Capitolo LXXV

L’ultimo giorno

Mrs Orme si alzò di buon’ora l’ultimo giorno del processo, vestendosi prima che Lady Mason si svegliasse. Ormai era marzo, eppure la luce del mattino le bastò a malapena mentre era impegnata a far toeletta. Le avevano avvisate di trovarsi puntuali in tribunale alle dieci, ragion per cui dovevano partire da Orley Farm alle nove. Ma prima, secondo gli accordi presi nottetempo, Lucius avrebbe visto sua madre. 

«Non glielo avete detto! Non lo sa!» furono le prime parole di Lady Mason quando levò il capo dal cuscino. Ma poi ricordò. «Ah! Sì», fece, ricadendo all’indietro e nascondendo il volto, «ormai sa tutto». 

« Sì, cara, sa tutto; e non è meglio così ? Verrà a trovarvi, e quando sarà finita starete in pace più di quanto non siate stata in passato». 

Anche Lucius si era alzato di buon’ora, e appreso che Mrs Orme era vestita, le aveva mandato a chiedere se poteva vederlo. Mrs Orme andò subito da lui, e lo trovò seduto al tavolo della colazione con il capo poggiato sul braccio. Il suo volto era pallido e disfatto, i capelli spettinati. Quella notte non si era spogliato, e i vestiti gli cadevano addosso come sempre cadono addosso a chi abbia passato una notte insonne senza toglierseli. Quando Mrs Orme gli domandò come stava non rispose una sola parola, né di primo acchito chiese della madre. «Quello che mi avete detto stanotte era tutto vero?». 

«Sì, Mr Mason; era vero». 

«Sicché io e lei saremo dei reietti in eterno. Cercherò di sopportarlo, Mrs Orme. Dal momento che ieri notte non ho posto fine ai miei giorni, immagino che vivrò e sopporterò. Si aspetta di vedermi?». 

«Le ho riferito che sareste andato da lei». 

«Cosa dirò? Non vorrei condannare mia madre, ma come posso evitarlo?». 

«Ditele senza indugio che la perdonerete». 

«Ma sarà un bugia. Non l’ho perdonata. Amavo mia madre e la stimavo perché era una donna pura ed esemplare. Ne ero orgoglioso. Come posso perdonarle di aver distrutto certi sentimenti?». 

«Non dovrebbe esserci nulla che un figlio non perdonerebbe alla madre». 

«Ah! Si fa presto a dirlo. Gli uomini parlano di perdono quando la collera rode il loro cuore nel profondo. Con l’andare degli anni la perdonerò. Spero. Ma dire di poterla perdonare adesso sarebbe una farsa. Mi ha spezzato il cuore, Mrs Orme». 

«E lei non ha sofferto ? Il suo cuore non è spezzato ?». 

«Ci ho pensato per tutta la notte. Non capisco come abbia potuto vivere negli ultimi sei mesi. Beh, non è ora che vada da lei?». 

Mrs Orme risalì di sopra, e dopo un altro intervallo di mezz’ora tornò a prenderlo. Quasi le rincrebbe di essersi impegnata a riunirli quel mattino, pensando che sarebbe stato meglio rinviare il colloquio fino alla fine del processo. Si era aspettata un fare più conciliante da parte di Lucius. Ma era troppo tardi per certi rimpianti. 

«Ora la troverete vestita, Mr Mason», disse, «ma vi scongiuro, giacché voi stesso sperate nella pietà, di averne con lei. E vostra madre, e benché vi abbia nuociuto con la sua follia, non ha mai smesso di essere leale con voi. Andate ora, e ricordate che non è da uomini trattare aspramente una donna». 

«Mi limito ad agire come meglio credo», ribatté con la sua abituale voce severa e sommessa; poi, con passi lenti, salì nella stanza della madre. 

Quando entrò lei era in piedi con gli occhi fissi alla porta e le mani serrate. Non si mosse finché il figlio non l’ebbe richiusa alle proprie spalle, e avanzato di qualche passo verso il centro della stanza. Poi si slanciò, e si gettò a terra davanti a lui aggrappandosi alle sue ginocchia. «Figlio mio, figlio mio!» disse. Poi giacque lì, bagnandogli i piedi di lacrime. 

