CAPITOLO VENTINOVE
—Ancora un colpo — mormorò Dee.
Il Mago e Bastet erano rimasti in silenzio a osservare la Caccia Selvaggia che si scagliava contro le mura di metallo. A differenza dei lupi normali, quelle creature si muovevano senza abbaiare né ringhiare; l’unico suono che producevano era il ticchettio degli artigli sul selciato. Per la maggior parte si muovevano a lunghe falcate su quattro zampe, ma alcuni correvano solo su quelle posteriori, piegati e ingobbiti, e Dee si chiese se non fosse quella l’origine della leggenda dei lupi mannari. I cani, i Segugi di Gabriel, avevano sempre protetto gli homines; i lupi della Caccia Selvaggia li avevano sempre considerati delle prede.
Le belve più agili, all’incirca un centinaio, erano riuscite ad arrampicarsi sopra la staccionata e sulle pile di macchine accatastate. E a quel punto i difensori erano comparsi sui parapetti. Le frecce si riversarono fischiando sulla prima fila della Caccia Selvaggia, e nell’istante in cui toccarono i lupi dal volto umano, le creature cambiarono. Dee scorse pitecantropi, centurioni romani, guerrieri mongoli, uomini di Neanderthal, ufficiali prussiani e puritani inglesi… e poi li vide sgretolarsi e polverizzarsi nell’aria.
— Cernunnos sta sprecando le sue truppe — disse Bastet. Si era ritratta nell’ombra ed era quasi del tutto invisibile, raggomitolata in un lungo mantello di pelle nera.
— È un diversivo — replicò il Mago, senza guardare l’Antica Signora. Era la prima volta che parlava da quando era stata umiliata dall’Arconte, e Dee riusciva quasi a percepire l’ira che la Dea Gatto emanava in lente ondate. Il Mago dubitava che chiunque le si fosse rivolto in quel tono fosse mai sopravvissuto. Era anche consapevole di avere assistito alla sua umiliazione, e che Bastet non lo avrebbe mai dimenticato. Con la coda dell’occhio vide la grossa testa felina voltarsi per guardarlo con disprezzo.
— Le creature che attaccano le mura sono solo un diversivo — si affrettò a spiegare. — L’assalto principale avrà luogo al cancello. — Fece una pausa, poi chiese: — Presumo che l’Arconte sia invulnerabile… giusto?
Bastet socchiuse gli occhi in due fessure. — È vivo — sibilò. — Perciò può morire.
— Pensavo che gli Arconti fossero soltanto leggenda — commentò Dee, chiedendosi quanto in realtà la Dea Gatto sapesse sul conto della creatura.
L’Antica Signora rimase in silenzio per un attimo prima di rispondere. — Da giovane mi hanno insegnato che al cuore di ogni storia c’è un granello di verità.
Dee fece fatica a immaginare la dea dalla testa felina da piccola; ebbe l’improvvisa e assurda visione di un gattino bianco e soffice. Era mai stata giovane, Bastet? O era nata – chissà in quale modo – già adulta? C’erano così tante cose che desiderava sapere. Socchiuse gli occhi e scrutò Cernunnos dall’altra parte della strada.
Ecco laggiù un altro mistero: l’Arconte. Dee aveva dedicato diverse vite a indagare le leggende degli Antichi Signori. Di quando in quando si era imbattuto in frammenti di storie sulla misteriosa razza che aveva dominato la Terra nel passato più remoto, molto prima che i Grandi Signori facessero sorgere Danu Talis dal fondo del mare. Si diceva che gli Antichi Signori avessero costruito il loro impero sui frammenti della civiltà degli Arconti, e che avessero perfino colonizzato alcune delle città abbandonate dalla razza che li aveva preceduti. Ma com’era possibile che uno di essi avesse contratto un debito con un Antico Signore? Gli Arconti non erano forse più potenti di coloro che li avevano soppiantati? Gli Antichi Signori, perfino i membri della Nuova Generazione, erano infinitamente più potenti degli homines che gli erano succeduti nel mondo.
Il Mago osservò l’Arconte roteare l’enorme clava e poi assestare un colpo tremendo contro la porta di metallo. Lo schianto esplose nella notte e uno stridore di scintille incandescenti zampillò nell’aria. La porta vibrò e cigolò, e quando Cernunnos la ritirò con uno strattone, la clava si portò via lunghe strisce di metallo, che rimasero ciondoloni nell’aria.
L’enorme creatura cornuta lasciò cadere la clava a terra, afferrò i lati della porta e la squarciò in due, stralciando il metallo come se fosse un foglio di carta sottile. Facendosi da parte, lasciò che la Caccia Selvaggia si riversasse nel varco. Poi si voltò a guardare Dee e Bastet, e il suo bellissimo volto si illuminò di un sorriso radioso. — È ora di cena — annunciò.