CAPITOLO TREDICI
Il puzzo di fritto si diffuse nel deposito di rottami, dissipando completamente gli odori della nafta e del metallo e il sentore muschiato dei cani bagnati.
Flamel era in piedi sull’ultimo gradino delle scale della baracca. Perfino con quell’altezza in più, doveva alzare gli occhi per guardare Palamede in faccia. L’uomo che l’Alchimista aveva presentato come William Shakespeare era entrato sbattendosi la porta alle spalle, con una forza tale da far tremare l’edificio. Qualche attimo dopo, un fumo nero aveva cominciato a trapelare dal camino.
— Cucina sempre, quando è turbato — spiegò Palamede.
Josh deglutì e si tappò il naso, costringendosi a respirare con la bocca, mentre il fumo che usciva dalla baracca si insinuava in mezzo a loro. Già nauseato per effetto del Risveglio, sapeva di doversi allontanare da quel tanfo se non voleva vomitare. Vide la sorella che lo guardava con gli occhi sgranati per la preoccupazione, e fece scattare la testa di lato.
Sophie confermò con un cenno e tossì. Con l’aumentare del fumo, gli occhi avevano preso a lacrimarle.
Facendo attenzione a evitare le pozzanghere disseminate nel terreno fangoso, i gemelli si allontanarono alla svelta dalla baracca.
Josh si passò il palmo della mano sulle labbra. Riusciva addirittura a sentire il sapore dell’olio da cucina e del grasso sulla lingua. — Qualunque cosa sia, non ho intenzione di mangiarla — borbottò. Poi lanciò un’occhiata di sghembo alla sorella. — Immagino che ci sia qualche svantaggio nell’avere i sensi risvegliati.
— Qualcuno, sì. — Sophie sorrise. — Pensavo di averci quasi fatto l’abitudine, ormai.
— Be’, io no. — Josh sospirò. — O meglio, non ancora.
Era stato risvegliato da Marte soltanto il giorno prima – anche se gli sembrava già passata una vita – ed era ancora completamente sopraffatto dall’assalto sensoriale. Tutto era più luminoso, più chiassoso e più carico di odori di quanto fosse mai stato. Si sentiva i vestiti ruvidi e pesanti contro la pelle, e perfino l’aria gli lasciava un gusto amaro sulle labbra.
— Jeanne mi ha detto che dopo un po’ saremo in grado di escludere la maggior parte delle sensazioni, e di concentrarci solo su quanto ci serve sapere — disse Sophie. — Ti ricordi quanto stavo male all’inizio, quando Ecate mi ha risvegliata?
Josh annuì, ricordando che Sophie era così debole che lui aveva dovuto portarla in braccio.
— Però tu non sembri sconvolto come ero io — aggiunse la ragazza. — Anche se sei pallido.
— Ho la nausea — replicò Josh. Indicò con un cenno della testa la baracca, dove un sinuoso pennacchio di fumo si levava dal camino storto, diffondendo il puzzo di grasso bollente e di olio rancido nell’aria. — E quella roba lì non mi aiuta. Secondo te, ci sembrerebbe tanto disgustoso se non avessimo i sensi risvegliati?
— Probabilmente no. Forse è per questo che i sensi umani si sono offuscati nel corso del tempo. Era tutto troppo da sopportare.
A un tratto Flamel si voltò a guardare i gemelli e alzò un braccio. — Non vi allontanate — gridò. Poi, seguito da Palamede, finì di salire le scale e aprì la porta con uno strattone.
I due immortali scomparvero nella penombra dell’interno e la porta sbatté alle loro spalle.
Sophie lanciò un’occhiata al fratello. — Non siamo invitati, a quanto pare. — Si era sforzata di mantenere un tono neutro, ma Josh capì lo stesso che era arrabbiata; si succhiava sempre il labbro inferiore quando era irritata o infastidita.
Il ragazzo si tirò su il collo della maglietta, per coprirsi il naso e la bocca. — Secondo te, cosa sta succedendo là dentro? Pensi che, se ci avvicinassimo, riusciremmo a sentire di cosa stanno parlando?
— Sono sicura di sì, ma vuoi davvero avvicinarti a quel fetore micidiale?
Josh socchiuse gli occhi, colpito da un pensiero improvviso. — Mi chiedo…
— Cosa?
— Forse è proprio questo il motivo del cattivo odore. Vogliono tenerci alla larga.
— Pensi davvero che si prenderebbero tutto questo disturbo? E per cosa… per parlare di noi? — Sophie guardò di nuovo il fratello ed ebbe un rapido bagliore d’argento negli occhi. — Questa non è un’idea tua, Josh.