«Oh! Mamma, cosa è venuta a dirmi quella donna?». 

Ma Lady Mason sul momento non aggiunse altro. Sembrava che il cuore avesse a scoppiarle per i singhiozzi, e quando per un attimo alzò il volto verso quello del figlio, le sue guance grondavano di lacrime. Non fosse stato per quel sollievo non avrebbe potuto sopportare le sofferenze che le piovevano addosso. 

«Mamma, alzati», disse. «Lascia che ti tiri su. È spaventoso che tu debba giacere lì. Mamma, lascia che ti sollevi». Ma lei restò aggrappata alle sue ginocchia, distesa bocconi davanti a lui. 

«Lucius, Lucius», disse, e poi si accasciò come se la forza dei muscoli non le permettesse più di aggrapparsi. 

«Mamma», disse, mentre, inginocchiatosi al suo fianco, la prendeva delicatamente per il braccio, «se ti alzi parlerò con te». 

«Le tue parole mi uccideranno», disse. «Non oso guardarti. Oh! Lucius, mi perdonerai mai?». 

Eppure aveva fatto tutto per lui. Aveva compiuto un crimine, un’efferatezza, ma solo ed esclusivamente per lui. La sua mente non era stata sfiorata dal pensiero di arricchirsi quando decise di falsificare il testamento. Come Rebecca, che aveva ingannato il suo signor marito e derubato il primogenito Esaù del diritto di nascita, così aveva derubato chi per lei incarnava Esaù. Quante volte ci aveva pensato, mentre la coscienza le puntava impietosamente il dito contro! Era stato imputato come un crimine a Rebecca l’aver amato suo figlio tanto da porgli sul capo una corona grazie a uno stratagemma senza pari? E lei, amava forse Lucius, il suo bambino, meno di quanto Rebecca avesse amato Giacobbe ? E non si era battuta col vecchio, lottando per fare giustizia con giustizia, finché costui per la collera non l’aveva respinta? «Non romperò la mia promessa per il moccioso», aveva detto il vecchio; poi lei compì quell’azione. Ma ora tutto questo non contava. Ormai quell’episodio della Bibbia, che l’aveva incoraggiata prima di consumare quell’atto, non le donava alcun conforto. Ora aveva aperto gli occhi sulle conseguenze di quel misfatto, e, con le guance solcate dalle lacrime, cercava clemenza col cuore spezzato non presso l’uomo cui aveva creduto di nuocere, ma presso il frutto del proprio seno, la cui prosperità le era stata tanto a cuore. 

Allora si levò in piedi lentamente, e gli permise di farla accomodare sul divano. «Mamma», disse, «qui è finita». «Ah, sì!». 

«Non posso dire né dove né quando sia meglio andare. Bisogna attendere la fine di questo giorno». 

«Lucius, di me non mi importa nulla, nulla. Non conta se diranno o meno che sono colpevole. E solo a te che sto pensando». 

«Noi due, mamma, siamo destinati a stare ancora insieme. Se ti giudicheranno colpevole tu andrai in prigione e io me ne andrò, per tornare quando ti rilasceranno. In futuro il mondo sarà per noi assai diverso da quello del passato». 

«Non è detto che sia così - per te, Lucius. Ormai non voglio tenerti vicino». 

«Ma io ti sarò vicino. Laddove andrai a nasconderti con la tua vergogna, andrò io con la mia. Non ci resta più nulla a questo mondo. Ma se ne schiuderà un altro, se saprai pentirti del tuo peccato». Lo disse con estrema severità, standole alquanto lontano e aggrottando quelle fosche sopracciglia. Triste com’era sua madre, avrebbe potuto consolarla, prenderla per mano e baciarla. Peregrine Orme o Augustus Staveley lo avrebbero fatto se mai si fossero trovati in quella situazione. Benché incapace, Lucius Mason non era meno giusto di loro, né, forse, meno devoto in cuor suo. Era capace quanto loro di votarsi alla madre con tutto se stesso. Ma certuni ricevono in dono quell’ampolla di balsamo celeste che lenisce ogni ferita e allevia il dispiacere dei cuori dolenti, che ad altri viene negata. Di tutte le virtù delle quali un uomo può fregiarsi certo nessuna è odiosa quanto quella giustizia che disprezza la pietà quasi come un vizio! 

