CAPITOLO VENTOTTO
All’improvviso Josh si rese conto di stringere Clarent tra le mani, anche se non ricordava di averla estratta dal tubo. L’elsa rivestita di pelle era calda e asciutta nei suoi palmi sudati, e il ragazzo avvertì un formicolio, come di un insetto sulla pelle. L’antica arma crepitò, e piccole volute di fumo grigio-bianco si levarono lungo la lama, mentre i minuscoli cristalli incastonati nella pietra scintillarono di luce rossa e nera.
Un’ondata di idee e di sensazioni travolse Josh. Non erano i suoi pensieri e, dal momento che aveva già maneggiato la spada e sperimentato le sue emozioni, dubitava che appartenessero a lei. Si sentì… diverso: sicuro, forte, potente. E arrabbiato. Più di ogni altra emozione, provava una rabbia terribile. Se la sentiva bruciare sul fondo dello stomaco, e dovette piegarsi in due per il dolore. Riuscì letteralmente a percepire il calore che da lì rifluiva nel petto e sulle braccia. Si sentì bollire le mani, e poi il fumo che si staccava da Clarent mutò colore, assumendo una sgradevole sfumatura nera e rossastra. La spada fremette.
Il dolore scomparve, e raddrizzandosi, Josh scoprì di non avere paura. Tutti i timori degli ultimi cinque giorni erano scomparsi.
Si guardò intorno, esaminando le difese e il numero di difensori. Non aveva idea delle dimensioni dell’esercito che aveva di fronte e, anche se la fortezza di metallo era ben costruita, l’istinto gli diceva che non avrebbe retto fino all’alba; era pensata per resistere a degli aggressori umani. Alzò automaticamente la testa, cercando di valutare l’ora dalla posizione delle stelle, ma erano nascoste dietro uno strato di nuvole sfumate d’ambra… E poi si ricordò di avere un orologio. Le otto e venticinque. Almeno nove ore prima dell’alba, quando la Caccia Selvaggia si sarebbe ritirata nel suo Regno d’Ombra crepuscolare.
Dandosi dei colpetti con il piatto della spada nel palmo della mano sinistra, si guardò intorno, con gli occhi socchiusi. Si domandò come avrebbe attaccato un posto come quello. Scathach l’avrebbe saputo, sarebbe stata in grado di dirgli cosa avevano di fronte e dove sarebbe avvenuto il primo attacco. Josh non pensava che il nemico avesse portato delle macchine d’assedio, perciò prendere d’assalto le mura sarebbe stato lento e dispendioso. Il Dio Cornuto avrebbe avuto bisogno di crearsi un varco…
E a quel punto Josh capì di non avere bisogno delle istruzioni della Guerriera. Sapeva già tutto. Sophie aveva ragione: quando Marte lo aveva risvegliato, gli aveva trasmesso le sue conoscenze belliche.
Si voltò a guardare Palamede e Shakespeare. I Segugi di Gabriel si erano arrampicati sulle mura di metallo, unendosi a quelli che si erano già distribuiti sui parapetti. In totale c’erano forse cento guerrieri, e Josh sapeva che non erano abbastanza. Erano tutti armati di archi e frecce, balestre e lance. Perché niente armi moderne? Gli arcieri avevano una manciata di frecce nella faretra, e i lancieri due o tre lance a testa. Una volta che avessero terminato le munizioni, sarebbero stati inutili. E si sarebbero ritrovati ad aspettare gli aggressori, con le mani in mano.
Istintivamente, il ragazzo si voltò verso l’ingresso, e la sua mano si alzò di scatto, come se avesse una volontà propria, e puntò la spada verso il cancello. Josh sapeva che era quella la parte più debole di ogni castello. Piegò le labbra in un ghigno. — Cernunnos concentrerà lì il suo attacco — disse, senza rivolgersi a nessuno in particolare, e un ricciolo di fumo grigio-nero si levò dalla lama, quasi per confermare le sue parole.
In quello stesso istante un colpo rimbombò sul cancello, con una forza tale da far tintinnare i muri. Le alte pile di auto vacillarono. Poi un altro colpo, come di una mazza battente, vibrò nella notte. Da qualche parte sulla destra, una macchina si rovesciò schiantandosi a terra. I vetri si infransero.
Il cervo emise di nuovo il suo grido potente e primordiale.
Clarent sembrò rispondere al richiamo. Sussultò, e si voltò da sola nel palmo di Josh. Un’ondata di calore avvolse il polso del ragazzo, e all’improvviso la sua aura crepitò di scintille arancioni.
— Josh… — bisbigliò Sophie.
Lui si voltò verso la sorella e vide che lo stava fissando, ma non in viso. Seguì la direzione del suo sguardo e abbassò gli occhi. Sulle mani che stringevano la spada di pietra erano spuntati dei guanti. Sembravano di cuoio morbido, ed erano macchiati e consunti, la pelle graffiata e sporca di chiazze simili a fango.
Un altro colpo possente calò sul cancello.
— Non abbiamo truppe sufficienti per tenere le mura — disse Josh, pensando ad alta voce. Puntò Clarent in una direzione. — Palamede e Shakespeare dovrebbero aprire il cancello. I Segugi di Gabriel possono abbattere gli aggressori mentre si accalcano nella strettoia dell’ingresso.
