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Roma. Pochi minuti dopo.

16:22.

 

La grossa Lexus con targa diplomatica si fermò lungo il marciapiede, di fronte alla vetrina di una libreria.

Niccolò Nobile, solo alla guida, scrutò dal finestrino verso le finestre dello studio di Valvano. Erano chiuse, ma già dalla strada si intravedeva quello che aveva tutta l’aria di essere un sigillo giudiziario.

«Cazzo», mormorò sommessamente, ripensando all’ultima frase di quella strana lettera: “sappiate che da ora anche ciascuno di voi è in pericolo”.

“Non può essere”.

Parcheggiò l’auto, ansioso, e abbandonò il fresco dell’abitacolo. A quell’ora, con quel caldo infernale, non c’era in giro quasi nessuno: solo una motocicletta gialla e un’altra auto, un’utilitaria, posteggiate poco distanti.

Mentre attraversava la strada non sapeva cosa pensare, ma cominciava ad avere un brutto presentimento. Ciò che aveva scoperto non lo faceva stare tranquillo e ancor meno il fatto che Valvano non rispondesse al telefono. Dopo un’intera giornata di tentativi infruttuosi, aveva così deciso di andare di persona a trovarlo. Se finalmente fosse riuscito a parlarci avrebbero dovuto decidere il da farsi: autodenunciarsi dell’occultamento del cadavere era fuori questione, ma forse ci poteva essere un modo per far arrivare quello strano messaggio alle autorità.

Raggiunse il palazzo e si rivolse alla portinaia, il cuore che batteva all’impazzata. «Mi scusi, ho appuntamento con l’avvocato Valvano». Anche lì, davanti all’ascensore a vista, c’erano alcuni sigilli e un nastro giallo. «Mi sta aspettando».

Dietro il vetro c’era una donna di mezz’età che fissava distrattamente un piccolo televisore. Gli fece cenno di no, alzando lentamente il capo.

«Non c’è?», insistette lui.

«L’hanno trovato ieri sera». La portinaia sembrò davvero dispiaciuta e si avvicinò al vetro per evitare di dover urlare. «Sembra si sia suicidato».

A quelle semplici parole il terrore si materializzò sul viso di Nobile. «Suicidato? Fausto Valvano?».

La donna annuì, sconsolata. «Proprio lui, mi dispiace. I carabinieri sono stati qui quasi tutta la notte».

Per un istante Nobile sentì le forze venire meno e la donna dovette notarlo perché gli offrì un bicchiere d’acqua. Gli sarebbe servito ben altro… un po’ di coca, magari. Fu per questo che l’ambasciatore rifiutò educatamente e senza quasi rendersene conto tornò mesto nell’abitacolo della sua auto.

“Suicidato?”.

Era impossibile. Conosceva troppo bene Valvano: mai e poi mai si sarebbe tolto la vita. E soprattutto non dopo ciò che avevano fatto sulla nave. Avevano sistemato tutto. Non aveva motivo di farlo, nessuno sarebbe potuto arrivare fino a loro.

Cosa stava tralasciando? Era possibile che le autorità l’avessero messo sotto torchio per la morte di Domianello? Non poteva saperlo ma gli pareva improbabile, soprattutto in così poco tempo. C’era per forza qualcos’altro.

Sappiate che da ora anche ciascuno di voi è in pericolo.

 

La donna che si faceva chiamare Ylenia osservò la scena da pochi metri di distanza. Era a cavallo della sua Moto Guzzi V9 e aveva parcheggiato dietro ad alcuni cassonetti dell’immondizia.

Da quando aveva ricevuto l’ordine, si era limitata a seguire Nobile. Poco dopo aver raggiunto il suo ufficio, l’aveva visto salire su una grossa Lexus e dirigersi verso viale Eritrea. Lì era sceso e dopo una breve conversazione con la portinaia era risalito nella sua auto.

Con l’omicidio del grassone credeva di aver completato la sua missione. Valvano era l’unico che sapeva di lei e per quella ragione sarebbe dovuto morire già sulla nave. Il terzo uomo però – lo stesso che adesso stava tenendo d’occhio – si era svegliato proprio nel momento meno opportuno e lei era dovuta fuggire. Un lavoro semplice si era così complicato e aveva potuto portarlo a termine solo il giorno prima, mascherando il tutto da suicidio.

Quando credeva di aver chiuso i conti era però arrivata un’altra telefonata, subito seguita da una e-mail sul cellulare. “NUOVO OBIETTIVO”, diceva il testo e l’immagine era quella di Nobile.

Non conosceva le ragioni per quel contratto supplementare e di sicuro non le interessavano. Si era semplicemente messa al lavoro.

E adesso la sua prossima vittima era seduta in macchina, immobile, con la fronte appoggiata al volante. Avrebbe semplicemente potuto raggiungerlo e sparargli attraverso il vetro con la sua Glock 39. Ma, rumore a parte, non poteva farlo lì, di fronte allo studio dell’altra vittima: qualcuno avrebbe potuto collegare i due fatti. L’idea di toglierlo di torno nel suo appartamento era migliore. Loro avrebbero approvato.

Mentre rifletteva, l’auto dell’ambasciatore si mise in moto e dopo alcuni istanti partì lentamente.

Ylenia sorrise. Ingranò la marcia e la seguì.