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Osservatorio Astronomico Vaticano VATI, monte Graham, Arizona.
Ora locale 12:15.
La porta d’acciaio della camera asettica si aprì con un crepitio appena percepibile. All’interno del grande spazio circolare, cinque metri sotto terra, c’era penombra. Una luce lampeggiante, a volte rossa, altre verde, turbinava dalla parte opposta della stanza.
Il cardinale Vonn mosse qualche passo incerto, quasi strisciando i piedi, e raggiunse il centro della sala. Fatta eccezione per il ronzio lontano dei condizionatori, l’unico rumore era il suo respiro affannato.
Ogni volta che varcava quella porta aveva sempre la stessa reazione. E la cosa lo stupiva puntualmente, visto che non riteneva affatto di essere una persona impressionabile.
Chiuse gli occhi per un secondo e poi li riaprì, puntando lo sguardo sulle grandi vetrate che collegavano il pavimento al soffitto. Gli sembrava di osservare un gigantesco acquario, con la differenza che oltre i vetri spessi otto centimetri si vedeva una serie di scheletri giganti. Erano enormi, alti circa tre metri, con la fronte e gli zigomi alti. Quelli meglio conservati, bipedi e con un aspetto vagamente umano, mostravano un cranio allungato, due file di denti e arti con sei dita.
Erano diciotto in tutto ed erano stati rinvenuti circa cento anni prima nel Wisconsin. Non era stato l’unico ritrovamento di quelli che fin da subito, in Vaticano, erano stati identificati come i Nephilim: i giganti citati dalla Bibbia. Scheletri simili, fin dalla metà dell’Ottocento, erano stati rinvenuti anche nell’Ohio, in Virginia, nel Minnesota e in Messico. La cronaca locale aveva più volte riportato le notizie, ma in tutti quei casi, i Gesuiti si erano occupati di acquistare i resti e di custodirli. I ritrovamenti erano stati etichettati come macabri scherzi o “bufale” e ben presto erano caduti nel dimenticatoio. Reperti importanti, che avrebbero potuto svelare aspetti di rilievo sulle origini o sull’evoluzione dell’uomo, erano così scomparsi dai libri di storia.
«Davide contro Golia», proclamò una voce con accento anglofono. «È vero che la Bibbia, quando parla di Golia non lo definisce mai come Nephilim?».
Il cardinale si voltò e si vide venire incontro Teddy Greenidge, abito scuro, chierica perfettamente in ordine e sorriso pacioso sul viso.
«In realtà», rispose asciutto Vonn, carezzandosi la barba bianca, «la traduzione greca originale di Nephilim era proprio gigantes. La corrispondenza tra Genesi 6,1-4, il Libro di Enoch e il Libro dei Giganti di Qumran non lascia dubbi: Golia era un Nephilim, puoi stare tranquillo!».
Greenidge si avvicinò al religioso e tese la mano, lo sguardo perso sulle teche alle pareti.
«L’unione degli angeli caduti con le figlie degli uomini. Lo storico romano Giuseppe Flavio li definiva orgogliosi e sprezzanti delle virtù. I greci dicevano che erano pieni di fiducia in se stessi», continuò l’amministratore della SunriseX. «Se non fossero qui davanti a me, li avrei presi solo per miti o leggende. Quanti ne avete in tutto?»
«Trentadue completi: venticinque giganti e il resto piccoli. Il primo fu ritrovato nel 1868 lungo il Mississippi, incastonato nel granito». Si spostò nei pressi di una teca laterale. «Quelli che alcuni chiamano gli hobbit, l’Homo Floresiensis, furono invece rinvenuti in una tomba a Giza, negli anni Sessanta, molto prima della scoperta ufficiale del 2003».
«Questi scheletri farebbero la felicità di molti musei e altrettanti scienziati».
«Ciò nonostante sono qui», ringhiò il religioso. «E se tu hai avuto la fortuna di poterli vedere è solo perché abbiamo interessi comuni… Nessuno dovrà mai sapere l’esistenza di questo posto».
Greenidge annuì, accondiscendente. Non conosceva la vera ragione per la quale il Vaticano collezionasse tutti quei reperti, il contratto però era molto chiaro. Ciò che gli interessava maggiormente, in ogni caso, era un dettaglio più pratico. «Soltanto questi diciotto sono isolati dall’ambiente esterno…», fece notare. «È corretto?».
Il cardinale socchiuse le palpebre, un’espressione grave. «Credo che tu conosca bene la ragione, Teddy».
«Le fosse comuni mi fanno sempre un certo effetto», sorrise l’inglese, per stemperare la tensione. Si carezzò il pizzetto mentre esaminava, ammirato, i crani allungati dei teschi oltre le vetrate.
Vonn fece un passo in direzione della porta e una lama di luce proveniente dal corridoio gli rischiarò il viso teso. «Com’è la situazione? Avete ritrovato il fuggiasco?»
«Abbiamo intercettato una chat: si è messo in contatto con ciò che rimane di Ararat».
«Sapete dov’è?»
«Naturalmente», mentì Greenidge, pensando però alla sua segretaria. L’unico motivo per il quale Sybilla era ancora viva era che avrebbe dovuto condurli da padre Fernandes. Dovevano semplicemente tenerla d’occhio. «Abbiamo lanciato un buon amo. Anzi, due!».
Klaus Vonn emise un grugnito simile a una serratura arrugginita. Sbuffò, muovendosi ancora di qualche passo. «Mi avevi garantito che entro due giorni tutto sarebbe stato risolto!».
Theodore Greenidge non proferì parola. Almeno su quello, il religioso aveva ragione. Se si trovavano lì, oltretutto, era proprio grazie a lui e a quei reperti messi a disposizione della SunriseX fin dagli anni Settanta. Esaminando i denti di quei diciotto scheletri giganti era stato possibile estrarre il virus e successivamente produrre il vaccino che poi avevano brevettato.
«Ricordati la profezia», lo ammonì ancora Vonn, mentre imboccava l’uscita. «Ciò che stiamo facendo, insieme, è solo la volontà di Dio».
L’amministratore delegato annuì. Le azioni che lo avevano portato fino in Arizona non avevano nulla a che fare con la “Settima Profezia”: era semplicemente il volere di persone molto più importanti di lui. Il fine, tuttavia, coincideva con quello del religioso.
«Un’ultima cosa», chiarì Vonn, fermandosi di colpo in corridoio. La sua figura corpulenta, frapposta tra la luce del vano scala e la semioscurità della stanza asettica, dipingeva un’ombra tozza sul pavimento. «Temo che il problema con quel Niccolò Nobile non sia risolto».
Greenidge trattenne a stento un sorriso. «Sei stato tu a dirmi che te ne saresti occupato. Se mi lasciavi fare adesso non avremmo così tanti curiosi in giro».
«È un ambasciatore dell’ONU: speravo di risolvere senza versare altro sangue. Pare però che la chiacchierata con Signorini non gli sia bastata: si è messo a cercare su internet e a chiamare a destra e a manca».
«C’entra anche quell’investigatore?»
«Probabilmente…».
«Quindi mi stai chiedendo di intervenire?». Il tono dell’inglese si fece saccente. Non era il solo ad aver commesso errori, quindi.
«Non ancora. Per Veneziani ho già parlato con il procuratore in persona mentre per quanto riguarda Nobile dovremmo avere novità a breve». Sorrise e giunse le mani dietro la schiena mentre si allontanava. «Vediamo se la stampa lo convince a mollare l’osso».