«Non ti chiederò di perdonarmi», gli disse, lamentosamente. 

«Mamma», rispose, «dicendo che ti perdono mi prenderei gioco di te. Non ho alcun diritto di condannare né di perdonare. Accetto la mia situazione così com’è, e cercherò di compiere il mio dovere». 

Sarebbe stato quasi meglio se l’avesse sgridata per la sua perfidia. Allora si sarebbe di nuovo prostrata davanti a lui, se non nel corpo, quantomeno nello spirito, sorretta dalla debolezza anziché dalla forza. Ma ora occorreva udire le parole e sopportare lo sguardo di suo figlio, sopportarli come un pesante fardello senza crollare del tutto. In passato era stata quella necessità di sopportare senza mai crollare del tutto a mettere alla prova la forza del suo cuore e della sua anima. Visto che non era crollata, si può dire che la sua forza fosse davvero stupefacente. 

Allora si alzò in piedi e gli andò vicino. «Ma, mi darai la mano, vero Lucius?». 

«Sì, mamma, ecco la mia mano. Ti sarò sempre accanto». Ma non si offrì di baciarla; e a lei restava ancora un po’ di orgoglio che non gli permise di chiedergli un abbraccio. 

«E adesso», disse, «è ora che ti prepari per andare. Mrs Orme crede sia meglio che non vi accompagni». 

«No, Lucius, no; non devi udirli proclamare la mia colpevolezza in tribunale». 

«Farebbe ben poca differenza. Comunque sia, non verrò. L’avessi saputo prima non sarei venuto. Era per testimoniare che credevo nella tua innocenza; anzi, che ero convinto…». 

«Oh, Lucius, ti supplico!». 

«Bene, non ne parlerò più. Sarò qui stasera, al tuo ritorno». 

«Ma se diranno che sono colpevole mi porteranno via». 

«Allora verrò io da te, al mattino, se mi lasceranno. Ma, mamma, debbo comunque andarmene da questa casa domani». Poi le diede di nuovo la mano, ma la lasciò senza sfiorarla con un bacio. 

Quando le due signore apparvero in tribunale senza Lucius Mason, la folla si interrogò non poco sulla sua assenza. Dockwrath e Joseph Mason la valutarono nella giusta luce, accettandola quale motivo di rinnovata speranza. «Non osa affrontare il verdetto», disse Dockwrath. Eppure all’uscita dal tribunale la sera prima, dopo avere ascoltato l’arringa di Mr Furnival, le loro speranze non erano alle stelle. Dockwrath non aveva verbalmente ammesso di temere la sconfitta, ma quando Mason, camminando su e giù per la sua stanza ad Alston a denti stretti, e battendo il pugno sul tavolo, aveva dichiarato i propri timori: «Santi numi, me la faranno di nuovo!», Dockwrath non era stato capace di donargli un valido conforto. «I giurati non sono tanto stupidi da prendere tutto per vangelo», aveva detto. Ma senza quel tono spavaldamente convinto che aveva sempre usato fino al momento dell’arringa di Mr Furnival. La potenza dispiegata dall’avvocato non avrebbe mai potuto ricevere attestazione maggiore dell’espressione di Mr Mason all’uscita dal tribunale quella sera. «Immagino mi costerà centinaia di sterline», disse a Dockwrath quella sera. «Orley Farm basterà a pagare tutto», aveva risposto Dockwrath; ma senza mostrarsi troppo sicuro. A pensarci bene, Joseph Mason meritava compassione. Voleva solo ciò che era suo; e sul fatto che Orley Farm dovesse essere sua non nutriva il più piccolo dubbio. Mr Furnival non lo aveva per nulla impressionato; ma gli aveva dato la sensazione che altri si sarebbero lasciati impressionare. «Se potesse vedersela solo il giudice», pensò fra sé Mr Mason. Poi prese a considerare se in quel britannico palladio di una giuria unanime non albergasse più il male che il bene. 

