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Roma, 18 agosto.
Ora locale 08:25.
«Siamo davanti alla sede romana delle Nazioni Unite, dove da un momento all’altro è atteso il principale indiziato». La giornalista, una biondina sorridente in diretta sulla TV nazionale, prese fiato e lanciò un’occhiata al suo bloc-notes. «Come sapete l’ambasciatore Niccolò Nobile sarebbe coinvolto nella morte di un giovane archeologo. Il fatto sarebbe avvenuto la notte del 14 agosto ma solo ieri la Procura ha reso noti i particolari».
Il vociare convulso di una ventina di cronisti, tutti assembrati disordinatamente dietro ad alcune transenne, la costrinse a interrompersi. Il cameraman inquadrò prima la facciata del palazzo e poi piazza Margana. Era popolata di telecamere, camioncini con parabole sul tetto e frontman con microfono in mano: da oltre l’angolo stava sopraggiungendo una Lexus nera.
«È lui», urlò qualcuno.
«È Nobile», gridarono altre voci.
Un gruppetto di fotografi si precipitò in mezzo alla strada per rubare uno scatto. Una scarica di flash si riversò sulla carrozzeria lucente dell’auto, che fu costretta a fermarsi a pochi metri dal portone.
«Signor Nobile, una dichiarazione». Una giornalista raggiunse lo sportello del guidatore. Dietro di lei alcuni cronisti sgomitarono, facendosi largo tra una selva di telecamere.
«Può confermare l’identità della vittima?», strillò una voce femminile.
«Eravate compagni di scuola?», fece eco un’altra.
Il finestrino si abbassò di qualche centimetro, rivelando lo sguardo sfinito di Niccolò Nobile. Improvvisamente si era trovato al centro di un turbine mediatico degno del suo peggior incubo. «Non ho nulla da dire», balbettò, la voce tremolante per l’emozione.
«Ha saputo che la sua vicenda ha provocato uno scossone a Palazzo Chigi?», alzò la voce una giornalista. «C’è chi chiede le dimissioni di Tommaso Signorini per averla scelta».
«No comment», ribatté Nobile. Provò ad alzare il vetro ma non vi riuscì, perché un’altra cronista infilò un braccio con un cellulare. «Lasciatemi andare», provò a dire, ma senza successo.
La situazione di stallo durò ancora pochi secondi, poi tra uno schiamazzo e uno scatto, dal portone verde del palazzo emersero due uscieri in divisa. Non senza fatica riuscirono a far spostare alcuni addetti della stampa e liberarono lo spazio fino all’ingresso.
Nobile non attese un secondo di più: pigiò lentamente sull’acceleratore e riuscì a infilarsi sotto l’arco che dava accesso al cortile interno. Mentre si fermava e le porte venivano sbarrate dietro di lui, si afflosciò sul sedile. Le mani cominciarono a formicolargli, come sempre gli succedeva quando si sentiva in ansia.
Era svuotato, privo di energie, senza forze. Per un secondo, senza capire neppure il motivo, si ritrovò catapultato nella cucina del suo appartamento, cinque anni prima. Quel giorno, con un cellulare tra le dita e lo sguardo atterrito, tutte le sue certezze erano crollate.
Lo ricordava alla perfezione, come se fosse stato lì in quel momento. Era un periodo in cui le cose con la sua fidanzata Colette non andavano affatto bene. Avevano smesso di parlare e la colpa era anche sua. Le loro giornate si trascinavano con lei sempre attaccata al cellulare. Era ormai avulsa dal mondo esterno, totalmente immersa nel cyberspazio.
Una mattina, quando le prime luci del giorno cominciavano a farsi strada attraverso le persiane della camera, la ragazza si era alzata per andare in bagno.
Nobile era sveglio ma aveva finto di dormire.
Nei giorni precedenti, come se sospettasse qualcosa, più volte aveva provato a prendere lo smartphone di Colette per leggere i suoi messaggi. Ma lei non se ne separava mai e non c’era riuscito. Non sapeva cosa aspettarsi anche se sotto sotto immaginava che il loro rapporto fosse al capolinea.
Quando lei era entrata nella toelette Niccolò si era allungato sul letto matrimoniale e aveva afferrato il telefono, per una volta incustodito. L’aveva infilato nella tasca del pigiama e poco dopo si era alzato con la scusa di bere un bicchier d’acqua.
Si era seduto sulla sedia della cucina e aveva aperto i messaggi in entrata, le mani tremolanti.
Nulla di strano: amiche, promozioni di negozi, colleghe di lavoro. Scambi di idee, di battute e di saluti estremamente normali.
Mentre rasserenato stava per rientrare in camera qualcosa gli aveva suggerito di fermarsi. Era tornato sui suoi passi e aveva aperto la posta inviata: a quel punto gli erano apparse decine di conversazioni che Colette evidentemente aveva dimenticato di cancellare. I protagonisti erano lei e un certo Tim e i loro scritti apparivano assolutamente inequivocabili.
La sua fidanzata lo tradiva. La donna con cui negli ultimi anni aveva condiviso tutto usciva (e chissà cos’altro faceva) con un altro uomo.
Tutte le sue certezze si erano disintegrate come una bolla di sapone nelle mani di un bambino. Di colpo, la sua vita privata non esisteva più.
Era sempre stato convinto che quel giorno fosse stato il peggiore della sua vita. Ma i fatti recenti gli avevano dato la certezza che si sbagliava…