CAPITOLO UNDICI
Prima che Sophie e Josh potessero reagire, Palamede si stagliò dietro l’Alchimista e strinse le grosse mani sulle sue spalle. Le aure dei due immortali divamparono e crepitarono, il verde smeraldo di Flamel si mescolò con il verde oliva più scuro del Cavaliere saraceno. Il profumo pulito della menta e il calore speziato dei chiodi di garofano si diffusero nell’aria del deposito, acre di gomma e di metallo. Flamel provò a divincolarsi e a sferrare un colpo, ma Palamede rinsaldò la presa e spinse, conficcandogli le dita nella carne e costringendolo a inginocchiarsi. La spada cadde dalle mani dell’Alchimista.
Sophie spalancò le dita della mano destra e si apprestò a invocare l’elemento del fuoco, ma Josh la costrinse subito ad abbassare il braccio. — No — disse in tono urgente, nello stesso istante in cui il branco di cani accucciato sotto la baracca si precipitava fuori per circondarli.
Gli animali si muovevano in assoluto silenzio, con le labbra scoperte a rivelare i denti gialli, e le lingue a ciondoloni, biforcute come quelle dei serpenti.
— Non ti muovere — bisbigliò Josh, stringendo forte la mano della sorella.
I cani erano vicini, e avevano gli occhi completamente rossi, senza tracce di bianco né di pupilla. Digrignarono i denti, e Josh si sentì sfiorare le dita dalle loro labbra umide. Trasudavano un odore avvizzito e stantio, come di foglie marce. Anche se non erano grossi, erano incredibilmente muscolosi; uno gli sbatté contro una gamba, spingendolo contro la sorella. Le aure dei gemelli scintillarono e il cane che premeva contro le gambe di Josh scappò via con il pelo ritto.
— Basta! — tuonò la voce di Palamede, riecheggiando per tutto lo spiazzo. — Questa non è una trappola. — Il Cavaliere si chinò su Nicholas, con le grosse mani ancora serrate sulle sue spalle, spingendolo a terra. — Forse non sarò tuo alleato, Alchimista, ma non sono nemmeno tuo nemico — borbottò. — L’onore è tutto ciò che mi è rimasto, ormai, e ho giurato al mio amico Saint-Germain che mi sarei preso cura di te. Non tradirò la sua fiducia.
Flamel provò a liberarsi, ma la presa di Palamede era d’acciaio. L’aura dell’Alchimista divampò crepitando di scintille, ma poi si spense all’improvviso, e il vecchio si accasciò esausto.
— Mi credi? — domandò il Cavaliere.
Nicholas annuì. — Ti credo, ma… lui che ci fa qui? — Con un’espressione di assoluto disprezzo in viso, sollevò il capo per guardare l’ometto rannicchiato sulla soglia della baracca, intento a sbirciare fuori dalla porta socchiusa.
— Vive qui— rispose semplicemente Palamede.
— Vive qui? Ma è…
— Un amico — tagliò corto il Cavaliere. — Sono cambiate molte cose. — Allentando la presa, afferrò Nicholas per le spalle e lo rimise in piedi. Costringendolo a voltarsi, gli risistemò il giubbotto di pelle sgualcito; poi pronunciò una parola brusca in una lingua incomprensibile, e gli animali che si accalcavano intorno ai gemelli ritornarono sotto la baracca.
Josh lanciò un’occhiata in terra, verso la spada, e si chiese se avrebbe fatto in tempo a recuperarla. Alzò lo sguardo e incrociò gli intensi occhi bruni di Palamede.
Il Cavaliere sorrise con un lampo di denti bianchi e si chinò a raccogliere Clarent dal fango. — Non vedevo quest’arma da molto tempo — disse piano, con accento più marcato che rivelava di nuovo le sue origini mediorientali.
La sua aura divampò nell’istante stesso in cui toccò la spada, e per un attimo fu rivestito da un lungo usbergo nero in maglia di ferro completo di cappa, che gli copriva le braccia fino alla punta delle dita e terminava poco sopra il ginocchio. Ogni singolo anello di ferro scintillava di minuscoli riflessi. Mentre l’aura si affievoliva, la lama di pietra mandò dei bagliori neri e rossastri, come di petrolio sull’acqua, e un sospiro, come vento tra l’erba alta, percorse tutta la lunghezza della spada.
