CAPITOLO TRENTAQUATTRO
Tossendo, con gli occhi che lacrimavano a più non posso, Sophie, Josh e i tre immortali si ritrassero scompostamente dalla fiammata di calore, scivolando e cadendo sul terreno fangoso. Erano al sicuro dietro il muro di fuoco, ma erano anche in trappola.
Josh aiutò la sorella a rialzarsi. Aveva i riccioli della frangetta bruciacchiati, le gote rosso acceso e le sopracciglia ridotte a poco più di due sfregi.
Sophie tracciò una linea sopra gli occhi di Josh. — Ti si sono cancellate le sopracciglia.
— Anche a te. — Il ragazzo sorrise. Si toccò le gote. Si sentiva tirare la faccia e aveva le labbra secche e screpolate, e capì quanto fossero stati fortunati. Ancora un paio di centimetri, e si sarebbe ustionato sul serio. Sophie gli premette il mignolo su una guancia, e mentre un lieve profumo di vaniglia si diffondeva nell’aria, Josh avvertì una benefica sensazione di freschezza. Afferrò la mano della sorella e l’allontanò dal suo viso; la punta del mignolo era rivestita d’argento. — Non dovresti usare i tuoi poteri — disse, preoccupato.
— È un semplice metodo di cura… Imposizione delle mani, così l’ha chiamato Jeanne. Attinge a pochissima energia aurica. Non ci saranno più tagli né lividi, per noi. — Sophie sorrise.
— Ho la sensazione che ci dovremo preoccupare di cose ben più serie di qualche taglietto — replicò Josh. Si voltò a guardare attraverso la cortina di fuoco ardente.
Il Dio Cornuto aspettava con pazienza lontano dalle fiamme. Aveva le braccia incrociate sul petto massiccio, con il mozzicone fumante della clava ai suoi piedi. Anche se centinaia di lupi della Caccia Selvaggia si erano ridotti in polvere, ne restavano ancora almeno duecento. Per la maggior parte si erano raccolti in un semicerchio alle spalle di Cernunnos, ed erano accovacciati o distesi, con i volti umani fissi sul loro padrone.
Josh fece scorrere lo sguardo intorno. Erano completamente circondati: il resto della Caccia Selvaggia aveva preso posizione intorno al campo. — Che stanno facendo? — si chiese ad alta voce.
— Aspettano — brontolò Palamede alle sue spalle.
Josh si voltò. — Aspettano?
— Sanno che il fuoco non arderà a lungo.
— Quanto durerà?
— Un’ora. Forse due. — Il Cavaliere rivolse la faccia al cielo, valutando l’ora. — Forse fino a mezzanotte, ma non è abbastanza. — Scrollò le spalle. L’armatura nera era striata di fango e sporco, e puzzava di nafta. Strideva e cigolava a ogni movimento. — Abbiamo costruito questa fortezza più per isolarci che per proteggerci, anche se ci ha tenuto al sicuro da alcune delle creature meno gradevoli che infestano questo mondo. Non è mai stata concepita per tenere a bada qualcosa come Cernunnos. — Palamede lanciò un’occhiata di sbieco a Sophie, colpito da un pensiero improvviso, gli occhi liquidi nella luce riflessa delle fiamme. — Tu conosci la Magia del Fuoco. Potresti tenere in vita le fiamme.
— No — ribatté subito Josh, portandosi istintivamente davanti alla sorella. — Rischierebbe di uccidersi. Brucerebbe viva.
L’Alchimista annuì. — Sophie non riuscirebbe mai a tenere le fiamme in vita fino all’alba; non è abbastanza forte. Non ancora. Dobbiamo trovare un’alternativa.
— Conosco qualche incantesimo… — cominciò Shakespeare. — Anche tu, Palamede. E tu che mi dici, Nicholas? Lavorando insieme, di sicuro noi tre potremmo… — All’improvviso il Bardo voltò la testa, con le narici dilatate, gli occhi socchiusi.
— Che succede? — domandò Palamede, voltandosi a scrutare la parete di fuoco.
— Dee — dissero Shakespeare e Flamel all’unisono.
In quello stesso istante la figura bassa di un uomo di fianco all’Arconte fu circondata da un alone giallo sulfureo. Impugnava una spada azzurra e fumante.
— Con Excalibur — aggiunse l’Alchimista.
Il Mago spinse l’arma nel muro infuocato e inclinò la lama. Sibilando e sfrigolando, la spada trafisse il fuoco, e un’improvvisa corrente di vento gelido aprì un cerchio perfetto, come una finestra, nelle fiamme. Dee sbirciò nell’apertura e sorrise, mentre il fuoco si rifletteva sui denti in sfumature rosso sangue. — Bene, bene, cosa abbiamo qui? Messer Shakespeare… apprendista dell’Alchimista e del Mago. Caspita, praticamente è una riunione di famiglia! E Palamede, il Cavaliere saraceno, riunito – quasi – con le spade che hanno diretto e distrutto la vita del suo signore. E i gemelli, naturalmente. È stato così gentile da parte tua, Nicholas, portarmeli fino a casa, anche se sarebbe stato molto più comodo se avessimo concluso questa faccenda a San Francisco. Ora dovrò riportarli negli Stati Uniti. Consegnameli subito, e ci eviteremo un sacco di cose spiacevoli.
L’Alchimista rise, senza la minima traccia di allegria nella voce. — Non ti stai dimenticando qualcosa, John?
Il Mago piegò la testa di lato. — Mi pare che tu sia in trappola, Nicholas, dietro le fiamme, e circondato dalla Caccia Selvaggia. — Indicò con il dito la grossa figura al suo fianco. — E, naturalmente, Cernunnos. Stavolta, è impossibile fuggire. Perfino per te.
