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Al largo delle isole Baleari. Pochi minuti più tardi.
Ora locale 06:26.
I coniugi Zambon avevano scelto una vacanza in crociera per festeggiare il loro venticinquesimo anniversario. Lui, dieci anni più vecchio della moglie, era un fumatore accanito e quel giorno aveva cominciato molto presto: quando le prime luci rossastre avevano iniziato a colorare le nuvole basse sul mare, l’uomo si trovava già sul balconcino della cabina, sul ponte 7.
Appoggiato coi gomiti alla balaustra, assaporò un’ultima boccata di sigaretta e gettò il mozzicone tra le onde. Stava per rientrare quando un vociare convulso attirò la sua attenzione. Si affacciò cercando di scrutare in alto, tre o quattro ponti sopra la sua posizione, ma nella semioscurità non riuscì a vedere esattamente da dove proveniva. Il vento e il rumore delle onde che si infrangevano sullo scafo non gli permisero di udire nitidamente neppure le parole. Però la scena che gli si presentò davanti non ebbe bisogno di particolari interpretazioni: improvvisamente qualcosa barcollò, si sporse e saltò giù senza il minimo ripensamento. La figura umana cadde a peso morto lungo la fiancata della Princess of the Oceans, pochi metri accanto alla sua balconata, e si inabissò tra le onde.
«Isabella». Con voce tremante richiamò l’attenzione della moglie. «Isabella… credo che qualcuno si sia buttato in mare».
Contemporaneamente, sul ponte 11, Fausto Valvano e Niccolò Nobile richiusero la porta del terrazzino.
«Era la cosa giusta da fare», bofonchiò l’avvocato, il petto che faceva su e giù per la fatica.
Negli ultimi dieci minuti, dopo un’accesa discussione, avevano ripulito tutto e trasportato il corpo accanto alla balconata. In due, buttarlo di sotto non era stato troppo difficile: l’avevano posizionato a cavalcioni sulla balaustra e poi l’avevano sollevato dalle gambe. Immaginando ci fossero telecamere di sorveglianza sulle fiancate della nave erano stati bene attenti a non sporgersi. E tutto era andato liscio, se così si poteva dire: Domianello era caduto come un sacco colmo di sassi ed era scomparso tra le onde rischiarate dai riflessi dell’alba.
«Togliti quell’espressione da funerale». L’avvocato appoggiò una mano sulla spalla dell’amico, come per rincuorarlo.
Nobile si scostò con un gesto d’ira. Mosse la mandibola più volte, ma non sembrò trovare le parole giuste. Il viso, normalmente rilassato e sorridente, era segnato dall’angoscia.
«Questa è la tua cabina, non ti potevi permettere che rinvenissero il cadavere di un uomo assassinato».
Per quanto Nobile trovasse deplorevole ciò che aveva appena dovuto fare, sapeva che Valvano aveva ragione. Il Pezza era stato ucciso, non sapeva perché ma forse conosceva il colpevole: la russa, sempre ammesso che provenisse davvero dalla terra degli zar. La mente gli andò a poco prima: la donna aveva atteso nella loro cabina che trovassero il corpo. Era possibile che non stesse solo aspettando, ma avesse intenzione di derubarli o addirittura di uccidere pure loro nel sonno? Anche se non ne immaginava la ragione, gli sembrò una spiegazione ragionevole per la quale prima si era nascosta e poi era fuggita. Forse lui si era solo svegliato al momento giusto per impedirle di portare a termine i suoi piani, quali che fossero.
L’ambasciatore chiuse gli occhi, cercando di scacciare quei pensieri. Aveva appena occultato il cadavere di un suo caro amico. Dare retta a Valvano era stata la decisione giusta? Era stata la cocaina che ancora aveva in corpo a scegliere per lui?
Cercò di riordinare le idee: anche sulla storia raccontata dall’avvocato c’erano dei punti oscuri. Il fatto che fosse sporco di sangue e che da solo avesse tirato fuori il cadavere dalla vasca da bagno non lo convinceva. Perché mai farlo se non c’era un secondo fine? E poi, tutta quella fretta di liberarsi del corpo era quantomeno singolare.
Scosse il capo. Per un istante si pentì amaramente di aver gettato il cadavere in mare. Subito dopo però cercò di tornare lucido: per quanto diretto, insensibile e anche irrazionale sembrasse, su una cosa Muso aveva ragione: Nobile non poteva permettersi che la sua cabina diventasse la scena del crimine di un omicidio. Anche se non aveva fatto nulla sarebbero seguite molte domande, indagini ufficiali, e di sicuro i giornalisti si sarebbero gettati sul caso come degli avvoltoi. In un periodo in cui il partito di maggioranza – lo stesso che gli aveva fatto avere l’incarico di ambasciatore ONU – era costantemente accerchiato dai media, lui sarebbe stato un agnello troppo facile da sacrificare. Innocente o meno, non avrebbe retto a quello scandalo: Tommaso Signorini, il presidente del Consiglio, nonostante fosse suo amico lo avrebbe scaricato.
«Nessuno, a parte noi due, sa che eravamo in crociera col Pezza». Nobile cominciò a massaggiarsi le tempie, il tono della voce deciso. Non era in grado di riordinare tutti i tasselli del puzzle, ma sembrava che quelle riflessioni l’avessero finalmente scosso. «Dobbiamo semplicemente cancellare le prove che ci collegano a lui».