— Che intendi? L’ho pensata io. — Il ragazzo fece una pausa e aggiunse: — O no?
— Tanto per cominciare, è troppo intelligente — argomentò Sophie, sorridendo. — E sembra un’idea di quelle che sarebbero venute a Marte. Stando ai miei ricordi – o a quelli della Strega – c’è stato un tempo in cui pensava che tutti ce l’avessero con lui.
— Ed era vero? — chiese Josh. Anche se l’Antico Signore era terrorizzante, non poteva fare a meno di provare una pena incredibile per lui. Quando Marte Ultore lo aveva toccato, Josh aveva avvertito una lievissima traccia della sua infinita sofferenza. Era insopportabile.
— Sì — rispose Sophie, con occhi che scintillavano d’argento, la voce poco più di un sussurro. — Sì, era vero. Quando divenne Marte Ultore – il Vendicatore – era ormai uno degli uomini più odiati e temuti del pianeta.
— Questi sono i ricordi della Strega — disse Josh. — Cerca di non pensarci.
— Lo so. — Sophie scosse la testa. — Ma è più forte di me. Si insinuano ai margini del mio cervello. — Rabbrividì e si strinse le braccia intorno al corpo. — Ho paura. Che succederà se i suoi pensieri prendono il sopravvento sui miei? Che ne sarà di me?
Josh scosse la testa. Non ne aveva idea. La sola idea di perdere sua sorella era terrificante. — Pensa a qualcos’altro — insistette. — A qualcosa che la Strega non potrebbe sapere.
— Ci sto provando, ma lei sa talmente tante cose — replicò la ragazza, sconsolata. Si guardò intorno, cercando di concentrarsi sull’ambiente circostante e ignorando i pensieri estranei e bizzarri che si affacciavano nella sua mente. Doveva essere forte, lo sapeva, doveva farlo per suo fratello, ma non riusciva a ignorare i ricordi della Strega. — Tutto ciò che guardo, tutto ciò che vedo, mi parla di come sono cambiate le cose. Come faccio a pensare a qualcosa di normale con tutto quello che sta succedendo? Guardaci, Josh: guarda dove siamo, guarda cosa ci è successo. È cambiato tutto… completamente.
Il ragazzo annuì. Si aggiustò il tubo di cartone sulla spalla, scuotendo la pesante spada al suo interno. Dal primissimo istante in libreria, quando aveva fatto capolino dalla porta dello scantinato e aveva visto Flamel e Dee combattere con lance di energia verde e gialla, aveva capito che il mondo non sarebbe mai più stato lo stesso. Questo era successo solo quattro giorni prima, ma in quei quattro giorni il mondo era cambiato radicalmente. Tutto ciò che credevano di sapere si era rivelato una bugia. Avevano incontrato miti, combattuto leggende; avevano viaggiato da una parte all’altra del mondo in un lampo, per sconfiggere un mostro primordiale e osservare statue di pietra che prendevano vita.
— Sai, avremmo proprio dovuto prenderci il giorno libero, giovedì scorso — disse Sophie all’improvviso.
Josh non poté trattenere un sorriso. — Hai ragione. — Per settimane aveva cercato di convincere la sorella a prendersi un giorno libero per andare all’Exploratorium, il museo della scienza vicino al Golden Gate. Da quando ne aveva sentito parlare, moriva dalla voglia di vedere il famoso Sun Painting di Bob Miller, una creazione di luce, specchi e prismi. Poi il suo sorriso si spense. — Se l’avessimo fatto, niente di tutto questo sarebbe successo.
— Esatto — confermò Sophie. Scrutò quei muri torreggianti di auto arrugginite, il paesaggio butterato e fangoso e i cani dagli occhi rossi. — Josh, voglio che tutto torni com’era. Normale. — Si voltò a guardarlo, inchiodando gli occhi nei suoi. — Ma tu no.
Josh non tentò nemmeno di negarlo. Sua sorella avrebbe capito che stava mentendo; lo capiva sempre. E aveva ragione: anche se era esausto e faticava a fare i conti con i sensi risvegliati, non voleva che tutto tornasse come prima; non voleva tornare normale. Era stato normale per tutta la vita; quando la gente lo notava, lo vedeva solo come la metà di una coppia di gemelli. Si trattava sempre di Josh e Sophie. Andavano insieme ai campi estivi, ai concerti, al cinema, e non avevano mai trascorso una vacanza ognuno per conto proprio. I biglietti di auguri per il compleanno erano sempre indirizzati a tutti e due; gli inviti alle feste arrivavano con entrambi i loro nomi scritti sopra. La cosa non gli aveva mai fastidio, ma negli ultimi mesi aveva cominciato a seccarlo. Come ci si sentiva a essere visti come singoli individui? Come sarebbe stato vivere senza Sophie? Ed essere soltanto Josh Newman, non una metà dei gemelli Newman? Voleva bene a sua sorella, ma quella era la sua occasione per essere diverso, per essere un individuo.
