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Ginevra, 15 agosto.

09:30.

 

«La Terra possiede risorse sufficienti per provvedere ai bisogni di tutti, ma non all’avidità di alcuni». Mentre l’oratore pronunciava quelle parole, sui pannelli rivestiti di legno del podio presidenziale scese un imponente telo bianco. Un istante dopo venne proiettata l’immagine di Mahatma Gandhi, l’autore della citazione.

La Assembly Hall, il grande anfiteatro dell’Organizzazione mondiale della sanità, era gremita e dalle file di banchi sistemate a semicerchio si sollevò un applauso convinto.

Theodore Greenidge, calato in un doppiopetto gessato, si rizzò sul pulpito e si godette quella sua frase a effetto. Per adesso, le delegazioni dei centonovantaquattro Stati membri dell’OMS sembravano con lui.

«Noi della SunriseX International lo sappiamo bene ed è per questo che io sono qui oggi, davanti a voi». Parlò lentamente, per dare modo ai traduttori simultanei di ripetere le sue parole in inglese, cinese, arabo, francese, spagnolo e russo, le lingue ufficiali. Non era la prima volta che l’amministratore delegato di una multinazionale teneva un discorso alla WHA, l’assemblea mondiale della Sanità, ma per lui, quello rappresentava l’apice della carriera. Poco importava che i soliti gruppi di ambientalisti avessero manifestato contro quell’incontro: Greenidge aveva un mandato da portare avanti e non si sarebbe lasciato intimorire.

«Come sapete, ogni cinque giorni la popolazione mondiale aumenta di un milione di unità. Mentre stiamo parlando abbiamo superato i sette miliardi di individui, saremo otto miliardi nel 2020 e nove miliardi nel 2040. Gli anni che abbiamo di fronte saranno caratterizzati dalla maggior crescita demografica mai registrata nella storia. Mai, fino a ora, la popolazione mondiale era aumentata così tanto in un così piccolo lasso di tempo».

Mentre l’oratore snocciolava quei dati con enfasi, in un banco a metà sala il cardinale Klaus Vonn socchiuse gli occhi, annoiato. Anche se non nutriva grande interesse per gli argomenti di quella riunione straordinaria, il lato positivo era che alla fine avrebbe potuto parlare da solo con Teddy Greenidge.

«Per il nostro pianeta», proseguì l’oratore con voce nasale, «così tante nuove nascite significano naturalmente più risorse da mettere a disposizione: più acqua e più cibo innanzitutto. Ma non solo. Più aumenta la popolazione, più vi è la possibilità concreta che i nuovi individui abbiano difficoltà ad accedere alle risorse a cui siamo abituati. L’istruzione, la vita dignitosa, la salute sono i fondamenti della nostra società e la SunriseX International contribuisce a diffonderli a tutti».

A quelle parole, dai palchi riservati al pubblico, sollevati rispetto alla platea, proruppe qualche fischio e un vociare confuso: alcuni manifestanti cominciarono a urlare slogan. Provarono anche a mostrare uno striscione ma, prima che fosse srotolato, gli addetti alla sicurezza lo impedirono.

Theodore Greenidge non si scompose e si limitò ad alzare un sopracciglio. Nonostante avesse da poco superato i cinquant’anni, era alla guida di una delle più importanti multinazionali al mondo già da dieci. Intemperanze come quella, purtroppo, erano all’ordine del giorno: avevano contribuito a fargli diventare il pizzetto e la chierica grigi, ma non potevano distoglierlo dai suoi piani. «Gentili amici, ho sentito anche io teorie secondo le quali la compagnia che ho l’onore di dirigere contribuirebbe a inquinare il mondo e a diffondere veleni nell’ambiente». Sorrise tranquillo, rivolto ai delegati. «Ma vi posso assicurare che le voci sono un tantino esagerate…».

Ci furono alcuni schiamazzi ma qualcuno rise alla sua battuta. La sala tornò in silenzio.

«Se siamo qui è proprio per la ragione opposta. Le nuove nascite non possono e non devono rappresentare un problema. Non sono solo consumatori del futuro, se è questo che state pensando, ma risorse». Fece una pausa teatrale, per dar modo al pubblico di assimilare le sue parole. «I nuovi individui per la SunriseX International sono risorse. È questa la ragione per la quale finanziamo in giro per il mondo progetti come quello che vi sto per presentare».

Dietro Greenidge, sopra al grande logo con il serpente che campeggiava sulla parete, apparve l’immagine di un villaggio immerso nel verde.

«L’abbiamo chiamato Paradise City e si trova in una zona rurale della Sierra Leone. Abbiamo acquistato i terreni, costruito gli edifici, piantato gli alberi e tracciato le strade. Gli abitanti vivono in un ambiente ecosostenibile, ci sono acqua potabile, una scuola, un presidio medico. Non si registrano più le gravi epidemie per le quali il Paese africano è tristemente noto. I malati vengono curati, i bambini vaccinati e istruiti, gli anziani accuditi: questo è il futuro che la SunriseX si aspetta. E questo è ciò per cui stiamo lavorando».

Dalla platea si sollevò un applauso. Non fu l’ovazione che Greenidge si aspettava, ma fu comunque sufficiente per creare un buon effetto mediatico. Le luci nella sala si abbassarono e partì un video accompagnato da una musica di pianoforte. Sullo schermo apparvero immagini di bambini africani denutriti alternate a quelle di giovani felici a Paradise City. Anziani intenti a leggere, genitori di colore sorridenti con i figli per mano. Lo spot durò circa un minuto e si chiuse in una dissolvenza. Sullo schermo rimase soltanto il sole stilizzato, simbolo della SunriseX, e uno slogan a effetto: For our future, per il nostro futuro.

