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Roma. Pochi istanti prima.

23:41.

 

Il PM Zeno Veneziani si rigirò nel letto matrimoniale vuoto, voltandosi verso la finestra.

Era rientrato a Roma da San Marino nel tardo pomeriggio ed era andato dritto a casa, una bella villa nella frazione di Trigoria. Dopo una lunga doccia aveva scongelato una confezione di cannelloni surgelati e si era infilato nella grande camera padronale.

Anche se la vita da single non gli piaceva, il fatto che Agnese se ne fosse andata aveva degli indubbi vantaggi: ad esempio poteva mangiare a letto, ingollando Lambrusco e guardando la TV.

Quella sera, però, neppure una puntata di Star Trek: The Next Generation gli aveva permesso di svagarsi. Aveva spento la luce e i riflessi della piscina che facevano capolino sulla boiserie in ciliegio si erano impadroniti della stanza. Nella penombra aveva fissato il modellino della Foxy lady, la barca che avrebbe acquistato con la liquidazione, e aveva provato a addormentarsi. Ma non c’era verso di prendere sonno: come gli capitava spesso, ultimamente, era inquieto, quasi turbato.

Giunto alla soglia dei sessantacinque anni, sapeva che il tempo era la risorsa più preziosa di cui disponeva: quello che gli rimaneva era sempre meno.

Era consapevole di aver avuto una vita fortunata, trascorsa nell’agio, con un ottimo lavoro e circondato da una famiglia che amava. Spesso, però, aveva cercato dentro di sé la ragione per la quale valesse davvero la pena alzarsi dal letto ogni mattina. E non l’aveva trovata.

Si era convinto che la vita, per come era congegnata nella società contemporanea – un subdolo ingranaggio che quasi non ti lascia il tempo di respirare –, fosse come una prigione.

“Una prigione dorata”, si ripeteva nei suoi momenti più intimisti. “Forse più grande e bella di quella degli altri, ma pur sempre una prigione”. Risolvere casi, trovare colpevoli, tutto era diventato routine. Provava un senso di incompiutezza.

Mise da parte quei pensieri, come faceva puntualmente dopo averci riflettuto. Per quanto delicati fossero, sapeva che non c’erano soluzioni a portata di mano. Provò invece a concentrarsi su qualcosa di più tangibile, qualcosa su cui aveva l’impressione di poter essere determinante.

Il caso del crocerista era quello che gli dava più da riflettere: si era complicato enormemente, senza contare che quel dannato rapporto riservato stonava come un accordo dissonante.

Carezzando il copriletto ricapitolò mentalmente ciò che sapeva: il cadavere trovato al largo della Sardegna era di un certo Domianello, un archeologo che lavorava per una fondazione religiosa. Era stato ucciso con un taglio netto alla giugulare e, probabilmente nello stesso momento, anche il suo datore di lavoro, tale monsignor De Lestes, era deceduto.

Dalle poche informazioni raccolte dopo il colloquio con Croci, il segretario della fondazione Mendel, era emerso che si era trattato di uno strano incidente. L’Interpol, a Mosca, stava indagando ma nulla riusciva a convincere Veneziani che le due morti fossero una sfortunata coincidenza.

Poi c’era l’avvocato, in crociera assieme a Domianello e che aveva rubato (post mortem?) il telefono all’archeologo. Per il medico legale, Fausto Valvano si era suicidato, anche se la sua ex moglie aveva escluso categoricamente quella possibilità. Aveva problemi di soldi, quello sì: forse il furto del telefono – che conteneva una cifra importante in Bitcoin – poteva rappresentare un buon movente.

Veneziani si girò ancora, questa volta verso la porta socchiusa della camera. I visi deformati raffigurati su due grandi quadri di Enrico Baj appesi alla parete lo osservavano nella penombra. Non gli erano mai piaciute quelle tele, oltretutto costate come un monolocale. Per Agnese, però, l’arte moderna era un buon investimento. Un così buon investimento che alla fine glieli aveva lasciati.

Improvvisamente uno scricchiolio appena percettibile attirò la sua attenzione. Veniva dal piano di sotto. Si alzò su un gomito, cercando di ascoltare meglio.

Trattenne il fiato ma non riuscì a udire nient’altro.

Si doveva essere sbagliato. A distanza di mesi gli pareva ancora di sentire sua moglie che passava l’aspirapolvere a tutte le ore del giorno e della notte. La domestica non puliva bene, diceva, ma a lui sembrava semplicemente che per Agnese si trattasse di un passatempo.

Inutile. Non riusciva a prendere sonno.

Si alzò di scatto, il pigiama di seta frusciante, e andò al piccolo scrittoio di mogano sistemato accanto alla porta del bagno.

Il telefono.

L’unico collegamento tra Domianello e Valvano era quel Next M3. Tra i documenti recenti archiviati sul dispositivo c’era il file che l’archeologo aveva ricevuto dalla fondazione Mendel: la ragione che l’aveva spinto ad andare fino a San Marino.

Veneziani tastò la tasca interna della giacca di lino, appesa alla sedia, e trovò un foglio piegato in quattro parti. Era la stampa di quel rapporto: più ci pensava e più si convinceva che il documento avesse un ruolo importante in tutta quella vicenda.

Lo aprì e lo lesse nuovamente:

 

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WORLD HEALTH ORGANIZATION

Riservato

 

O.M.S. – Per uso esclusivamente interno

 

Due giorni fa il ministro della Sierra Leone per il welfare e la salute ha comunicato tre nuovi focolai di un ceppo virale chiamato VP25. Con le nuove segnalazioni abbiamo raggiunto la soglia di allerta.

