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Repubblica di San Marino.
11:40.
Zeno Veneziani imboccò l’ultimo tratto in salita del vicolo. Si fece strada salendo a due a due i gradini a ridosso delle mura medioevali e si ritrovò nel Pianello. Di fronte a lui, nel tratto assolato di piazza Libertà, spiccava la torre campanaria del Palazzo del Governo.
Con il fiatone, il PM si guardò attorno, spaesato. Come si aspettava, nel giorno di Ferragosto San Marino ribolliva di turisti in cerca di orologi, occhiali griffati e prodotti elettronici a buon mercato. La Repubblica – uno dei tre Stati più piccoli al mondo – garantiva un regime fiscale vantaggioso che rendeva gli acquisti appetibili a chi veniva dalle vicine regioni italiane. E non si trattava soltanto di elettronica di consumo: negli ultimi anni, a causa della bassa tassazione, numerose società e fondazioni avevano trasferito la loro sede legale all’interno della cinta muraria. Tra queste c’era la Gregor Mendel Foundation, l’istituzione in cui era impiegato Leonardo Domianello.
«Se si esclude la vita privata, che a quanto pare non aveva», aveva spiegato Veneziani al fidato maresciallo De Simone, «non resta molto su cui indagare, a parte il lavoro».
E così, in quel giorno festivo, il PM si era messo in macchina e aveva percorso i trecento chilometri di autostrada che separavano la capitale da San Marino. Dopo trentacinque anni di matrimonio, si era da poco separato dalla moglie e non aveva nulla di meglio per impiegare la sua giornata.
Il divorzio era stata una decisione sofferta ma era stata presa di comune accordo: entrambi alla soglia della pensione, dopo aver cresciuto assieme due splendidi figli, si erano resi conto di non avere quasi più nulla in comune. Agnese, professoressa universitaria e amante dei fiori, prediligeva la vita sedentaria e la tranquillità; lui, a sessantaquattro anni suonati, aveva sviluppato un’ossessione per il tempo. Non sapeva quanti anni gli avrebbe regalato ancora la vita, ma aveva deciso che non ne avrebbe più sprecati. La sua speranza più intima, che spesso provocava in lui forti inquietudini, era quella di riuscire a lasciare un segno per i posteri. Qualcosa di importante, di realmente tangibile. Ma nella quotidianità del frenetico mondo moderno – senza alcun obiettivo se non quello di raggiungere il weekend – sembrava un’impresa a dir poco titanica. Certo, per l’anno successivo aveva programmato un viaggio in solitaria con la sua Foxy lady, la barca che avrebbe comprato con la liquidazione. Ma limitare il suo futuro solo a questo lo faceva sentire in qualche modo incompleto.
Per adesso, intanto, benché fosse ancora un uomo piacente, affabile e sempre con la battuta pronta, si ritrovava a doversi occupare di un’indagine in un giorno di festa. Nonostante il suo chiodo fisso per il tempo, non era riuscito a trovare un modo migliore per impiegarlo… L’unica consolazione era che, se non altro, amava il suo lavoro.
Aveva vinto il concorso in magistratura poco dopo la laurea e da quel momento le indagini sui crimini violenti erano diventate la sua normalità. Proprio perché gli piaceva ciò che faceva, non aveva mai ambito ad avanzamenti di carriera che l’avrebbero portato, inevitabilmente, lontano dalle scene del crimine. Con gli anni e l’esperienza aveva affinato un fiuto quasi infallibile. «Guardare oltre», usava dire ai suoi collaboratori, con quella sua aria a volte guascona. «Non fermarsi mai alle apparenze».
E così, tracce e indizi che per altri non significavano nulla, per lui acquistavano vita propria: erano i pezzi di un puzzle che trovavano la giusta collocazione solo nella sua mente. A volte si intersecavano alla perfezione con la teoria che già stava elaborando, altre, invece, sembravano solo stonati, fuori posto: come quello strano rapporto riservato dell’OMS, inviato dalla fondazione Mendel e che aveva trovato nel telefono della prima vittima. Quel documento era il motivo principale per il quale era lì.
Il vociare di una comitiva di turisti lo richiamò al presente. Oltre il parapetto al quale era affacciato, i rilievi della catena appenninica erano avvolti in nuvole spumose e il paesaggio verdeggiante spiccava al sole. Estrasse dai pantaloni la cartina geografica di San Marino e la consultò: la sede della fondazione Mendel era in piazzale Domus Plebis, nei pressi della basilica, poco lontano da dove si trovava. Si incamminò verso la statua della libertà che dominava il Pianoro e imboccò un vicolo, costeggiato da mura merlate a sinistra e da ristoranti a destra. Dopo pochi minuti si ritrovò di fronte le colonne neoclassiche della chiesa.
Dette una rapida occhiata all’indirizzo e fece spaziare lo sguardo sugli edifici di pietra affacciati sulla piazza. Poco distante, affissa sulla porta di un palazzo austero di tre piani, individuò una targa d’ottone. Si avvicinò a grandi falcate ed ebbe la certezza di essere nel posto giusto: GREGOR MENDEL FOUNDATION, SECONDO PIANO.
Passò in rassegna le finestre: erano tutte chiuse tranne una, proprio due piani sopra il livello stradale. Suonò il campanello e attese.
Cinque secondi. Dieci. Venti. Nessuna risposta.
Premette nuovamente il pulsante e questa volta udì dei passi e un rumore di chiavistello.
