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Al largo delle isole Baleari. Cinque minuti dopo.
Ora locale 06:10.
Niccolò Nobile scattò come se fosse stato morso da un serpente. Dal punto della suite in cui si era fermato a parlare con Muso non poteva vedere il vano d’ingresso, protetto da una credenza a specchio. Era lì che doveva essersi nascosto.
L’intruso.
Mentre a grandi falcate raggiungeva la porta, non aveva dubbi: l’intruso era l’avvenente donna russa.
Tese i muscoli e appoggiandosi alla maniglia della porta si catapultò fuori, sul ballatoio che dava verso l’interno della nave. Tutte le cabine di quella sezione avevano il terrazzo vista mare da un lato e l’entrata dall’altro, affacciata sul giardino botanico, otto ponti più in basso. Di fronte, le balconate di cristallo che davano accesso alle suite di dritta salivano per altri sei piani. In fondo si vedeva la poppa, con il teatro acquatico che luccicava nella notte.
Nobile voltò a sinistra e, nel punto in cui la balconata formava una L, individuò una figura in movimento. La vide solo per una frazione di secondo perché la donna si infilò in un lungo corridoio. Ma era certamente lei, scalza e con l’abito rosso che sfavillava nella semioscurità.
Senza rifletterci troppo, il funzionario dell’ONU si mise a correre. Era un tipo sportivo, il fisico asciutto scolpito dall’allenamento quotidiano, e quindi era certo che l’avrebbe raggiunta.
Appena svoltò l’angolo, Nobile si trovò in un androne dal pavimento lucente e una fila di porte smaltate. Alcuni quadri raffiguranti velieri erano appesi alle pareti e piante ornamentali delimitavano un vano più ampio. In fondo si vedeva un portellone doppio, con due oblò a vista, che dava sulla balconata esterna.
E fu in quel momento che dal vano ascensori, venti metri davanti a lui, sbucarono due uomini in uniforme bianca. Erano agenti del corpo di sicurezza della nave. Nobile rallentò l’andatura e quando li incrociò tirò il fiato. I due si limitarono ad accennare un sorriso e ad annuire con la testa per salutarlo. Lui fece lo stesso e subito dopo lanciò un’occhiata fuori: la ragazza non c’era più.
Prese un respiro profondo, spinse la pesante porta e un refolo di vento lo scosse. La lunga balconata esterna, che si estendeva fino alla prua sulla fiancata della nave, era completamente deserta. Dalla sua posizione riusciva a distinguere le sagome delle scialuppe di salvataggio agganciate allo scafo e una serie di salvagenti ancorati alle paratie. Più sotto, sulla linea di galleggiamento, il mare spumeggiava. Non c’erano altre imbarcazioni e il buio era totale.
Se non l’avesse creduto impossibile avrebbe giurato che la donna era saltata fuoribordo. Ma, ovviamente, era impossibile: doveva essersi nascosta da qualche parte e forse c’era un modo per trovarla.
Muso fece un ultimo sforzo e, con i pantaloni completamente inzuppati, tirò il corpo fuori dalla vasca. Era sovrappeso e fuori forma ma nonostante la fatica riuscì a sistemarlo a pancia sotto sul pavimento. Quando ebbe finito si appoggiò al muro per rifiatare.
Appena Nobile era corso fuori dalla suite lui si era messo in movimento. Dopotutto, aveva pensato, il Pezza ormai non poteva più essere in disaccordo…
Aveva cominciato ad armeggiare nello zainetto del defunto. Era pieno di cianfrusaglie e quaderni scritti a mano. In una tasca c’erano alcune fotografie e la chiave magnetica della sua cabina, sul ponte 10. Quello che stava cercando, però, non c’era; l’amico archeologo, subito dopo aver vinto una ricca mano a poker, era salito nella sua camera. Forse era lì che aveva lasciato le sue cose.
Appena terminata quella prima ispezione, Muso si era spostato nel bagno e adesso era seduto accanto al corpo del compagno di scuola, riverso bocconi sul pavimento. Il cuore gli martellava fino in gola. Si mise in ginocchio e cominciò a tastare le tasche posteriori dei jeans del cadavere. Niente neppure lì.
C’era solo un altro posto dove poteva guardare, i taschini della camicia. Fino a quel momento non aveva avuto il coraggio di guardare l’amico in volto. Era quella la ragione per la quale, tirandolo fuori dalla vasca, si era limitato a adagiarlo nella stessa posizione in cui era in acqua.
Mentre una pozza dal lieve colore porpora si allargava sul pavimento, lo girò. Ebbe un conato di vomito nel vedere gli occhi sbarrati del defunto. Non avevano l’aspetto di quelli di un morto: sembrava invece che il Pezza stesse dicendo qualcosa con lo sguardo: “Perché lo stai facendo?”.
