CAPITOLO DICIASSETTE
Perenelle Flamel era in piedi sulla soglia e scrutava nel buio. La pesante porta di metallo che un tempo sigillava l’apertura giaceva alle sue spalle, piegata e contorta, scardinata dal peso dei ragni che si erano riversati fuori dalle celle sottostanti. Con Areop-Enap ritirato nel suo bozzolo, gli aracnidi sopravvissuti erano scomparsi, e tutto ciò che rimaneva sulla superficie di Alcatraz erano le carcasse rinsecchite degli insetti morti. La Fattucchiera si chiese chi – o cosa – avesse mandato le mosche. Qualcuno di potente, certo; qualcuno che probabilmente in quello stesso istante stava progettando una nuova mossa.
Perenelle piegò la testa di lato e si sistemò dietro l’orecchio i lunghi capelli neri, chiuse gli occhi e si mise in ascolto. Il suo udito era acuto, ma non colse nessun movimento. Tuttavia sapeva che le celle non erano vuote. La prigione dell’isola era piena di creature che si nutrivano di sangue e di carne: vetala, windigo, oni, un minotauro, troll e cluricauni… e, naturalmente, la micidiale sfinge.
La luce del sole aveva ricaricato l’aura della Fattucchiera, che sapeva di poter gestire le creature più piccole – anche se il minotauro e i windigo potevano crearle qualche problema – ma sapeva anche di dover evitare la sfinge. Il leone alato si nutriva di energia magica; la sua sola vicinanza avrebbe prosciugato l’aura di Perenelle, lasciandola inerme.
La Fattucchiera si premette una mano sullo stomaco, che brontolava per la fame. Ormai aveva raramente bisogno di mangiare, ma capì che stava bruciando un sacco di energie e aveva bisogno di calorie per ricaricarle. Se Nicholas fosse stato lì, quello non sarebbe stato un problema; molte volte nel corso dei loro viaggi, l’Alchimista aveva attinto alle proprie conoscenze per trasmutare le pietre in pane e l’acqua in zuppa. Perenelle conosceva un paio di incantesimi cornucopia che aveva imparato in Grecia e che le avrebbero procurato cibo a sufficienza, ma sapeva che per metterli in atto avrebbe dovuto attingere alla sua aura, la cui firma inconfondibile avrebbe attirato la sfinge.
Non aveva incontrato uomini sull’isola; dubitava che qualcuno potesse sopravvivere una sola notte ad Alcatraz e uscirne sano di corpo e di spirito. Ricordava di avere letto di recente – sei mesi prima, più o meno – un articolo in cui si diceva che l’isola era stata acquistata da una società che l’avrebbe trasformata in un museo multimediale di storia. Ormai sapeva che ciò non sarebbe successo, essendo Dee il vero proprietario dell’isola. La cosa peggiore, tuttavia, visto che gli uomini non vi mettevano piede da almeno sei mesi, era che difficilmente lei avrebbe trovato qualcosa di commestibile. Ma, dopotutto, non sarebbe stata la prima volta che avrebbe patito la fame nella sua lunga vita.
Il Mago aveva radunato un esercito nelle celle, creature provenienti da ogni nazione e dai miti di ogni razza. Senza eccezioni, erano tutti mostri che alimentavano da millenni gli incubi dell’umanità. E laddove c’era un esercito, c’era una guerra in arrivo.
Le labbra carnose di Perenelle si incurvarono in un sorriso ironico. Pareva proprio che fosse lei l’unico essere umano presente sull’isola… in compagnia di bestie mitologiche, mostri da incubo, belve mannare e vampiri assortiti. C’erano le Nereidi in mare, una vendicativa Dea Corvo chiusa in una cella nelle profondità dell’isola e un Antico Signore – o membro della Nuova Generazione – molto potente che la attaccava dalla terraferma.
Il sorriso di Perenelle si spense; era certa di essersi trovata in situazioni peggiori in passato, ma in quel momento non riusciva a ricordare quando. E Nicholas era sempre stato con lei. Insieme, erano imbattibili.
Una lievissima brezza si levò dal basso, arruffandole i capelli; il pulviscolo prese a roteare e una sagoma scintillò nell’oscurità. Perenelle arretrò subito verso la luce, dove la sua aura era più forte. Dubitava che fosse la sfinge; avrebbe già avvertito il suo inconfondibile odore muschiato di leone, uccello e serpente.
Una sagoma si materializzò sulla porta, assumendo profondità e sostanza dalla luce; una figura fatta di particelle rosse di ruggine e di resti scintillanti di ragnatela: era il fantasma di Juan Manuel De Ayala, l’uomo che aveva scoperto Alcatraz e che era il guardiano dell’isola. Lo spettro fece un profondo inchino. “Sono lieto di vedere che è sana e salva, madame” disse nel suo spagnolo arcaico e formale.
Perenelle sorrise. — Pensava forse che l’avrei raggiunta in spirito?
La sagoma semitrasparente fluttuò nell’aria, mentre De Ayala rifletteva sulla domanda; poi scosse la testa. “Sapevo che non sarebbe rimasta qui, se fosse caduta sull’isola. Il suo spirito avrebbe vagato altrove.”
Perenelle fece un cenno di assenso, gli occhi rannuvolati per il dispiacere. — Sarei andata a cercare Nicholas.
I denti perfetti che il marinaio fantasma non aveva mai posseduto in vita lampeggiarono in un sorriso. “Venga con me, madame, mi segua. Credo che ci sia qualcosa che deve vedere.” Si voltò e imboccò fluttuando le scale.
Perenelle esitò: si fidava di Juan Manuel De Ayala, ma gli spettri non erano creature molto sveglie ed erano facili prede di inganni. Ma poi, a poco a poco, colse un profumo di menta nell’aria umida e carica di salsedine, poco più di una lievissima traccia. Senza ulteriori esitazioni seguì lo spettro nelle tenebre.