— Noi tre immortali non siamo senza poteri — gli rammentò Flamel. — Pensi di riuscire a tenerci testa?
— Oh, ma non ce n’è bisogno — replicò Dee. — Io non devo fare altro che estinguere le fiamme. Nemmeno tu potrai farcela contro Cernunnos e la Caccia Selvaggia.
Josh fece un passo avanti: impugnava saldamente Clarent nella mano sinistra, e la lama era una vampa di luce nera. Le ombre danzavano sul suo viso e lo facevano sembrare più grande dei suoi quindici anni. — E noi? Sarebbe un errore dimenticarsi di noi — intervenne brusco. — C’era anche lei a Parigi. Ha visto quello che abbiamo fatto ai gargoyle.
— E a Nidhogg — aggiunse Sophie, al suo fianco.
Clarent emise un gemito e Josh la sollevò di scatto in avanti, verso Excalibur. Le spade si incontrarono nel varco circolare in mezzo al fuoco, incrociandosi in un’esplosione di scintille nere e azzurre.
E Josh fu investito dai pensieri di Dee.
Paura. Una paura terribile, che tutto consuma, di creature bestiali e uomini simili a ombre.
Senso di perdita. Innumerevoli volti, uomini, donne e bambini, parenti, amici e vicini. Tutti morti.
Rabbia. L’emozione più travolgente era la rabbia. Una rabbia tumultuosa che tutto consuma.
Fame. Un’insaziabile fame di conoscenza, di potere.
Cernunnos. Il Dio Cornuto. L’Arconte che giaceva morto nel fango, con Dee che sovrastava il suo cadavere, stringendo Clarent ed Excalibur in ciascuna mano mentre lampeggiavano di fiamme rosso-nere e bianco-azzure.
I pensieri e le emozioni raggiunsero Josh come pugni in faccia. Si sentì sussultare a ogni nuova e scioccante immagine. Ma la più sconvolgente di tutte era la visione dell’Arconte che giaceva nel fango. Dee intendeva uccidere Cernunnos, ma per farlo aveva bisogno di Clarent. E Josh non aveva intenzione di cedere la Spada di Fuoco. Rinsaldò la presa sull’elsa e cercò di allontanare Excalibur, ma fu come spingere un muro di pietra. Tenendo la spada con tutte e due le mani, ci riprovò. La pietra grattava e scintillava, ma Excalibur non si mosse. La luce riflessa tramutò il volto di Dee in un teschio ghignante.
Josh aveva visto Sophie concentrare la propria aura e plasmarsela intorno al corpo; ne aveva sentito le proprietà lenitive sulla pelle, ma non aveva idea di come ci riuscisse. Era stata addestrata da Jeanne. Ma nessuno aveva addestrato lui. — Soph…?
— Sono qui. — La ragazza fu subito al suo fianco.
— Come...? — Cercò la parola giusta. — Come riesci a concentrare la tua aura?
— Non lo so. Io mi… mi concentro al massimo, credo. Tutto qui.
Josh trasse un profondo respiro e si accigliò, mentre la fronte si aggrottava, le sopracciglia si univano, concentrandosi più che poteva.
Non successe nulla.
— Chiudi gli occhi — disse Sophie. — Visualizza in modo molto chiaro quello che vuoi che accada. Comincia con qualcosa di piccolo, di minuscolo…
Josh annuì. Trasse un altro respiro profondo e strinse forte gli occhi. Sophie riusciva a concentrare la sua aura nel mignolo, perciò non c’era motivo per cui lui non dovesse riuscirci.
Ci fu un istante in cui il ragazzo sentì qualcosa che gli ribolliva nello stomaco. Poi quella sensazione gli risalì nel petto e scese lungo le braccia e nelle mani, che stringevano forte l’elsa della spada. La sua aura esplose in una luce accecante, che fluì sull’arma.
Clarent emise un lamento di pura agonia, e la lama si trasformò in oro massiccio. Nell’istante in cui l’oro sfiorò la spada di Dee il gelido fuoco bianco-azzurro di Excalibur si estinse, e la lama tornò una semplice pietra grigia.
Josh sbatté le palpebre, sorpreso. E la sua aura si spense in un lampo.
Il fuoco dorato svanì da Clarent, subito rimpiazzato dalle fiamme nere e purpuree. Excalibur si riaccese in un’esplosione di scintille. Josh vacillò, ma riuscì a non mollare la presa sulla spada.
Dee invece fu respinto dalla forza scioccante dello scoppio e piombò a terra, sollevando alti spruzzi di fango. Poi si allontanò strisciando sulla schiena, mentre Excalibur fendeva l’aria e si conficcava di punta nel terreno sudicio, vicino alla sua testa.
Josh dovette fare uno sforzo tremendo per strappare Clarent dal fuoco. La finestra circolare che si era aperta tra le fiamme si richiuse di scatto. Il ragazzo aveva un volto spettrale, con ombre scure e profonde intorno agli occhi, ma riuscì lo stesso a offrire un sorriso tremante alla sorella. — Visto? Non c’è voluto niente.
Sophie gli mise subito una mano sulla spalla, e Josh smise di vacillare, avvertendo un rivolo della energia aurica della ragazza che gli si riversava in corpo.
— E adesso cosa farà Dee? — si chiese Sophie.
Un attimo dopo un tuono potentissimo scosse il cielo e un lampo balenò sopra le loro teste. La pioggia che si scatenò era torrenziale.