CAPITOLO QUARANTADUE
Pieno di graffi e ammaccature, il taxi continuò a percorrere le strade di Millibank, oltre il Parlamento, e si fermò a un semaforo.
Un vagabondo con i capelli arruffati e la barba incolta, avvolto in strati e strati di vestiti, si staccò dal marciapiede e corse verso la macchina. Dopo aver immerso una spazzola tergivetro in un secchio di plastica azzurra, la sbatté sul parabrezza incrinato e in tre rapide mosse la strusciò avanti e indietro, eliminando in un batter d’occhio il fango e i grumi di polvere della Caccia Selvaggia.
Palamede aprì il finestrino e consegnò all’uomo una moneta da due sterline. — A quanto pare, stasera lavoriamo entrambi fino a tardi. Come te la passi, vecchio mio?
— Al caldo, all’asciutto, e con la pancia piena, Pally. Cosa potrei chiedere di più? Niente, davvero. Tranne forse un cane. Un cane mi piacerebbe. — La voce dell’uomo si alzava e si abbassava in un curioso ritmo cantilenante. Il vagabondo inspirò rumorosamente dal naso, e lo arricciò disgustato. — Bleah! Che puzza. Mi sa che hai messo sotto qualcosa. E ti è rimasto appiccicato da qualche parte. Meglio che lo gratti via, o ti rovini gli affari. — Rise, e qualcosa gli gorgogliò nel petto. Strizzò gli occhi miopi, rendendosi all’improvviso conto che c’erano dei passeggeri sul sedile posteriore della macchina. — Oh, non li avevo visti. — Si accostò a Palamede, e con un sussurro roco ma chiaramente percepibile aggiunse: — Immagino che non abbiano un buon olfatto.
— È tutto a posto, sanno di che si tratta — replicò Palamede, in tono leggero. Quando arrivò il verde, controllò lo specchietto retrovisore, e dato che non c’era nessuno rimase fermo all’incrocio. — Sono i resti dei lupi della Caccia Selvaggia. O perlomeno, di quelli che non hanno fatto in tempo a togliersi di mezzo.
— La Caccia Selvaggia, eh? — Il vagabondo strofinò il pollice sullo specchietto laterale, grattò via lo sporco e si avvicinò il dito alla bocca. Dal groviglio della barba spuntò una lingua rosa, che assaggiò il polpastrello. — Abbiamo un leggero sapore di ittiti, qui… mescolato con un briciolo di legionario romano e un tocco di guerriero unno. — Sputò. — Quella mostruosità cornuta si crede ancora il padrone della Caccia?
— Be’… lo è.
— Non mi è mai piaciuto — ribatté il vagabondo. — Come sta?
— L’ultima volta che l’ho visto, stava andando a fuoco.
Il vagabondo fece scorrere la mano sullo sportello scorticato. — Questi graffi non verranno via. — Sogghignò, facendo l’occhiolino. — Conosco un bravo sfasciacarrozze, se vuoi ti procuro un paio di sportelli nuovi.
— Il deposito non c’è più — replicò Palamede. — Cernunnos e la Caccia Selvaggia ci hanno fatto una visitina, un paio d’ore fa. Cernunnos stava andando a fuoco in mezzo al cortile quando siamo partiti. Probabilmente immaginerà che siamo venuti a cercarti.
Il semaforo segnava di nuovo il rosso, tingendo di scarlatto i volti del vagabondo e di Palamede.
— È solo un pallone gonfiato… non farà nulla — ridacchiò il vagabondo. Poi all’improvviso si incupì. — Ha paura di me, lo sai.
— Il Mago inglese, Dee, è con lui — aggiunse Palamede.
I denti sorprendentemente perfetti del vagabondo comparvero in un sorriso spettacolare. — Lui invece è terrorizzato da me. — Poi il sorriso scomparve. — Ma è anche così stupido da non saperlo. — Tuffando la spazzola tergivetro nel secchio, il vagabondo strascicò i piedi fino al marciapiede e ficcò tutti i suoi strumenti dietro un cespuglio. — È difficile procurarsi un buon tergivetro, oggigiorno — disse, tornando alla macchina. — Ci vogliono secoli per renderlo pienamente efficiente. — Aprì lo sportello posteriore e scrutò dentro. — Vediamo un po’, che cosa abbiamo qui?
La luce interna era scattata non appena lo sportello si era aperto, svegliando Josh, che strizzò gli occhi riparandoli con la mano. Il ragazzo si drizzò a sedere e trasalì alla vista di quel vagabondo sporco e stracciato che saliva in macchina.
— Che succede? Lei… lei chi è? — borbottò.
Il vagabondo posò i suoi stupefacenti occhi azzurri sul ragazzo e si accigliò. — Io… io sono… — Guardò Sophie. — Tu sai chi sono io? — Quando lei scosse la testa, si voltò verso la figura indistinta dell’Alchimista. — Tu sembri un uomo di ingegno. Sai chi sono?
— Tu sei Gilgamesh il Re — rispose Nicholas Flamel, con gentilezza. — Sei il più vecchio immortale del mondo.
Il vagabondo si strinse a sedere tra Sophie e Josh, sorridendo tutto contento. — Ecco chi sono. — Sospirò. — Io sono il Re.
Scattò di nuovo il verde e il taxi ripartì. Alle loro spalle, il Big Ben batté la mezzanotte.