1
Al largo delle isole Baleari, oggi.
Ora locale 05:55.
Il cadavere galleggiava prono nella vasca idromassaggio. Aveva braccia e gambe larghe, come in una macabra raffigurazione dell’uomo vitruviano, e ondeggiava lentamente. Una macchia di sangue si stava allargando nell’acqua, ai lati della testa.
Incredulo sulla porta del bagno, “Doppia N” si sforzò di inquadrare meglio gli abiti: alla luce proveniente dalla cabina si riconoscevano i soliti jeans sdruciti e la camicia bianca arrotolata sugli avambracci. Anche se di schiena, non c’erano dubbi: era lui.
«Cristo santo», gemette, portandosi le mani sul volto, come per sciacquarsi il viso paonazzo. Rimase fermo per alcuni istanti, incapace di muoversi. Poi si scosse: fece un passo indietro e spalancò la portafinestra della cabina per prendere una boccata d’aria. Sul terrazzino, una folata fresca e umida lo investì in pieno.
Senza rifletterci fece cadere lo sguardo sullo scafo candido della Princess of the Oceans, l’immensa nave da crociera che solcava il Mediterraneo. L’alveare di balconi in vetro e acciaio, sviluppato sui quindici ponti di quella città galleggiante, era immerso nell’oscurità.
Si appoggiò al parapetto. Sotto di lui gli schizzi d’acqua smossi dalla nave scorrevano sulla murata come torrenti spumeggianti. All’orizzonte il mare era invece nero, fatta eccezione per i riflessi della luna sulle onde increspate.
«Ok, ok. Sta’ calmo. Ragiona». Doppia N si voltò verso l’interno: la luce proveniente dalla TV da cinquanta pollici danzava nella penombra, riflettendosi sugli eleganti mobili minimal. La lampada a collo di cigno, l’unica accesa, era coperta da un indumento intimo e illuminava il letto vuoto e le lenzuola arruffate. Poco distante, accovacciato sul tavolino di cristallo, c’era un uomo.
Mentre rientrava nella cabina, per un istante gli balenò davanti agli occhi una scena della sera precedente. La melodia di The Final Countdown degli Europe risuonava tagliente nell’aria e le ragazze ballavano tra loro. “Il Pezza” e “Muso” cantavano a squarciagola in piedi sul divano di pelle, dondolando la testa e dandosi pacche sulle spalle.
L’idea di quella rimpatriata su una nave da crociera era stata proprio del Pezza. «Ho fatto sei mesi d’astinenza», aveva confidato l’archeologo al telefono, la settimana precedente. «Perché non ci vediamo? Sono stato in Amazzonia e ho voglia di una delle nostre serate».
E le loro serate, fin dai tempi della scuola, erano un misto inscindibile di ragazze, birra e quando andava bene cocaina. Vedendoli quella sera, seduti a un tavolo del Casinò Royal sul ponte 5, nessuno avrebbe potuto immaginare che si trattava di un noto avvocato romano, di un ambasciatore dell’ONU e di un archeologo. Ciò che invece erano.
«Guardate chi ho trovato», aveva esordito il Pezza, con due signore di mezz’età sottobraccio. L’archeologo era il simpatico del gruppo e di solito era lui che avvicinava le ragazze. Dopo alcuni cocktail se n’era aggiunta una terza: una russa prosperosa avvolta in un tubino rosso e che aveva detto di aver da poco divorziato. Incredibilmente, aveva cominciato a parlare proprio con Muso, quello che a causa della calvizie e dei chili di troppo era sempre stato il meno avvenente dei tre.
In seguito, la combriccola si era diretta prima al Jazz Bar e poi al Central Park, il parco florovivaistico al centro della nave. Doppia N, che era considerato il più elegante del trio, aveva tenuto banco. Quarantenne come il Pezza e Muso, l’ambasciatore portava decisamente bene la sua età: aveva uno sguardo penetrante, lineamenti aggraziati messi in risalto da un viso ben rasato, e spalle larghe fasciate da un’attillata giacca in solaro. Soprattutto, sapeva essere molto loquace, qualità che era servita in quel frangente per convincere le ragazze a seguirli nella sua suite. L’ultima tappa era stata proprio nella cabina, dove la serata, tra musica, droga e sesso, si era conclusa esattamente come gli amici avevano programmato.
E adesso, uno di loro galleggiava morto nella vasca da bagno della junior suite sul ponte 11.
«Hey, svegliati». Niccolò Nobile, soprannominato Doppia N proprio per le iniziali del suo nome, strattonò Muso per il colletto della camicia. La vista del corpo sembrava aver cancellato all’istante gli effetti del dopo sbornia. «Valvano, svegliati. C’è un grosso problema».
L’avvocato, accovacciato sul tavolo di cristallo, si mise seduto, lasciandosi cadere sullo schienale della poltroncina di pelle. Aveva gli occhi gonfi e il riporto spettinato. Non disse nulla.
«Il Pezza…», insistette Nobile, agitando le braccia. «Leonardo… in bagno… vieni a vedere!». Era la prima volta che Doppia N usava i veri nomi e non i nomignoli dei tempi della scuola.