«Buongiorno, sto cercando qualcuno della fondazione», esordì, cordiale, rivolto a un sacerdote di mezz’età che fece capolino dietro l’uscio.
«Siamo chiusi», rispose quello, sbattendo le palpebre dietro due vistosi occhiali tartarugati.
«Mi chiamo Veneziani, sono un sostituto procuratore di Roma. Avrei bisogno di fare alcune domande. Lei è della fondazione?».
Il prete sembrò pensieroso. «Sono padre Croci, il segretario». Si schiarì la voce e dopo un’occhiata alla piazza, si scostò e spalancò la porta. «Ho già raccontato quello che sapevo ma venga pure».
Veneziani sorrise e lo seguì all’interno, dove faceva decisamente più fresco. Il prete fece strada. Salita una rampa di scale di marmo, lo fece accomodare in un grazioso salottino. Era ammobiliato con un divano Luigi XVI, alcune fotografie raffiguranti le piramidi, un vistoso arazzo con una scena di caccia e una pesante libreria. Dalla finestra, in lontananza, si scorgeva l’Adriatico.
«Come le ho già detto, ho parlato con l’Interpol, ieri, per telefono», riferì il religioso che si sedette sulla punta di una poltroncina e accavallò le gambe.
«Interpol?». Il PM parve dubbioso. «Veramente sono io che sto conducendo le indagini… Posso chiederle di cosa avete parlato, esattamente?»
«Mi ha chiamato un certo ispettore Sforza, se non ricordo male. Mi ha domandato quali progetti stesse finanziando il presidente, monsignor De Lestes».
«E lei cosa ha risposto? Quali progetti finanziate?».
Croci scosse il capo. «La fondazione si occupa di decine di attività. Tutte hanno il progresso e lo sviluppo dell’uomo come obiettivo primario. Spaziano dall’ambito agricolo a quello energetico».
«Può essere più specifico?»
«Non so cosa ne sarà adesso, ma uno dei progetti a cui monsignor De Lestes teneva di più era relativo a una forma di energia alternativa, in Russia. Ce ne sono poi molti altri. Dove c’è una buona idea da finanziare la fondazione fa la sua parte: abbiamo attività nel Corno d’Africa e in Amazzonia, dove vacciniamo i bambini, o in Medio Oriente dove cerchiamo di garantire la libertà di religione».
Sentendo quelle parole, Veneziani si ricordò del rapporto di De Simone su Domianello. «Era archeologo», aveva detto la sera prima, «appena tornato da una spedizione in Amazzonia».
«Conosce un certo Leonardo Domianello?», indagò il PM.
Il prete si irrigidì di colpo, socchiudendo le labbra. Poggiò il piede sinistro sul ginocchio destro, lo sguardo vuoto puntato su una targa di legno custodita in una vetrinetta.
«Purtroppo è deceduto: sto cercando di capire come mai un archeologo che lavorava per una fondazione religiosa aveva questo documento riservato». Veneziani venne subito al dunque. Estrasse dalla giacca di lino una stampa del PDF emerso dal cellulare di Domianello e la mostrò al prete. «Cosa ha a che fare un dispaccio dell’Organizzazione mondiale della sanità con una missione archeologica in Amazzonia?»
«La fondazione finanzia diverse campagne archeologiche: la più importante che mi viene in mente è nella piana delle piramidi, in Egitto. Non conosco però il progetto di Domianello». Croci si abbassò gli occhiali sul naso e cominciò a leggere il documento.
«Quel file è stato inviato da un indirizzo e-mail della fondazione. Non ne capisco molto, ma sembrerebbe assolutamente top secret, oltre che molto urgente».
«Era monsignor De Lestes a tenere i rapporti con Domianello».
«Come vede, nel documento si parla della SunriseX International, una multinazionale. Immagino ne abbia sentito parlare. Che legami ha questo con la Gregor Mendel Foundation?».
Croci sospirò. «Senta, dottor Veneziani, non so se questo documento sia vero o meno. In ogni caso, il progetto Ararat per cui era stato assunto il suo archeologo era gestito direttamente da monsignor De Lestes. Non ho mai visto e incontrato Domianello in vita mia».
Il PM si accigliò, distogliendo lo sguardo e facendolo cadere sulla targa che Croci aveva fissato poco prima: era grande più o meno come un libro e dalla sua posizione riusciva a leggerne il titolo, La settima profezia. Tornò a fissare il religioso e provò a rincarare la dose. «La SunriseX International produce, tra le altre cose, vaccini. Nel rapporto si parla di pandemie e nuovi farmaci e lei, prima, mi diceva che la fondazione si occupa anche di vaccinare i bambini africani». Si fermò per dar modo al suo interlocutore di comprendere il passaggio logico. «Non potrebbe essere questo il collegamento?».
Croci scosse il capo. «Leggendo quel rapporto non mi pare di vedere un collegamento con la fondazione. Non so cosa pensare, mi spiace».
«Che mi dice del vostro presidente?», l’apostrofò ancora il PM, carezzandosi il mento. Le ultime risposte di Croci lo avevano convinto che il religioso nascondesse qualcosa. «Monsignor De Lestes: forse lui potrebbe chiarire i miei dubbi. Quando potrei parlarci?».
A quelle parole il prete, già bianco come un cencio, impallidì del tutto. Spostò lo sguardo vuoto oltre la finestra e chiuse gli occhi. Alla base di quella conversazione c’era un terribile equivoco…
«Ma come, non è qui per l’indagine?», balbettò infine. «Non l’ha saputo? Monsignor De Lestes è morto ieri, a Mosca».