— No! — Clarent mandò di nuovo un bagliore sanguigno, e Palamede, con un respiro profondo e tremante, la lasciò cadere di botto, una patina di sudore sulla pelle scura.
L’arma si conficcò di punta nel terreno fangoso, ondeggiando. Il fango si indurì all’istante; formò un cerchio intorno alla spada, si seccò e cominciò a spaccarsi.
Palamede si strofinò le mani, quindi se le pulì sui pantaloni. — Pensavo che fosse Excalibur. — Si voltò verso Flamel. — E tu che ci fai con questa… cosa? Sai che cos’è, non è vero?
Flamel annuì. — L’ho tenuta al sicuro per secoli.
— L’hai tenuta! — Il Cavaliere serrò i grossi pugni, le vene delle braccia e del collo improvvisamente in rilievo. — Se sapevi cos’era, perché non l’hai distrutta?
— È più antica dell’umanità — replicò Flamel. — Ed è più antica perfino degli Antichi Signori e di Danu Talis. Come potevo distruggerla?
— È un’arma immonda — lo fulminò Palamede. — Sai cosa ha fatto?
— È stata solo uno strumento; nient’altro. Uno strumento usato da persone malvagie.
Palamede cominciò a scuotere la testa.
— Ne avevamo bisogno per fuggire — sottolineò con fermezza l’Alchimista. — E ricorda: senza di essa, Nidhogg sarebbe ancora libero di imperversare per tutta Parigi.
Josh fece un passo avanti, estrasse la spada da terra e la ripulì dal fango sulla punta di una scarpa. Ci fu un vaghissimo sentore di arance nell’aria, ma l’odore era amaro, e leggermente inacidito. Nell’istante in cui toccò l’elsa, il ragazzo fu travolto da un’ondata di emozioni e di immagini:
Palamede, il Cavaliere saraceno, alla testa di una dozzina di cavalieri in armatura e cotta di maglia. Erano piuttosto malconci, con le armature rotte e scalfite, le armi sbeccate, gli scudi ammaccati. Si facevano strada combattendo contro un esercito di uomini dall’aspetto primitivo e bestiale, cercando di raggiungere una collinetta dove un singolo guerriero dall’armatura dorata si batteva disperatamente contro degli esseri che erano un terribile incrocio tra uomini e animali.
E poi: Palamede che gridava un avvertimento mentre una creatura enorme si levava alle spalle del cavaliere solitario. La creatura, dalla forma umana ma con le corna sinuose di un cervo, sollevò una spada corta di pietra e il guerriero dorato cadde.
Palamede chino sopra il guerriero caduto, che rimuoveva delicatamente Excalibur dalla sua mano.
Palamede che correva in mezzo a una palude, inseguendo la creatura simile a un cervo. Le belve lo assalivano – cinghiali, orsi, lupi e capre, tutti per metà umani – ma lui si faceva strada con Excalibur, e la spada dardeggiava disegnando archi di fredda luce azzurra nell’aria.
Palamede ai piedi di una scogliera vertiginosa, mentre l’uomo cornuto si arrampicava senza sforzo fino in cima.
E lassù, infine, la creatura che si voltava, tenendo alta la spada che aveva usato per uccidere il re. La lama emanava un vapore nero e purpureo. Ed era quasi identica a quella che il Cavaliere saraceno stringeva in mano.
Josh trasse un respiro profondo e tremante, e le immagini svanirono. La spada stretta nella mano dell’uomo cornuto era Clarent, la gemella di Excalibur. Aprendo gli occhi, Josh posò lo sguardo sull’arma, e in quell’istante capì perché Palamede l’aveva raccolta con tanta foga. Le due spade erano quasi identiche; c’erano solo delle piccole differenze sull’elsa. Il Cavaliere saraceno aveva scambiato la spada di pietra per Excalibur. Fissando attentamente la lama grigia, Josh cercò di concentrarsi su quello che aveva appena visto: il guerriero in armatura dorata… Possibile che fosse…?