«Cosa ha fatto Domianello?». L’avvocato si alzò appoggiandosi al tavolo, con il risultato di far cadere sulla moquette due bottiglie di birra vuote. Raggiunta la porta, la scostò di quel tanto da riuscire a guardare dentro. «Cazzo», si limitò a bofonchiare con voce querula. Si coprì la bocca con il palmo della mano.
Il corpo di Leonardo Domianello, adesso, illuminato da una lama di luce, era scivolato lungo il bordo della vasca: un innaturale punto interrogativo di arti contorti. Galleggiava circondato da una sbiadita macchia rossa, ed emergeva solo la nuca castana. Il viso, rivolto verso il basso, era completamente immerso.
«Deve essere successo da poco. Un attimo fa il sangue in acqua mi sembrava di meno». Mentre lo diceva, il funzionario dell’ONU si appoggiò con la mano allo stipite. Ma la ritrasse di colpo. «C’è sangue anche qui!».
L’avvocato rimase impassibile per un solo istante. «Questo è un cazzo di problema», sbottò, girando su se stesso. «Forse voleva semplicemente fare un bagno. Magari è inciampato».
Nobile studiò l’amico: anche sul suo avambraccio c’era una macchia scura. Poteva essere sangue? Per terra, vicino alla portafinestra, si notava un vaso rovesciato. «Tu cosa hai visto, esattamente?»
«Io? Nulla. Ero con una delle bruttone. Devo essermi addormentato. Quando sono venuto a fare rifornimento…», indicò uno specchietto sul tavolo, sporco di polvere bianca, «il Pezza non c’era».
L’ambasciatore si passò una mano sui capelli corvini, perfettamente pettinati nonostante l’ora. «Anch’io non ho visto niente. Sono stato sul letto fino a tre minuti fa». Si bloccò di colpo, gli occhi neri puntati sul copriletto damascato. «Un momento: le due amiche se ne sono andate verso le due… questo me lo ricordo. Quando sono uscite il Pezza le ha salutate dal divano».
«Lui era con la russa», osservò l’avvocato, mordicchiandosi un’unghia. Subito dopo sbiancò, deglutendo a fatica.
«E dov’è adesso? L’hai abbordata tu, com’è che si chiama?»
«Ylenia. Ylenia qualcosa».
«Se ne sarà tornata nella sua cabina. Qual è il numero?»
«E che cavolo ne so, ci ho parlato a malapena cinque minuti. Dopo che le ho presentato il Pezza si è appiccicata a lui per tutta la sera».
«Ok, ok. Non importa». Nobile agitò le mani, come per placare l’amico. «Ragioniamo con calma: c’è sangue sulla porta e la ragazza è sparita. Magari Leo voleva semplicemente farsi bello e si è buttato nella vasca. Deve aver sbattuto la testa, la ragazza si è spaventata ed è scappata».
«Niccolò, tappati la bocca!», inveì il legale di getto. Solo in quel frangente sembrò comprendere realmente quanto doveva essere successo. «Forse non l’hai capito ma siamo nella merda! Comunque la si guardi, siamo coinvolti anche noi».
«Ma Fausto, non abbiamo fatto nulla. È sicuramente stato un incidente».
L’avvocato si avvicinò di un passo, abbassando il tono di voce, per evitare di svegliare gli occupanti delle cabine vicine. «Ne sei davvero certo? Io non mi ricordo un cazzo, una puttana è sparita ed entrambi abbiamo macchie di sangue addosso».
Il funzionario dell’ONU si guardò i polpastrelli. Era vero, ma lui si era sporcato semplicemente appoggiandosi all’ingresso del bagno. «Dobbiamo chiamare il comandante, basta dire la verità».
«E qual è la verità?». Valvano digrignò i denti come un animale rabbioso. «Cosa gli raccontiamo, che eravamo strafatti e non sappiamo cosa è successo? Gli spieghi tu dove abbiamo preso la coca?».
Per un istante, Nobile vide la sua carriera di ambasciatore all’ONU passargli davanti agli occhi. Un’ascesa fulminea nel corpo diplomatico – grazie soprattutto alla sua amicizia con il presidente del Consiglio italiano – e una fine altrettanto repentina. “Festino a base di droga e prostitute, arrestato funzionario ONU”. Non era fantasia, era ciò che sarebbe successo se quell’incidente fosse stato accostato al suo nome.
«Niccolò, c’è un cadavere nella vasca da bagno della tua cabina e ci sono le nostre impronte dappertutto». Valvano addolcì la voce. «E per non farci mancare nulla, mia moglie crede che io sia a un congresso a Barcellona!».
L’ambasciatore sospirò. Odiava doverlo ammettere, ma Muso aveva ragione: l’ennesimo scherzo del Pezza questa volta rischiava di rovinare le loro vite. E la cosa più incredibile era che a nessuno dei due sembrava importare nulla dell’amico morto. Per adesso, l’unica priorità era uscire puliti da quella situazione.
«Dobbiamo portare il cadavere nella sua stanza e ripulire tutto». Mentre Fausto pronunciava quelle parole, una luce si accese nel balcone della cabina a fianco. «È solo questione di minuti, qualcuno potrebbe avere sentito dei rumori».
«Non possiamo attraversare la nave con un cadavere sulle spalle».
Era vero. E cosa più grave, in quell’istante qualcuno, dall’interno, spalancò la porta della suite.