Flamel fece un passo avanti e tese la mano verso Josh. — Dobbiamo andarcene di qui.
Nell’istante in cui le dita dell’Alchimista sfiorarono la spalla del ragazzo, l’aura di Josh si intensificò, e fili di energia gialla gli attraversarono le braccia e il petto. Flamel ritirò le dita di scatto, come se si fosse appena ustionato. La spada di pietra mandò un rapido bagliore dorato, quindi si spense, diventando di un brutto nero chiazzato di rosso, mentre un’ondata di emozioni coglieva Josh di sorpresa.
Paura. Una paura terribile, che tutto consuma, di creature bestiali e uomini simili a ombre.
Senso di perdita. Innumerevoli volti, uomini, donne e bambini, parenti, amici e vicini. Tutti morti.
Rabbia. L’emozione più travolgente era la rabbia. Una rabbia tumultuosa che tutto consuma.
Il ragazzo si voltò lentamente a guardare l’Alchimista. I loro occhi si incontrarono. Josh capì subito che quelle nuove emozioni non avevano nulla a che vedere con la spada. Aveva già impugnato Clarent in passato e ormai riconosceva la natura singolare e ripugnante dei suoi ricordi e delle sue impressioni. Sapeva di avere appena sperimentato i pensieri di Nicholas. Quando l’aveva toccato, aveva percepito la sua paura, il suo senso di perdita e la sua rabbia, e anche qualcos’altro: per un brevissimo istante, c’era stata una vaghissima impressione di ragazzi… molti ragazzi, negli abiti e nei costumi di dozzine di Paesi nel corso dei secoli. E quando l’immortale aveva tolto la mano di scatto, a Josh era rimasta l’impressione che tutti quei ragazzi fossero gemelli.
Fece un passo avanti e tese la mano verso l’Alchimista, con le dita spalancate. Forse se l’avesse toccato, se l’avesse stretto forte, finalmente avrebbe avuto qualche risposta. Avrebbe saputo la verità sul conto dell’immortale Nicholas Flamel.
L’Alchimista fece un passo indietro. Anche se le sue labbra erano ancora piegate in un sorriso, Josh lo vide serrare i pugni e scorse una sfumatura di luce verde sulla punta delle sue dita. Un accenno di menta si diffuse nell’aria, ma inacidito.
Un altro schianto scosse il deposito di rottami, e il cancello vibrò all’interno del telaio. Il metallo stridette e risuonò sotto l’assalto della Caccia Selvaggia, che graffiava e ghermiva con gli artigli le pareti.
Josh esitò, combattuto tra il desiderio di costringere l’Alchimista a un confronto e la necessità di gestire l’attacco. Poi, all’improvviso, gli venne in mente qualcosa che una volta gli aveva detto suo padre. Camminavano sulla riva del fiume Tennessee e parlavano della Guerra di Secessione americana e della battaglia di Shiloh. “È sempre meglio combattere una battaglia alla volta, figliolo” aveva detto. “Si vince di più in questo modo.”
Josh si allontanò. Doveva parlare a Sophie, doveva dirle quello che aveva sperimentato, e poi, insieme, avrebbero affrontato Flamel. Corse da Palamede. — Aspettate! — gridò. — Non fate fuoco!
Gli arcieri sui parapetti scagliarono le loro frecce, che gemettero e fischiarono sferzando l’aria, svanendo nella notte.
Josh si morse il labbro. Bisognava risparmiare le munizioni, ma doveva ammettere che il Cavaliere saraceno conosceva bene la tattica. Prima le frecce, poi le lance; e le balestre – potenti ma a corta gittata – tenute di riserva, per il combattimento ravvicinato.
— Lance — gridò il Cavaliere saraceno. — Fuoco!
I Segugi di Gabriel scagliarono le lunghe lance con la punta a forma di foglia giù dalle mura.
Josh piegò la testa, in ascolto, concentrandosi con i suoi sensi amplificati, ma non udì levarsi alcun suono dalle forze nemiche. Sembrava incredibile, ma le creature della Caccia Selvaggia si muovevano e combattevano in assoluto silenzio.
— Dobbiamo andare — disse Nicholas, in tono pressante.
Josh lo ignorò. Poi udì artigli e zanne feroci che laceravano il metallo, strappavano steccati, abbattevano pile di auto.
— Frecce — ordinò Shakespeare da un’altra sezione del muro. — Ora!
Un altro colpo tremendo scosse il cancello.
— Il cancello — gridò Josh, con voce possente e autorevole. — Entreranno attraverso il cancello!
Palamede e Shakespeare si voltarono a guardarlo.
Clarent fiammeggiava rossa e nera nella mano di Josh, indicando l’obiettivo. — Concentratevi sul cancello. È da lì che cercheranno di passare.
Palamede scosse la testa, ma il Bardo cominciò subito a spostare i Segugi di Gabriel verso il cancello.
Clarent si accese di un intenso bagliore rosso, fremendo nella mano di Josh, che involontariamente fece un passo avanti, quasi come se la spada lo stesse attirando più vicino al nemico.
— Ancora un colpo — mormorò il ragazzo.