Ci fu un nuovo applauso e Greenidge, come un venditore navigato, ne approfittò per proseguire. «La risoluzione su cui siete chiamati a esprimervi ci dà la possibilità di continuare con il nostro lavoro a beneficio di questa e di altre collettività. Se l’assemblea che ho di fronte approverà il piano di sviluppo, cominciando dai Paesi africani più in difficoltà, vi posso garantire che il mondo sarà un luogo migliore». Tacque, soffocando un singhiozzo. Era assolutamente premeditato ma di solito faceva effetto sul pubblico. «Per chi c’è già e soprattutto per chi ancora non c’è: i miei figli, i nostri figli, gli uomini e le donne di domani».

Era il momento culminante. Ma proprio allora, un fastidioso fuori programma lo costrinse a interrompere nuovamente l’intervento: un gruppo di manifestanti riuscì a forzare la sicurezza e irruppe di corsa sul palco. Erano una decina di donne a seno scoperto che srotolarono, proprio davanti all’oratore, un piccolo striscione. C’era scritto: NO SUNRISEX. NO FARMACI PREVENTIVI.

Greenidge non si scompose. Si finse divertito, anche se sotto sotto cominciava a innervosirsi. Fece un passo indietro in attesa che gli addetti ripristinassero l’ordine. Fu necessario solo una manciata di secondi per rimuovere lo striscione e tutto si concluse con un applauso pilotato. Nessuno dei delegati sembrò particolarmente stupito anche perché, dopotutto, le teorie complottistiche sui veri fini della SunriseX erano all’ordine del giorno.

L’amministratore delegato riprese a parlare con una delle sue solite battute e si accinse a concludere il suo intervento. Terminò quasi subito, senza altri contrattempi, e appena sceso dal palco strinse il maggior numero di mani che poté.

 

Poco dopo, mentre attraversava il grande atrio marmoreo del Palazzo delle Nazioni, fu intercettato dal cardinale Vonn, che caracollava lungo il corridoio.

«Teddy, ciao. Bel discorso».

L’amministratore delegato, in quel momento in compagnia della segretaria e di Jordan Dier, il distinto portavoce dell’OMS, si fermò sorridente. Era il suo solito sorriso intenzionalmente modesto: lo stesso che utilizzava per rabbonire chi gli stava intorno, facendogli accettare ciò che era meglio per lui. Aveva un aspetto gradevole, con la pelle abbronzata, il viso allungato e il naso lievemente aquilino messo in risalto dai riflessi del sole oltre le vetrate. Lontano dal palco si notavano la sua bassa statura e il fisico asciutto e ossuto. Messo a confronto con il cardinale, decisamente sovrappeso, sembrava Davide contro Golia.

«I dati sul sovraffollamento sono sempre d’effetto». Tese la mano.

«Teddy, io intanto ti saluto», ridacchiò Jordan Dier, stringendo calorosamente la mano di Greenidge. I gemelli d’oro fecero capolino da sotto la giacca. Accennò una riverenza a favore di Vonn. «Ho una riunione… ma siamo d’accordo. Chiamami».

«La platea mi è sembrata impressionata», gli fece eco il religioso, appena il rappresentante dell’OMS scomparve oltre l’atrio.

«Cosa ne pensi, la risoluzione sarà approvata?».

Vonn sorrise, tamponando il sudore dalla fronte con un fazzoletto porpora. «Nessuno la leggerà per intero. Puoi starne certo… e se posso dirla tutta, Dier mi è sembrato molto ottimista».

«Bene. Mi fa piacere che la pensi così. Spero che anche il Vaticano sarà favorevole».

Il religioso annuì e subito dopo fece guizzare le pupille vivaci a destra e a sinistra, come per verificare che non ci fossero occhi indiscreti a osservarli. «Senti, ti devo disturbare per un piccolo problema». Armeggiò nella ventiquattrore ed estrasse una cartellina con il logo della Specola Vaticana. Prima di aprirla davanti a Greenidge adocchiò la giovane assistente che si dondolava su tacchi vertiginosi, un passo dietro di lui.

«Puoi parlare davanti a Sybilla, è una persona fidata».

Vonn non si fece pregare oltre e con impazienza mostrò le fotografie satellitari dell’Amazzonia.

L’amministratore delegato gli dette una semplice occhiata. «Sì l’ho saputo. Anche noi abbiamo qualche drone sull’area».

«È un problema molto grave. Non è necessario che ti ricordi che il loro microbioma è quello…».

«Klaus!», lo interruppe Teddy, abbassando la voce. «Sta’ tranquillo. Te ne do atto: purtroppo abbiamo lasciato qualche pezzo in giro. Quando siamo intervenuti, il missionario era lontano per fare provviste».

Il religioso scosse il capo, visibilmente preoccupato. La Missione O’Reilly in Amazzonia era un punto cardine dell’intera operazione. Un errore lì e tutto rischiava di fallire.

«È stata una coincidenza sfortunata», proseguì Greenidge, sicuro di sé. Immaginava che Vonn sarebbe andato a trovarlo e si era preparato ciò che stava per dire. «Non preoccuparti, conosciamo già il nascondiglio: nel giro di un paio di giorni sarà tutto risolto».