«Ognuno ha prenotato singolarmente», gli diede manforte Valvano. «L’unica cosa che dobbiamo fare è eliminare le e-mail che ci siamo scambiati. Senza quelle, eravamo semplicemente tre vecchi amici che per una strana coincidenza si sono ritrovati sulla stessa nave».
«Ormai la crociera è finita, nel pomeriggio attraccheremo a Civitavecchia… Le due bruttone di ieri sera non sanno che Domianello è morto e noi potremmo esserci salutati a notte fonda».
«Esattamente!». L’avvocato si tastò la tasca dell’accappatoio – che si era infilato al posto dei vestiti fradici – e ne estrasse la chiave magnetica che aveva trovato tra gli effetti personali del cadavere. «La cabina del Pezza è la 2012, ponte 10. È sufficiente che troviamo il suo telefono ed eliminiamo dal cloud le conversazioni con noi».
«Sui server del gestore ne potrebbe rimanere traccia», fece notare Nobile.
Valvano annuì, muovendosi verso la porta. «È vero, ma se non hanno un motivo valido per farlo, non è detto che gli inquirenti richiedano i dati. E poi non è neppure così facile che trovino il corpo».
I due si ritrovarono a camminare lungo il ballatoio. Sulle cabine di dritta alcune luci si erano già accese e oltre, verso le piscine, il cielo era quasi completamente rosso.
«Dobbiamo scendere di un ponte. Da quella parte».
Mentre camminavano a testa bassa sulla passerella, lungo la balconata opposta comparvero due uomini in divisa. Erano gli stessi che Nobile aveva già visto poco prima, quando aveva seguito la russa.
«La sicurezza», mugolò all’amico, posizionando il palmo davanti alla bocca per evitare di far leggere il labiale.
«Stanno scendendo», osservò l’altro.
Li seguirono con lo sguardo: gli agenti sembravano in evidente agitazione e sussurravano qualcosa al walkie-talkie. Nobile credette perfino di sentire anche le parole “uomo in mare” pronunciate da uno dei due. Ma non accadde nulla: gli agenti li ignorarono e continuarono a grandi falcate verso gli ascensori. Valvano e Nobile raggiunsero invece la scala di prua e scesero di un ponte.
La cabina del Pezza era a metà di un corridoio identico a tutti gli altri, non troppo distante dal centro fitness. In basso, oltre la balconata, si riuscivano a scorgere le boutique lungo la boardwalk e il parco centrale, un agglomerato di piante rare e fiori esotici. Le luci del Jolly Roger, il caratteristico bar ammobiliato come una taverna di pirati, risaltavano sulla Promenade. Ma Valvano non li degnò di uno sguardo: voltò le spalle e inserì la chiave magnetica nella serratura, che si aprì immediatamente. Una volta entrati i due si chiusero la porta alle spalle, lasciandosi cadere sul battente.
«Eccolo», grugnì l’avvocato, che raggiunse un tavolino di vimini sul quale era appoggiato il telefono di Domianello. «È acceso».
Nobile si avvicinò, strizzando gli occhi per vedere nella penombra: la camera era in perfetto ordine, con il letto rifatto, la valigia sistemata ordinatamente su una credenza e gli articoli da toeletta già riposti in un beauty-case. Sul comodino erano poggiati un quadernetto e una matita: sulla pagina aperta campeggiavano strani disegni che ricordavano gli hobbit di Tolkien e una scritta: “Homo Floresiensis”.
«C’è una chiamata senza risposta. È di pochi minuti fa», sibilò Valvano.
L’ambasciatore lanciò un’occhiata e annuì. «Lascia perdere. Guarda le e-mail».
L’avvocato premette una piccola icona raffigurante una busta e cominciò a sfogliare l’elenco.
«Dovrebbero essere di una decina di giorni fa: 2 o 3 agosto più o meno», suggerì Nobile.
Trascorsero alcuni attimi, in cui gli unici suoni erano il respiro affannato di entrambi e il lamento lontano dei motori della nave. «Eccole», riferì poi Valvano. L’elenco, raggruppato in un thread di diciotto messaggi, aveva un oggetto che non lasciava dubbi: “Proposta crociera per scapoloni”.
«Ok. Cancellale tutte».
L’avvocato, senza particolari cerimonie, premette il tasto delete e si lasciò scappare un sorriso. Missione compiuta. Molto più facile del previsto. Adesso era sufficiente che entrambi facessero lo stesso con la loro posta e il problema sarebbe stato risolto: nessuno avrebbe più potuto collegarli al morto.
Stava per infilarsi il telefono in tasca quando un suono di notifica attirò l’attenzione di entrambi: nella parte superiore dello schermo comparve una stringa di testo con una strana composizione di simboli. Nobile capì subito di cosa si trattava.
«È arrivata una nuova e-mail».
L’ambasciatore, un’espressione di sgomento sul viso, deglutì. «Aprila».
«Giusto: se viene letta adesso, significa che alle sei e mezza Domianello non era ancora morto…». Valvano alzò la testa e sorrise di nuovo. «Se le cose si mettessero male, potrebbe essere il nostro alibi».
L’ambasciatore annuì, cupo. Il motivo della sua curiosità era però tutt’altro. Si concentrò sul messaggio:
Da: “Catilina” <christopher@beatlesmania.eu>
A: “Catilina List” <christopher@beatlesmania.eu>
Inviato: Lunedì, 14 agosto 04:29:13 (GMT/UTC)
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