Muso trattenne il fiato come per cacciare in gola un singulto. Poi si fece coraggio, cominciò a palpeggiare la stoffa zuppa e alzò lo sguardo. E in quel momento capì.
Il campanello risuonò nel silenzio della reception, un grande spazio alto tre ponti, rivestito di marmi, legni a vista e pareti di cristallo.
Il servizio di accoglienza era, in teoria, in funzione ventiquattro ore su ventiquattro, ma in quel momento sembrava non esserci nessuno.
Nobile si appoggiò al bancone di radica e suonò nuovamente. Dopo pochi istanti una porta scorrevole si aprì e fece capolino una receptionist bionda e sorridente. Nonostante fossero le sei di mattina, era impeccabile nel suo corsetto e sembrava sorprendentemente attiva.
«Cosa posso fare per lei?».
Nobile si schiarì la voce. «Sono un po’ imbarazzato», si schermì. «Ieri sera ho conosciuto una ragazza, su al casinò… mi ha detto di raggiungerla nella sua cabina ma non ricordo il numero».
La giovane rimase impassibile. «Purtroppo, come immaginerà, non posso fornirle il numero di cabina di un altro ospite». Il tono fu molto cordiale ma al tempo stesso risoluto. «Posso però farle recapitare un messaggio, se lo desidera». Allungò sul bancone un blocco di carta intestata e gli porse delicatamente una penna.
Nobile si mordicchiò il labbro inferiore. «Ok».
«Nel frattempo mi dica come si chiama la signora».
«Anche questo è un problema…». Il funzionario dell’ONU cercò di sfoderare il suo miglior sorriso. Si finse a disagio. «Conosco solo il nome di battesimo».
La ragazza lo fissò. Non parve particolarmente sorpresa. «Magari è sufficiente».
«Si chiama Ylenia. È alta più o meno così». Nobile posizionò il palmo della mano all’altezza della sua spalla. «Mora, occhi verdi. È russa!».
La giovane digitò qualcosa sulla tastiera e si fermò subito dopo. «È sicuro del nome?».
Niccolò allargò le braccia, cercando di sbirciare lo schermo del computer. Ma dalla sua posizione non riusciva a vederlo. «È quello che mi ha detto…».
La receptionist rimase impassibile e ricominciò a digitare. Un istante dopo scosse il capo e con un’espressione di rammarico comunicò: «Mi spiace, ma temo che a bordo non ci sia nessuna Ylenia».
Cinque minuti dopo Nobile risalì sul ponte 11 e attraversò il ballatoio. Oltre la poppa della nave il cielo cominciava a colorarsi di carminio. Albeggiava.
Mentre inseriva la chiave nella serratura magnetica rifletté sul fatto che con tremila passeggeri a bordo sarebbe stato davvero difficile riuscire a rintracciare la donna.
Cercò di riordinare le idee, ma proprio non riusciva a spiegarsi la ragione per la quale era rimasta nascosta nella suite fino a poco prima.
«Niente da fare», esordì entrando di gran carriera nella suite. «La russa ci ha dato un nome falso».
«Vieni a vedere!». La voce di Muso, cupa e baritonale, proveniva dal bagno.
Nobile si avvicinò e provò a spalancare la porta, che si aprì solo per metà: si bloccò sul corpo del Pezza adagiato al centro della stanza.
«Ma che cazz…». Il funzionario dell’ONU digrignò i denti nel vedere Muso seduto per terra. Aveva l’abito inzuppato e macchiato di sangue. Il corpo dell’amico era steso sul pavimento accanto a lui.
«Siamo nella merda!», bofonchiò l’avvocato, le rughe agli angoli degli occhi e la mandibola serrata.
«Perché l’hai tirato fuori dalla vasca? Cosa ti è saltato in mente?»
«Dobbiamo occultare il cadavere». Le parole di Valvano risuonarono in modo sinistro. Non sembrava stesse scherzando. «Potremmo buttarlo in mare».
«Fausto, ma sei serio?»
«Serissimo». L’avvocato si alzò in piedi. Dalla giacca e dai pantaloni grondava ancora acqua. In modo del tutto improbabile, cercò di pulirsi con le dita. «L’hai detto anche tu: non possiamo attraversare la nave con un cadavere sulle spalle e quindi riportarlo nella sua cabina è fuori discussione».
«Sì, ma buttarlo in mare… Ragioniamo con calma. Ci deve essere un’altra soluzione!».
«Niccolò, guarda, cazzo!».
Nobile non capì immediatamente a cosa l’amico si stesse riferendo. Poi fece cadere lo sguardo sul corpo di Leonardo e il sangue gli gelò nelle vene. Per un secondo smise di respirare incapace di distogliere le pupille dalla testa del cadavere, riversa all’indietro. Sul collo, da orecchio a orecchio, si estendeva un taglio netto dal colore bruno.
«Non è stato un incidente, non ha sbattuto la testa», sottolineò Muso, asciutto. «L’hanno sgozzato: è stato ucciso!».