Il giovane Peregrine si incontrò di nuovo con la madre all’ingresso del tribunale, e su sua richiesta, diede il braccio a Lady Mason. C’era anche Mr Aram; ma costui ebbe molto tatto, e non offrì il braccio a Mrs Orme, contentandosi di farle strada e di camminarle a fianco. «Sono contento che il figlio non sia venuto oggi», disse, senza accostare il capo a quello della signora in maniera sospetta, parlando tuttavia in modo che nessun altro lo udisse. «Si è reso utile per quanto ha potuto, e siccome non resta che l’allocuzione del giudice da sentire, la giuria non si accorgerà della sua assenza. Naturalmente speriamo per il meglio, Mrs Orme, ma non si può mai sapere». 

Mentre Felix Graham prendeva posto accanto a Chaffanbrass, il vecchio legale lo guardò torvo, volgendo e poi distogliendo da lui i vecchi feroci occhi rossi, e grugnì a un tempo, affinché in aula se ne accorgessero tutti. Parte dei presenti, i legali, se ne accorsero e si divertirono un mondo. «Buon giorno, Mr Chaffanbrass», disse Graham a voce piuttosto alta mentre prendeva posto; al che Chaffanbrass emise un altro grugnito. Tenuto conto della luce sotto la quale era apparso, Mr Chaffanbrass denotava una sorta di onestà senz’altro lodevole. Sempre leale con chi gli aveva dato il suo denaro, donava al cliente, con tutto il vigore di cui disponeva, l’assistenza che sosteneva di vendere. Ma le stesse lodi possiamo tributarle allo sgherro che con lealtà e coraggio adempie il compito che si è assunto. Conoscevo un sicario in Irlanda: andava sostenendo che in dodici anni di attività a Tipperary non aveva mai fallito un incarico. Secondo me quel tale, in fatto di lealtà e onestà verso il cliente - trattasi di grandi virtù - fa il paio con Mr Chaffanbrass. 

Poi il giudice cominciò la sua allocuzione, elencando man mano tutte le prove di qualche rilevanza, scomponendo i dettagli, e distinguendo gli elementi pertinenti da quelli estranei all’argomento. Lo fece con infinito talento e con una perspicuità quantomai lodevole. Ma a mio avviso la cosa eccezionale fu che egli parve considerare i testimoni come un chirurgo presumibilmente considera i soggetti che opera per il progresso della scienza. Espose con somma cura ciascuna dichiarazione e il nesso che correva fra la particolare dichiarazione di un testimone e quella di un altro. Ma non parlò mai di costoro come di uomini e di donne in carne e ossa, che per mano sua meritavano giustizia quanto l’accusatore e l’accusata; che, come minimo, ne meritavano di più, se non poteva dimostrare che mentivano ed erano stati subornati; poiché, se non erano stati subornati e non mentivano, compivano un penoso dovere verso il pubblico, che non avrebbe fruttato loro né una paga né alcun beneficio. Di chi altri in quell’aula si poteva dire la stessa cosa ? Il giudice aveva il suo ermellino e il suo baldacchino, la sua lauta retribuzione e il suo posto d’onore. Gli avvocati le loro parrucche, le loro voci stentoree, e i loro posti riservati. I procuratori legali i loro posti e i loro tavoloni, nonché l’alquanto familiare rispetto degli ufficiali giudiziari. I giurati, pur non essendo granché da invidiare, venivano apostrofati con deferenza, avevano i loro onorevoli posti, e se non altro venivano chiamati «signori» a ogni piè sospinto. Ma perché non dovrebbe esserci un posto d’onore per i testimoni? Stare in piedi in un banco, sentirsi abbaiar dietro dalla polizia, sorbirsi le occhiatacce e le sgridate del giudice, subire le intimidazioni e le false accuse degli avvocati, e poi venir condannati dalla giuria per spergiuro: questa è la fine dell’unica persona che per tutto il processo merita forse il maggior rispetto, e che senz’altro merita gran parte della pubblica gratitudine. 