Un odore stantio di sporco aggredì il naso di Josh, che si voltò. Aveva accanto l’ometto calvo che avevano intravisto prima, e che adesso lo scrutava con il suo sguardo miope da dietro le lenti spesse. Aveva gli occhi di un azzurro pallido e slavato. E puzzava.
Josh tossì e fece un passo indietro, con gli occhi che lacrimavano. — Cavolo, ma perché non si fa un bel bagno?
— Josh! — esclamò Sophie.
— Io non credo nelle virtù del bagno — disse l’ometto, con accento raffinato. La voce era del tutto in contrasto con il suo aspetto. — Danneggia gli olii naturali del corpo. Lo sporco è sano.
L’ometto si avvicinò a Sophie e la squadrò da cima a piedi.
Josh notò che la sorella sbatté forte le palpebre e arricciò il naso prima di portare una mano sulla bocca e fare un passo indietro. — Visto? — disse il ragazzo. — Ha davvero bisogno di un bagno. — Finì di pulire la lama dal fango e si avvicinò alla sorella. L’ometto sembrava innocuo, ma Josh aveva capito che c’era qualcosa in lui che irritava – o forse spaventava? – l’Alchimista.
— Già. — Sophie si sforzò di non respirare col naso. Il fetore dello sconosciuto era indescrivibile: un misto di odore corporeo stantio, vestiti sudici e aria rancida.
— Gemelli, scommetto? — domandò l’ometto, guardando ora l’uno ora l’altra. Poi annuì, rispondendosi da solo. — Gemelli. — Tese una mano per sfiorare con le dita sudice i capelli di Sophie.
Ma lei gliela scansò la mano con uno schiaffo. La sua aura scintillò e il fetore che circondava lo sconosciuto si intensificò per un attimo. — Non mi tocchi! — disse la ragazza.
Flamel si frappose tra l’uomo vestito con la tuta da meccanico e i gemelli. — Che ci fai qui? — domandò. — Pensavo che fossi morto.
L’ometto sorrise, rivelando una dentatura incredibilmente guasta. — Sono morto tanto quanto te, Alchimista. Per quanto io sia più famoso.
— A quanto pare, voi due vi conoscete — commentò Josh.
— Conosco questo… — Nicholas esitò, le rughe che si aggrottavano sul suo viso. — … questa persona, da quando era un ragazzo. In effetti, un tempo nutrivo grandi speranze per lui.
— Qualcuno vorrebbe degnarsi di dirci chi è? — sbottò Josh, facendo scorrere lo sguardo dall’Alchimista a Palamede, in attesa di una risposta.
— Era il mio apprendista, finché non mi ha tradito diventando il braccio destro di John Dee — rispose Flamel con disprezzo, quasi sputando le parole.
I gemelli si allontanarono immediatamente dallo sconosciuto, e Josh rinserrò la presa sulla spada.
L’ometto calvo piegò la testa di lato, e sul suo viso si dipinse un’espressione smarrita, di una tristezza indescrivibile. — Questo è successo molto tempo fa, Alchimista. Non ho più niente a che fare con il Mago, da secoli.
Flamel fece un passo avanti. — Cosa ti ha fatto cambiare idea? Non ti pagava abbastanza per tradire tua moglie, la tua famiglia, i tuoi amici?
Un lampo di dolore passò negli occhi pallidi dell’ometto. — Ho commesso degli errori, Alchimista, è vero. E ho trascorso delle vite intere a cercare di espiarli. Le persone cambiano… be’, la maggior parte delle persone — disse. — A parte te. Sei sempre stato così sicuro di te stesso e del tuo ruolo nel mondo. Il grande Nicholas Flamel non sbagliava mai… e se lo faceva, non lo ammetteva — aggiunse molto piano.
L’Alchimista si allontanò di scatto dall’ometto calvo, per guardare in faccia i gemelli. — Costui — disse, indicando con un ampio gesto del braccio l’uomo nella sua tuta sudicia — è l’ex apprendista di Dee… l’umano immortale di nome William Shakespeare.