CAPITOLO TRENTOTTO
Sgommando nel fango, il pesante taxi nero balzò in avanti. Sophie rimase senza fiato quando la cintura di sicurezza scattò, respingendola sul sedile. Josh gemette quando la sua gli si serrò sullo stomaco dolorante.
— Scusate! — gridò Palamede. — Aspettate. Arrivano…
Flamel afferrò la maniglia sopra lo sportello e si sporse in avanti. — Gli stiamo andando contro! — disse, alzando la voce allarmato.
— Lo so. — I candidi denti di Palamede lampeggiarono nella penombra. — La migliore difesa…
— … è l’attacco — concluse Josh.
Una linea massiccia di lupi dai volti umani si scagliò contro il taxi. Correndo a rotta di collo in mezzo ai vapori del fuoco, videro il tappeto di rettili solo quando fu troppo tardi.
I serpenti si drizzarono come punti interrogativi, con le fauci spalancate, le teste che si muovevano a scatti… e la prima linea della Caccia Selvaggia si dissolse in una polvere disgustosa che esplose sul parabrezza, coprendo la visuale.
Palamede non si scompose. Spruzzò dell’acqua sul vetro e attivò i tergicristalli, ma riuscì soltanto a trasformare la polvere grigia in una densa pastella.
Cernunnos mugghiava e urlava avanzando goffamente in mezzo al tappeto di rettili e istrici. I serpenti lo mordevano, gli istrici lo infilzavano con i loro aculei, ma niente sembrava avere effetto.
Josh rabbrividì ed ebbe un moto di nausea osservando il groviglio di rettili che risaliva le grosse zampe del Dio Cornuto.
Palamede mandò il motore su di giri, ingranò la marcia e attraversò rombando il ponte di ferro che si stendeva sul fossato, scontrandosi con un altro terzetto di uomini lupo. Due scomparvero sotto le ruote in un’esplosione di ghiaia, mentre il terzo balzò sul cofano e si mise a picchiare sul vetro con le zampe artigliate. Il parabrezza si incrinò e il Cavaliere saraceno schiacciò il freno. La macchina si fermò di scatto, facendo stridere le gomme, e il lupo scivolò via dal cofano, finendo dritto in un nido di vipere.
Josh si voltò a guardare altri membri della Caccia Selvaggia che cadevano in battaglia strusciando contro la pelle viscida dei rospi velenosi, mentre altri si riducevano in polvere imbattendosi nei tritoni o negli orbetti. L’aria si saturò dei residui granulosi e opachi prodotti dalle esplosioni. I gufi piombarono all’attacco nell’aria notturna, con gli artigli sguainati, falciando le belve e disseminando nuvole di fumo sulla propria scia.
— Shakespeare ha creato tutto questo? — chiese Sophie, meravigliata. Teneva gli occhi fissi sul lunotto posteriore, e riusciva a vedere la massa tumultuosa di creature che brulicava a terra.
— Ogni singola creatura, sì — confermò Palamede con orgoglio. — Ognuna è stata generata dalla sua immaginazione e poi animata dalla sua aura. E non dimenticate che è quasi interamente autodidatta. — Il Cavaliere lanciò un’occhiata nello specchietto retrovisore e incrociò lo sguardo dell’Alchimista. — Pensate dove sarebbe arrivato se avesse ricevuto un addestramento come si deve.
Flamel scrollò le spalle imbarazzato. — Non avrei mai potuto insegnargli questo.
— Però avresti dovuto riconoscere il suo talento.
— Dee! — sbottò Josh.
— Già, Dee lo ha fatto — concordò Palamede.
— No. Dee è qui! — strillò Josh. — Proprio davanti a noi!
Il Mago era sbucato fuori dal fumo e con la mano sinistra roteava Excalibur nell’aria, trasformandola in un vorticante cerchio di fuoco azzurro. La mano destra invece colava di energia gialla. Si era appostato proprio di fronte all’ingresso della fortezza, sbarrandogli la strada.
— Ma che fa? Pensa che non abbia il coraggio di investirlo? — disse Palamede.
Dee puntò la spada verso il taxi e lanciò una sfera di energia, che cadde nel terreno fradicio, rimbalzò una volta e infine rotolò sotto la macchina. Il motore si spense e tutta l’elettricità all’interno del veicolo si estinse, costringendo l’auto ad avanzare in folle e poi a fermarsi del tutto.
Sophie colse un guizzo di movimento alle loro spalle e si voltò… nell’istante stesso in cui l’Arconte, in un groviglio di serpenti, sbucò tra le fitte nuvole grigie. — Si mette male — mormorò, tirando Josh per la manica.
— Si mette parecchio male — concordò il fratello vedendo l’Arconte.
— E adesso che facciamo?
— “È sempre meglio combattere una battaglia alla volta. Si vince di più in questo modo”.
— Chi lo ha detto? — domandò Sophie. — Marte?
— Papà.