Diamo al testimone una grossa poltrona, un baldacchino sulla sua testa, e un uomo in mantello rosso alle sue spalle che gli renda onore e tenga lontane le mosche; invitiamolo cortesemente a farsi avanti da una stanza appartata dove può sedere di faccia al caminetto. Allora sarà in grado di parlar chiaro, facendosi udire senza che lo sgridino, e forse di ingaggiare un combattimento alla pari con i galli che alzano tanto la cresta nel proprio pollaio. 

Il giudice in questo caso compì la sua opera con mirabile perizia, sfrondando l’eloquenza di Mr Furnival, smantellando la sofisticheria e le false deduzioni di Mr Chaffanbrass. La giuria, come ebbe a dire, doveva basarsi esclusivamente sulle deposizioni di Kenneby e della Bolster. A suo modo di vedere, la deposizione di Dockwrath aveva ben poco a che fare con la causa; e nulla a che fare potevano averci la sua cattiveria e la sua cupidigia presunte. La giuria poteva assumere come prova il fatto che Lady Mason al primo processo aveva giurato di essere stata presente alla firma del codicillo da parte del marito e di aver visto apporre le diverse firme. Un’altra prova che potevano assumere era l’altro atto - l’atto che documentava lo scioglimento della società tra Sir Joseph Mason e Mr Martock - perfezionato il 14 luglio, e firmato da Sir Joseph, nonché dai due testimoni ancora in vita, Kenneby e la Bolster. 

La questione, sulla quale la giuria doveva riflettere, si era ridotta alla seguente: i due atti, entrambi recanti la medesima data, erano stati perfezionati da Sir Joseph Mason? Se non era così, e se l’atto concernente la società era autentico, l’altro non poteva essere che falso e fraudolento; se era falso e fraudolento, allora Lady Mason non poteva che aver giurato il falso, ed essere colpevole del reato di spergiuro del quale era imputata. Quest’argomentazione presentava forse una scappatoia. Benché entrambi gli atti recassero la data del 14 luglio, poteva esserci un errore. Era possibile, benché indubbiamente singolare, che quella data fosse stata inserita nell’atto della società, e che l’atto vero e proprio fosse stato perfezionato in un secondo tempo. D’altronde la Bolster aveva riferito di essere stata chiamata a sottoscrivere solo una volta in vita sua, e se credevano alla sua dichiarazione, un eventuale errore sarebbe stato poco o nulla utile alla causa di Lady Mason. Per parte sua, non poteva definire adeguate le motivazioni a sostegno dell’accusa che la Bolster avesse giurato il falso. Indubbiamente la sua testimonianza si era improntata alla pervicacia, ma può darsi fosse frutto dell’onesta decisione di non lasciarsi impressionare. In ogni caso bisognava che fosse la giuria a giudicare il valore da attribuire alla sua testimonianza. Riguardo a Kenneby, doveva dire che era stato assai stupido. Nessuno dei presenti lo avrebbe tacciato dell’iniezione di giurare il falso, ma la giuria poteva forse pensare che la testimonianza di un tale soggetto, relativa a fatti occorsi più di vent’anni prima, rivestisse ben poco valore. 

L’allocuzione si protrasse per oltre due ore, ma la sostanza è stata enunciata. Poi la giuria si ritirò a meditare sul verdetto, mentre il giudice, gli avvocati, e qualche altra giuria si accinsero a qualche altro processo di minore importanza. Lady Mason e Mrs Orme rimasero per un po’ sedute al loro posto - forse per lo spazio di venti minuti - poi, dato che la giuria non rientrò subito in aula, si ritirarono nel soggiorno dove erano state fatte accomodare al principio. Ce le accompagnò Mr Aram, e lì naturalmente incontrarono Peregrine Orme. 

«L’allocuzione del giudice è stata ottima - ottima, non c’è che dire», fece Mr Aram. 

«Davvero?» chiese Peregrine. 

«E quantomai in nostro favore», continuò l’avvocato. 

«Dunque credete», disse Mrs Orme, levando lo sguardo verso di lui, «dunque credete…». Ma non seppe proseguire la domanda. 

