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Ginevra. Mezz’ora dopo.
Ora locale 19:13.
Sybilla Andrews, l’assistente di Teddy Greenidge, uscì dalla sala riunioni trotterellando su un paio di Louboutin con tacchi da quindici centimetri. Indossava pantaloni grigi di ottimo taglio e una camicetta di seta avorio. I capelli biondi erano raccolti in una coda di cavallo che metteva in risalto lineamenti duri e una mascella squadrata. Il viso, con un impercettibile velo di trucco, era tirato a causa non solo della stanchezza ma soprattutto della paura.
Guardò dritta davanti a sé: il corridoio del campus della SunriseX era deserto, illuminato a giorno da eleganti lampade a parete.
I LED sulle pulsantiere, che segnalavano il movimento degli ascensori, erano entrambi spenti. Meglio così.
Cosa doveva fare?
Cosa poteva fare?
Le notizie che l’avevano travolta nelle ultime ventiquattr’ore avrebbero dovuto, in teoria, metterla fuori gioco. Si sarebbe dovuta convincere che era finita, che loro avevano vinto.
Ma Sybilla non era così, non si arrendeva facilmente. Non sapeva ancora quale fosse la situazione aggiornata e su chi ancora potesse contare. Avevano fatto piazza pulita, come per liberare il campo all’avvio imminente del protocollo.
Raggiunta la porta smaltata del suo ufficio estrasse dalla tasca il badge di identificazione e lo fece scorrere nella serratura.
Prima di entrare dette un ultimo sguardo: nessuno l’aveva seguita. Il locale, comunicante con quello di Greenidge, era ampio, arredato con mobili in rovere ed eleganti tappeti. Fuori dalla finestra, che copriva l’intera parete, le luci della città baluginavano nel lago.
«Sta’ calma», si disse, mentre si sedeva alla sua postazione informatica. Ararat rischiava di essere compromesso ma forse c’era ancora qualcosa che poteva fare.
Tolse il cavo di rete dal computer portatile e lo collegò all’hot spot del suo cellulare. Utilizzava una SIM slovena e un proxy turco che garantivano anonimato al suo traffico dati.
Prima di digitare l’indirizzo nel browser trattenne il respiro. Aveva già letto il messaggio di Catilina ma sapere che era stato il suo ultimo tentativo di redimersi le aveva dato una stretta al cuore.
Tutto era nato grazie a quello scienziato che, impiegato a Paradise City per conto della SunriseX, aveva capito prima degli altri cosa stava accadendo.
I suoi tentativi di comunicare e chiedere spiegazioni ai vertici della multinazionale erano puntualmente andati a vuoto. Si era trovato di fronte un muro di gomma: una struttura a compartimenti stagni, in cui ognuno è all’oscuro dei compiti dell’altro.
For our future, recitava lo slogan con il quale la società reclamizzava il suo primo insediamento ecosostenibile. Acqua, cibo, scuole, ospedali: tutto studiato affinché ai residenti non mancasse nulla. Popolazioni che fino alla costruzione di Paradise City morivano di fame erano state trasferite in quel nuovo insediamento a misura d’uomo.
Ma ciò che gli occhi del pubblico vedevano era solo la superficie. I reali fini della SunriseX International erano altri e il professor Christopher Kundé lo aveva compreso prima di tutti. Nessuno, a Ginevra, gli aveva dato ascolto tranne una persona.
Circa un anno prima, Sybilla Andrews – che aveva ricevuto e inoltrato a Teddy Greenidge tutte le sue numerose comunicazioni – aveva deciso di cercare spiegazioni. Lo aveva fatto per lei, spinta solo dal desiderio di approfondire dettagli che ai suoi capi sembravano non interessare.
Fin da bambina era sempre stata una ragazza molto curiosa che amava chiedersi il perché delle cose. Amava riflettere sul significato delle azioni del prossimo e per questo parlava poco e ascoltava molto. Qualcuno l’aveva definita una zitella arrivista ma lei sapeva di aver sempre rispettato le regole. Era convinta che la SunriseX volesse davvero creare un mondo migliore e quello era il motivo per il quale aveva fatto domanda di assunzione appena uscita dall’università.
Ma parlare con Kundé aveva cambiato radicalmente le carte in tavola: la realtà era decisamente diversa da come l’aveva immaginata. Poche ricerche negli archivi della società e alcune fotografie di una piccola isola al largo dell’Albania le avevano dato la conferma che il professore diceva il vero. Ciò che aveva scoperto non l’aveva fatta dormire per giorni.
Su indicazione proprio di Catilina aveva così contattato monsignor De Lestes e contribuito a far nascere Ararat. Ma era stato tutto inutile. Loro avevano inflitto al progetto un colpo mortale.
«Dài», incitò, cliccando sul link lasciato da Catilina. La lettera, pubblicata nello spazio VP24 di s-cloud, faceva riferimento a un file chiamato “Air.mov”, un video.
Il computer provò a collegarsi all’indirizzo, ma ci metteva decisamente troppo. Cattivo segno: aveva già provato più volte a visualizzare quel file, che doveva fornire importanti informazioni tecniche, ma senza riuscire a scaricarlo.
Connessione…
In attesa di risposta…
Ancora niente. Sembrava che quel dannato documento fosse danneggiato o addirittura non presente sul server.
Aprì una nuova finestra e lanciò la chat criptata. Mentre l’applicativo peer-to-peer si avviava, rilesse le ultime parole di Catilina. Scosse il capo. Era stata lei a suggerire a Kundé quel nome in codice da cospiratore: le sembrava più che adeguato per la missione nella quale si erano imbarcati. Soprattutto lo considerava adatto anche in risposta al nomignolo che lo scienziato aveva affibbiato a lei: Lucrezia Borgia, la chiamava, come l’avvelenatrice più famosa della storia.
