominci ad avvertire uno dei ricordi della Strega di Endor, concentrati di proposito su qualcos’altro, su un tuo ricordo personale. Devi combattere per impedire che i suoi ricordi abbiano la meglio sui tuoi, finché non scopriamo come controllare questa cosa.
All’improvviso un taxi nero accostò al marciapiede e il finestrino del lato passeggero si abbassò. — Salite! — ordinò una voce dal buio dell’interno.
Nessuno si mosse.
— Non abbiamo tutto il giorno. Salite. — Il timbro profondo della voce aveva un lieve accento nordafricano.
— Non abbiamo chiamato un taxi — replicò Flamel, scrutando disperatamente la strada a destra e manca. Saint-Germain aveva detto che gli stava mandando qualcuno, ma l’Alchimista non avrebbe mai immaginato che potesse trattarsi di una cosa così comune come un taxi. Era una trappola? Dee li aveva raggiunti? Si voltò a guardare la chiesa. La porta era aperta. Potevano correre su per le scale e cercare asilo lì dentro; ma, una volta entrati, si sarebbero trovati in trappola.
— Questa macchina è stata ordinata apposta per lei, signor Flamel. — Ci fu una pausa, e la voce aggiunse: — Autore di uno dei libri più noiosi che abbia mai letto, il Sommario filosofico.
— Noioso? — Nicholas spalancò lo sportello del taxi e spinse i gemelli a entrare nella penombra. — È ritenuto da secoli un’opera geniale! — Salì a bordo e sbatté lo sportello. — Scommetto che è stato Francis a suggerirti di dirlo.
— Meglio che vi allacciate le cinture — ordinò l’autista. — Abbiamo tutta una schiera di personaggi di ogni tipo diretta da questa parte, nessuno dei quali amichevoli e tutti decisamente sgradevoli.