Aveva invidiato Sophie quando i sensi le si erano risvegliati prima dei suoi. Aveva avuto paura di lei quando l’aveva vista combattere e controllare poteri inimmaginabili. Aveva temuto per lei quando aveva visto il dolore e la confusione che il Risveglio le aveva provocato. Ma ora che anche i suoi sensi erano stati risvegliati e che il mondo era diventato nitido e brillante, aveva intravisto un barlume del suo potenziale e stava cominciando a comprendere cosa poteva diventare. Aveva sperimentato i pensieri di Nidhogg e le impressioni di Clarent, aveva colto scorci fuggenti di mondi che superavano la sua immaginazione. Sapeva – oltre ogni ombra di dubbio – di voler passare allo stadio successivo e apprendere le magie elementali. L’unica cosa di cui non era sicuro era se farlo sotto la guida dell’Alchimista. C’era qualcosa che non tornava in Nicholas Flamel. La rivelazione che c’erano stati altri gemelli prima di loro era stata uno shock inquietante, e Josh aveva delle domande – centinaia di domande – da porre, ma sapeva che non avrebbe ricevuto nessuna risposta chiara dall’Alchimista.
In quel momento non sapeva di chi fidarsi – a parte Sophie – e il fatto che lei avrebbe preferito non avere i suoi poteri lo spaventava un po’. Anche se i suoi sensi risvegliati gli avevano procurato un mal di testa lancinante e una nauseabonda acidità di stomaco, lui non ci avrebbe mai rinunciato. A differenza della gemella, capì, era contento di non essersi preso quel giovedì libero.
Josh si premette una mano sul petto. Ci fu un fruscio di carta sotto la maglietta, dove custodiva ancora le due pagine che aveva strappato dal Codice. Un pensiero lo colse all’improvviso. — Se fossimo andati all’Exploratorium, Dee avrebbe rapito Nicholas e Perenelle e avrebbe avuto l’intero Codice. Probabilmente avrebbe già richiamato gli Oscuri Signori dai loro Regni d’Ombra. E il mondo sarebbe già finito. Non c’è nessuna normalità a cui tornare, Soph — concluse in un sussurro esitante.
I gemelli rimasero in silenzio, cercando di comprendere la portata di quell’affermazione. La sola idea era terrificante: il fatto che il mondo che conoscevano potesse finire era quasi incomprensibile. Soltanto il mercoledì precedente avrebbero riso all’idea. Ma adesso? Ormai sapevano entrambi che sarebbe potuto succedere. Peggio ancora: sapevano che poteva ancora succedere.
— O perlomeno, questo è quello che dice Nicholas — aggiunse Josh, senza nascondere una certa amarezza.
— E tu gli credi? — domandò Sophie. — Pensavo che non ti fidassi di lui.
— E infatti non mi fido — rispose Josh. — Hai sentito quello che detto Palamede sul suo conto. Per colpa di Flamel, centinaia di migliaia di persone sono morte.
— Non è stato Nicholas a ucciderle — gli rammentò la sorella. E in tono sarcastico aggiunse: — È stato John Dee, il tuo amico, a farlo.
Josh distolse lo sguardo e scrutò la baracca di metallo. Non sapeva cosa rispondere, perché era la verità. Dee stesso aveva ammesso di avere appiccato incendi e diffuso pestilenze nel mondo, nel tentativo di fermare i Flamel. — Tutto ciò che sappiamo è che Flamel ci ha mentito fin dal principio. Che mi dici degli altri gemelli? — chiese. — Palamede ha detto che Nicholas e Perenelle collezionano gemelli da secoli. — Quel verbo, “collezionare”, gli dava la nausea. — Che fine hanno fatto?
Un soffio di vento gelido spazzò il cortile, e Sophie rabbrividì, ma non per il freddo. Fissando la baracca, senza guardare il fratello, parlò molto lentamente, scegliendo le parole con cura. Si sentiva montare dentro la rabbia. — Visto che i Flamel sono ancora alla ricerca di gemelli, questo significa che tutti gli altri…? — Si voltò per guardare Josh e scoprì che stava già annuendo.