Proteggete la Missione, è l’unica speranza: per Ararat l’Amazzonia diventa di fondamentale importanza. “Proteggete l’Amazzonia”, aveva scritto Catilina. Stando a quanto sapeva dalle operazioni in Sud America, la Missione O’Reilly era stata rasa al suolo. Ma almeno avevano commesso un errore… Forse c’era ancora speranza.
Scrutò l’orologio. Era ora: l’appuntamento in chat era per le 19:15.
Si assestò sulla poltrona, sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e digitò. ★: ECCOMI.
Aspettò qualche istante, in attesa che dalla schermata arrivasse conferma di ricezione. Il messaggio sarebbe transitato, oltre che sul suo proxy, su altri tre server, uno in Palestina, uno in Russia e uno in Cina.
Confermato.
Un istante dopo, un avatar raffigurante una testa di cavallo compose un messaggio. ♞: CHI SEI?
★: PER ORA, IL TUO UNICO AMICO, scrisse Sybilla. Rifletté un solo secondo: doveva dirgli chi era ma non poteva usare il suo vero nome. ★: PUOI CHIAMARMI “H2T”, digitò di getto. Non era un nome in codice molto originale (era lo stesso che i tedeschi avevano assegnato a Mata Hari durante la guerra) ma su due piedi non le era venuto in mente niente di meglio.
Ci fu un secondo di pausa, poi sul display cominciò a comparire una stringa di testo: ♞: È UN CANALE SICURO? Prima di comporre la risposta si fermò di nuovo a pensare: Catilina era stato ucciso e anche monsignor De Lester e Domianello avevano fatto la stessa fine. La Missione in Amazzonia era stata rasa al suolo. Era davvero certa che Secure Cloud, la loro principale forma di comunicazione, fosse davvero così inviolabile?
★: SÌ, rispose a malincuore. Non aveva nessun altro modo per restare in contatto e la priorità era salvare Ararat. Decise di non fornire in chat dettagli che potessero essere interpretati da chi eventualmente stava monitorando quella conversazione.
♞: SONO TUTTI MORTI, fu la replica del suo interlocutore. ♞: TUTTI MORTI. UNA STRAGE.
★: HO SAPUTO. LA RICERCA?
♞: COMPROMESSA. È RIMASTO SOLO UN CAMPIONE.
A quell’affermazione Sybilla socchiuse gli occhi carezzandosi la fronte sudata con le dita. A cosa mai poteva servire un campione senza un laboratorio per esaminarlo?
★: PER ADESSO METTILO AL SICURO.
♞: CHE PIANI AVETE?
Piani? Non c’era nessun piano, purtroppo. Per ora poteva solo prendere tempo…
★: STIAMO DEFINENDO UN PROTOCOLLO, mentì.
La connessione si interruppe per un istante, poi la chat tornò in linea.
♞: CHIEDO ISTRUZIONI.
«Non la paghiamo abbastanza per lavorare fino a quest’ora». La voce penetrante di Theodore Greenidge irruppe nel silenzio dell’ufficio.
La ragazza alzò gli occhi e il sangue le gelò nelle vene: l’amministratore delegato era sulla porta dell’ufficio, impettito nel suo abito blu. La luce dietro di lui lo faceva sembrare più alto e disegnava una lunga ombra sul parquet. Con ogni probabilità si era fermato a restaurare qualche trenino nel grande plastico che teneva in ufficio: lo faceva ogni giorno da quando lo conosceva. Ma questa volta non lo aveva sentito. Da quanto la stava osservando?
«Finisco un ultimo lavoro e vado a casa». Si sforzò di sorridere. Lui si trovava dalla parte opposta rispetto allo schermo del computer quindi non poteva aver visto cosa stava scrivendo. Ciò nonostante Sybilla cercò di coprire con la mano il cavo di rete, abbandonato sulla scrivania.
«Domani mattina ho un volo per Tirana, annulli tutti i miei impegni», continuò Greenidge, il viso del tutto privo di alcuna espressione facciale.
“Tirana, Albania”.
Di nuovo.
La ragazza deglutì e si appuntò qualcosa su un bloc-notes. «Va bene», riuscì a mormorare, mentre a fatica cercava di restare calma.
L’amministratore le lanciò solo uno sguardo fugace e poi prese a fissare il suo riflesso alla finestra. Si sistemò il nodo della cravatta. Ci fu un breve silenzio imbarazzato, poi l’uomo girò i tacchi e tornò verso il suo ufficio. «Passi una buona serata».
Sybilla tirò un sospiro. Appena sentì Greenidge uscire, poggiò la fronte sulla scrivania. Il cuore aveva preso a pulsare come un martello pneumatico nel suo petto.
Si alzò di scatto, come in un impeto di rabbia.
Cosa doveva fare?
Il progetto era nelle sue mani e per la prima volta da quando aveva scoperto i piani della SunriseX in Albania, temette di non essere all’altezza.
Respirò a fondo e tornò a sedersi.
♞: CHIEDO ISTRUZIONI, diceva l’ultimo post della chat.
★: SANNO DOVE SEI, ribatté, ripensando all’ultima conversazione che il cardinale Vonn aveva avuto con Greenidge.
♞: COSA DEVO FARE?
★: SPARISCI PER QUALCHE GIORNO E NON DIRE A NESSUNO, COMPRESA ME, DOVE VAI.