«Sì. Credo che ci aggiudicheremo il verdetto, davvero. Non lo direi davanti a Lady Mason se non ne fossi convinto. I giurati potrebbero trovarsi in disaccordo. Non è una cosa improbabile. Ma non mi sento di prevedere un verdetto contrario». 

La cosa era confortante, in qualche modo; ma di che sciagurata natura era quel conforto! L’avvocato, a ogni sua parola, non tradiva la convinzione che la sua cliente fosse colpevole ? Nemmeno Peregrine Orme potè dirsi francamente certo dell’assoluzione perché nessun altro verdetto si poteva esprimere con giustizia. E poi come mai Mr Furnival non era là, a prendere la mano dell’amica e a congratularsi perché i suoi guai erano pressoché finiti? Stavolta non si era avvicinato; e comunque, cosa avrebbe potuto dirle ? 

Mr Furnival e Sir Richard Leatherham uscirono dall’aula insieme, e quest’ultimo rientrò difilato a Londra senza attendere il verdetto. Anche Mr Chaffanbrass e Felix Graham si ritirarono dal teatro delle loro fatiche, e nel mentre scambiarono qualche battuta. 

«Mr Graham», disse l’antico eroe dell’Old Bailey, «per conto mio, siete troppo nobile per lavori del genere. Fossi in voi, me ne terrei alla larga in futuro». 

«Sono pienamente d’accordo con voi, Mr Chaffanbrass», disse l’altro. 

«Se ci si assume un dovere, bisogna rispettarlo. È questa la mia opinione, benché, lo confesso, sia un po’antiquata; specie se in cambio si intascano dei quattrini, Mr Graham». Poi il vecchio lo osservò con occhi feroci, annuì col capo, e se ne andò per la propria strada. Cosa poteva dirgli Graham ? Avrebbe risposto prontamente, potendo disporre del tempo e del luogo adatti. Ma Felix una risposta pronta in tono con l’atrio affollato del palazzo di giustizia non l’aveva, e così Mr Chaffanbrass se ne andò per la propria strada. Costui ora svanirà alla nostra vista, e di lui diremo che, secondo i suoi lumi, compì il proprio dovere egregiamente… 

Lady Mason e Mrs Orme restarono lì, in quella stanzetta fino a tarda sera, e lì, insieme a loro, rimase Peregrine. Provvidero bene o male a rifocillarli, ma dei tre giorni passati in tribunale, quello, forse, fu il più opprimente. Non avevano nulla da fare, e poi l’ansia era terribile! E peggiorò di ora in ora, poiché era chiaro che, perlomeno a qualche giurato, premeva esprimere un verdetto contro di lei. «Dicono che sono otto contro quattro», disse Mr Aram, durante una delle numerose visite che fece loro, «ma va’ a sapere se è la verità». 

«Otto contro quattro!» ripetè Peregrine. 

«Otto per l’assoluzione e quattro per la colpevolezza», disse Aram. «Se è così, siamo a posto, perlomeno fino alle prossime assise». 

Ma non era scritto che Lady Mason dovesse esser congedata dall’aula con il dubbio. Alle otto Mr Aram le raggiunse trafelato e disse che la giuria aveva mandato a chiamare il giudice. Costui era andato a pranzo a casa, ma sapendo che la giuria aveva raggiunto un accordo sarebbe tornato subito in aula. 

«E dovremo rientrare in aula?» chiese Mrs Orme. 

«Dovrà rientrare Lady Mason». 

«Allora andrò con lei, naturalmente. Siete pronta, cara?». 

Lady Mason non era in grado parlare, ma comunicò a gesti di essere pronta, poi fecero ingresso in aula. La giuria si trovava già al banco, e mentre le due signore prendevano posto, entrò il giudice. Non erano accese che poche luci a gas, i presenti in aula stentavano a vedersi l’un l’altro, e la cerimonia conclusiva non durò che cinque minuti. 

«Non colpevole, vostra signoria», disse il capo della giuria. Poi il verdetto venne registrato e il giudice se ne tornò a pranzo. Joseph Mason e Dockwrath erano presenti e udirono il verdetto. Lascerò immaginare al lettore con che appetito ritornassero nelle loro camere. 

Orley Farm
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