— Dobbiamo sapere che fine hanno fatto gli altri gemelli — disse il ragazzo, dando voce esattamente a quello che stava pensando Sophie. — Detesto chiedertelo ma… la Strega lo sa? — aggiunse cauto. — Cioè, sai se la Strega lo sapeva? — Faceva ancora fatica a comprendere che la Strega di Endor aveva trasmesso tutto il suo sapere alla sorella.
Sophie rifletté per un secondo, quindi scosse la testa. — La Strega non sembra sapere molto del mondo moderno. Sa molte cose sul conto degli Antichi Signori, della Nuova Generazione e di alcuni dei più antichi immortali. Aveva sentito parlare dei Flamel, per esempio, ma non li aveva mai incontrati prima che Scatty ci portasse da lei. So soltanto che abita dalle parti di Ojai da anni, senza telefono, senza TV e senza radio.
— Okay, allora lascia perdere, non pensare più a lei. — Josh raccolse un sasso e lo lanciò sul muro di rottami d’auto.
Il sasso rimbalzò facendo un gran chiasso, e una sagoma si mosse dietro il metallo. I cani dagli occhi rossi levarono la testa e lo studiarono con attenzione.
— Sai, mi è appena venuta in mente una cosa… — disse il ragazzo.
Sophie lo guardò, zitta.
— Com’è che io sono finito a lavorare per i Flamel, una coppia che colleziona gemelli, e tu sei finita nel caffè dall’altra parte della strada? Non può essere una coincidenza, no?
Sophie annuì, con un lievissimo cenno del capo. Aveva cominciato a riflettere sulla stessa cosa nell’istante stesso in cui Palamede aveva menzionato gli altri gemelli. Non poteva essere una coincidenza. La Strega non credeva nelle coincidenze, e nemmeno Nicholas Flamel; perfino Scatty aveva detto di credere nel destino. E poi naturalmente c’era la profezia… — Pensi di avere ottenuto quel lavoro perché lui sapeva che avevi una gemella? — chiese.
— Dopo la battaglia nel Regno d’Ombra di Ecate, Flamel mi ha detto che aveva cominciato a sospettare che fossimo i gemelli della leggenda soltanto il giorno prima.
Sophie scosse la testa. — Non ricordo quasi niente di quel giorno.
— Dormivi, perché eri esausta dopo la battaglia — si affrettò a dire Josh. Il ricordo di quel combattimento gli faceva gelare il sangue; era stata la prima volta in cui aveva visto quanto la sorella gli fosse diventata estranea. — Scatty ha detto che Flamel era un uomo di parola e che dovevo credergli.
— Non credo che Scatty ci mentirebbe — disse Sophie, ma mentre lo diceva, si chiese se erano i suoi pensieri o quelli della Strega.
— Forse no. — Premendosi le mani sul viso, Josh si strofinò la fronte, scansando i capelli biondi con le dita. Stava cercando di ricordare esattamente cosa fosse successo quel fatidico giovedì. — Non era d’accordo con lui quando ha detto che non sapeva chi fossimo. Però Flamel ha detto pure che tutto quello che aveva fatto era stato per proteggerci: secondo me gli dava ragione su questo — concluse. — E l’ultima cosa che mi ha detto Ecate prima che l’Albero del Mondo bruciasse è stata “Nicholas Flamel non dice mai tutto a nessuno”.
Sophie chiuse gli occhi, cercando di isolarsi dalle immagini e dai suoni del cortile e di tornare a quel giorno di inizio aprile in cui avevano cominciato i loro lavori part-time. — Perché ti sei candidato proprio per quel posto? — chiese.
Josh sbatté le palpebre, sorpreso. Poi si accigliò, ricordando. — Be’, papà aveva visto un annuncio sul giornale dell’università. “Cercasi assistente di libreria. Niente lettori, solo lavoratori”. Io non volevo farlo, ma papà mi ha raccontato che aveva lavorato in una libreria quando aveva la nostra età e che gli era piaciuto. Ho mandato il curriculum, e due giorni dopo mi hanno chiamato per un colloquio.
Sophie annuì, ricordando. Mentre Josh era in libreria, lei aveva attraversato la strada per aspettarlo nel piccolo caffè di fronte. Bernice, la proprietaria del Coffee Cup, stava parlando con una donna molto affascinante. — Perenelle — disse Sophie all’improvviso.
Josh si guardò alle spalle, aspettandosi quasi di vederla lì. Non ne sarebbe stato sorpreso. — Perenelle, cosa?