Un’équipe specializzata del Centro Controllo Malattie è partita da Ginevra ed è già sul posto: entro poche ore comunicherà se si tratta di una mutazione di VP24 o se invece è una molecola del tutto nuova.

Per evitare di scatenare il panico, soprattutto in Occidente, la notizia deve rimanere segreta quanto più possibile. Non è tuttavia semplice prevenire completamente inopportuni scoop giornalistici.

Nonostante i vertici della SunriseX International siano informati (e Greenidge in persona comunichi che i vaccini sono in gran parte pronti), si suggerisce fin d’ora l’allerta per l’attivazione dei COMITATI DI CRISI previsti dal MSEHPA.

Sotto il profilo legale, in virtù del documento, i governi nazionali appartenenti all’OMS hanno già rinunciato a parti rilevanti di sovranità.

Se VP25 si dovesse diffondere a livello globale, inizialmente i governi di 12 repubbliche (vedasi allegato) del Centro Africa dovrebbero quindi essere sciolti. Se i nuovi farmaci preventivi della SunriseX si dimostrassero inefficaci, la pandemia potrebbe essere limitata instaurando la legge marziale e la quarantena.

Prossimo aggiornamento tra 12 ore.

 

Veneziani rigirò il foglio tra le dita: quel dispaccio, che comunicava un angosciante senso d’urgenza, gli metteva i brividi. Non c’era nessuna data e nessuna firma ma l’e-mail era stata inviata a Domianello il 14 agosto.

Per un istante socchiuse gli occhi, riflettendo su quelle strane sigle: VP24, VP25, MSEHPA. E a quel punto lo sentì di nuovo. Questa volta era stato un rumore sordo, come di vetri rotti.

Poggiò la stampa sullo scrittoio e si mosse in direzione della scala.

Il piano di sotto era avvolto nell’oscurità e dal ballatoio riusciva a distinguere solo poche ombre familiari.

Trattenendo il fiato mise il piede scalzo sul primo gradino e il legno, come al solito, cigolò.

Accese la luce e a quel punto scese velocemente.

Il soggiorno principale, un bel locale dal soffitto basso a cassettoni e vecchie travi di quercia restaurate, si trovava sul lato sud della casa. Dalle portefinestre si intravedeva la veranda, che si estendeva lungo tutta la facciata, e oltre, la piscina illuminata. Sembrava tutto in ordine.

Si mosse di qualche passo e attraversò una doppia porta a vetri che dava sulla cucina. E in quel frangente individuò un’ombra.

«Chi va là?», grugnì, a voce alta.

L’intruso era lì, oltre il bancone d’acciaio antistante ai fornelli: era vestito di scuro e indossava un casco da motociclista. Appena si accorse di lui si mosse verso la porta sul retro.

Veneziani cercò di intercettarlo ma incespicò su qualcosa di tagliente. Si fermò di colpo e abbassò lo sguardo solo per un istante. Quando lo risollevò vide l’ingresso che si richiudeva lentamente.

Portò la mano al piede e si rese conto che era insanguinato e coperto di microscopiche schegge: doveva essersi tagliato con i vetri della porta, rotti attorno alla maniglia. Zoppicando saltellò fino ad aggrapparsi allo stipite di legno e riuscì a scorgere l’ombra che spariva lungo il vialetto. Prima di scavalcare agilmente la recinzione, il centauro si voltò e fissò il PM attraverso la visiera. Subito dopo si udì il rombo di una motocicletta.

Veneziani rimase immobile per alcuni istanti. Era più incredulo che spaventato. Qualcuno era entrato indisturbato in casa sua.

Mentre rifletteva sul motivo per il quale l’allarme volumetrico non aveva suonato, tornò in soggiorno per raggiungere il cordless. Un attimo prima di comporre il numero delle emergenze, però, la notò: una busta gialla, grande come un foglio A4, poggiata sul tavolo di cristallo di fronte al divano. Prima che salisse al piano di sopra non c’era, ne era sicuro.

Interdetto, Veneziani ripose il telefono e saltellando sul piede sano la afferrò.

L’intruso gli aveva lasciato quella busta?

La aprì ed estrasse tre fotografie, stampate in bianco e nero su carta lucida.

Le portò a favore della luce della piscina e le esaminò.

Tutte e tre raffiguravano lo stesso individuo: sulla quarantina, capelli neri, elegante. Nella prima immagine, scattata davanti a una grande scalinata, era assieme ad altri due uomini. Non c’erano dubbi: quello a destra era Leonardo Domianello, bermuda e occhiali da sole; quello a sinistra invece era l’avvocato Valvano, giacca sgualcita e zainetto su una spalla. Al centro c’era lo sconosciuto e poco sopra di lui si intravedeva il logo elaborato della Princess of the Oceans.

Anche le altre due immagini avevano l’aria di essere state scattate sulla nave da crociera: una era in un ristorante e l’altra all’interno di un ascensore.

Prima di riporre le fotografie, Veneziani si rese conto che graffettato all’ultima immagine – quella in cui l’uomo si distingueva meglio – c’era un biglietto da visita bianco e azzurro.

 

Dott. Niccolò Nobile

Rappresentante permanente presso le Nazioni Unite

Piazza Margana, 19

00186 – Roma