— Il giorno in cui abbiamo trovato lavoro. Tu stavi facendo il colloquio in libreria e io ho ordinato da bere al caffè. Mentre Bernice mi preparava il tè, Perenelle ha attaccato bottone con me. Ricordo che mi ha detto di non avermi mai vista da quelle parti, e io le ho risposto che ero venuta ad accompagnarti al colloquio in libreria. — Sophie chiuse gli occhi, ripensando a quel giorno. — Allora non mi ha detto di essere una dei proprietari, ma ricordo che mi ha chiesto qualcosa tipo: “Oh, ti ho vista con un giovanotto qua fuori. Era il tuo ragazzo?” Io le ho risposto che eri mio fratello. Allora lei ha detto: “Vi somigliate molto”. Quando le ho detto che eravamo gemelli, ha sorriso, si è sbrigata a finire quello che stava bevendo ed è uscita. Ha attraversato la strada ed è entrata in libreria.
— Mi ricordo quando è arrivata — confermò Josh. — Non pensavo che il colloquio stesse andando molto bene. Avevo l’impressione che Nicholas – o Nick… come si faceva chiamare – cercasse qualcuno più grande. Poi è arrivata Perenelle, mi ha sorriso, e ha chiesto a Nicholas di scambiare due parole sul retro. Ho visto che mi guardavano. Un attimo dopo era già uscita.
— È tornata al caffè — mormorò Sophie. Poi si interruppe, mentre i ricordi e gli eventi formavano finalmente un quadro chiaro. — Josh, mi sono appena ricordata di una cosa. Perenelle ha chiesto a Bernice se stava ancora cercando del personale. E ha suggerito che, dal momento che mio fratello lavorava nel negozio di fronte, io sarei stata perfetta per il caffè. Bernice le ha dato ragione e mi ha offerto il posto all’istante. Ma la sai una cosa? Quando mi sono presentata al lavoro, il giorno dopo, è stato stranissimo. Avrei giurato che Bernice fosse un po’ sorpresa di trovarmi lì. Ho dovuto perfino ricordarle che era stata lei a offrirmi il lavoro, il giorno prima.
Josh annuì. Ricordava che Sophie glielo aveva raccontato. — Pensi che Perenelle l’abbia in qualche modo indotta a darti il lavoro? Sarebbe capace di farlo?
— Oh, sì. — Gli occhi di Sophie si fecero per un attimo d’argento. Anche la Strega di Endor riconosceva che Perenelle era una Fattucchiera molto potente. — Così pensi che abbiamo ottenuto quei lavori perché siamo gemelli? — chiese di nuovo.
— Non ne dubito — rispose Josh, arrabbiato. — Eravamo solo un’altra coppia di gemelli da aggiungere alla collezione dei Flamel. Ci hanno imbrogliato.
— Che facciamo? — domandò Sophie, con un tono altrettanto duro. Il pensiero che i Flamel li avessero in qualche modo manipolati le dava il voltastomaco. Se Dee non si fosse presentato al negozio, cosa ne sarebbe stato di loro? Cosa gli avrebbero fatto, i Flamel?
Josh afferrò la mano della sorella e la condusse dietro la baracca puzzolente, evitando accuratamente le pozzanghere. I cani si drizzarono a sedere, seguendo i loro passi con gli scintillanti occhi rossi. — Tornare indietro è impossibile. Non abbiamo scelta, Sophie: dobbiamo vivercela tutta, fino alla fine.
— Ma qual è la fine, Josh? Dove finirà questa storia? E come?
— Non ne ho idea — rispose il ragazzo. Si fermò, voltandosi a guardare la sorella direttamente negli occhi. Fece un respiro profondo, inghiottendo la rabbia. — Però sai di cosa sono sicuro? Tutta questa faccenda riguarda noi.
Sophie annuì. — Hai ragione. La profezia parla di noi, noi siamo l’oro e l’argento, noi siamo speciali.
— Flamel ci vuole — continuò Josh. — Dee ci vuole. È ora di pretendere qualche risposta.
— Attacchiamo — disse Sophie, superando con un salto una pozzanghera. — Quando lo conoscevo – cioè, quando la Strega lo conosceva – Marte diceva sempre che la miglior difesa è l’attacco.
— Lo diceva anche il mio allenatore.
— E la tua squadra non ha vinto nemmeno una partita, nell’ultima stagione — gli rammentò Sophie.
Avevano quasi raggiunto la baracca quando William Shakespeare, con uno sguardo folle negli occhi e una padella in fiamme tra le mani, comparve sulla soglia.