Capitolo XXI
Natale in Harley Street
Anche a me pare strano, se penso a come giudico il carattere di Lady Staveley, vedermi costretto a dichiarare che stavolta aveva recato un imperdonabile affronto non solo alla bontà d’animo, ma anche alle convenienze domestiche. Però sono costretto, sebbene si tratti della più buona e la più casalinga delle donne; aveva invitato Mr Furnival a trascorrere il giorno di Natale a Noningsby, e mi riesce impossibile perdonarle l’affronto a quella povera moglie che verrà lasciata sola accanto al desolato focolare. Sapeva quanto me che Mr Furnival era sposato. Sophia, che giustamente teneva alla pace domestica fra i genitori e che a Noningsby sarebbe stata felice senza la tutela paterna, nominava spesso la madre, perché gli Staveley non ne dimenticassero l’esistenza in quel di Harley Street - spiegando, tuttavia, che d’inverno la cara mamma non lasciava mai il suo nido, onde non sospettassero che desiderava un invito anche per lei. Nondimeno in due diverse occasioni, come se niente fosse, Lady Staveley disse a Mr Furnival che poteva benissimo prolungare la sua visita a dopo Natale.
Eppure non era legata a Mr Furnival da un’amicizia particolarmente cordiale; ma era una di quelle donne dal cuore sciocco, restio a ogni controllo nella pratica dell’ospitalità. La sua natura le imponeva di invitare un ospite a restare. In quella stagione dell’anno, non avrebbe lasciato partire un cane senza suggerirgli di portarsi l’osso di Natale nel cortile di casa sua. Toccava a Mr Furnival trovare un rimedio per la moglie. Non era tenuto ad accettare l’invito perché lei glielo aveva rivolto; Lady Staveley però, trovandoselo già in casa, si sentì tenuta a invitarlo: ecco l’affronto che, come ho detto poc’anzi, non mi sento di perdonarle.
Che egli abbia commesso il peccato di rimanere fuori casa, anzi, di pensare di rimanervi - arrivati a questo punto della nostra storia - non mi sorprende neanche un po’. Una lunga serata in compagnia di una moglie arrabbiata e scontenta non è piacevole per un uomo. Per chi sia riuscito a conquistare la pace domestica non vi è momento più felice di queste lunghe silenziose ore in casa, a lume di candela. Non è necessario dar voce alla contentezza né esprimere soddisfazione, basta provarle per stare in pace. Ma quando non si provano; quando non esistono; quando i pensieri corrono in tutt’altra direzione; quando l’animo è colmo di rancore verso l’altro, anziché dei ricordi di mutua gentilezza; allora, dico, è difficile tollerare quelle lunghe ore silenziose in casa a lume di candela. Mr Furnival aveva scelto di esser padrone del proprio destino, quantomeno era il suo segreto vanto; perciò quando si confrontava con le occhiatacce e talora con le parole astiose, dichiarava fra sé che lo stavano trattando malamente e che non lo avrebbe sopportato. Poiché la rosa domestica non largiva più miele, ne avrebbe tratto le dolcezze dal caprifoglio selvatico che cresceva senza spine.
Mr Furnival non era codardo. Non era uno di quegli uomini che mortificano le mogli con la loro assenza e poi la prolungano per timore di affrontarle. Aveva deciso di esser libero, senza che sua moglie se ne lamentasse. Avrebbe fatto in modo di rimanere fuori casa un mese alla volta e di rientrare per una settimana, comunque sia senza bisticciare apertamente. Ho conosciuto altri uomini che hanno sognato un tale stato di cose, ma al momento non ne ricordo uno che abbia realizzato il suo sogno.
Aveva scritto alla moglie - non da Noningsby, ma da qualche cittadina di provincia probabilmente situata fra le paludi dell’Essex - dicendo, tra l’altro, che non sarebbe stato a casa il giorno di Natale come pensava. Circa due settimane prima Mrs Furnival aveva osservato che ormai il Natale per lei non contava più nulla; e quell’essere meschino, poiché era una meschineria, si era aggrappato a questa povera, amara scusa per non rientrare. «A Noningsby si tratterranno i legali più rinomati», aveva detto, «con i quali mi conviene rimanere durante la crisi in corso». Quando mai non vi è stata crisi in corso per un uomo in cerca di scuse? «Perciò è probabile che mi trattenga», e così via. Chi non conosce l’infida mescolanza di scusa e provocazione senz’altro insita in una lettera siffatta; quelle parole subdole che sembreranno una ragione accettabile a chi sarà abbastanza pavido da far buon viso oppure un clamoroso guanto di sfida gettato in terra a chi sarà tanto animoso da raccoglierlo ? Questa fu la lettera che scrisse dal suo piccolo collegio elettorale nelle Essex Marshes alla sua compagna di affanni, ma di coraggio per raccogliere il guanto di sfida ne restava a sufficienza. «Rientrerò domani», proseguiva la lettera, «ma non aspettarmi per pranzo, dato che i miei orari sono sempre imprecisati. Resterò allo studio fino a tardi e ti raggiungerò prima del tè. Tornerò a Alston il mattino dopo». Se non altro Mr Furnival dimostrò coraggio, un bel coraggio; ma anche freddezza d’animo, mala fede e nera ingratitudine. Sua moglie non gli aveva dato tutto ?
Quando ricevette la lettera Mrs Furnival non era sola. «Ecco», disse, cedendola a una signora seduta dall’altro lato del caminetto con in mano una massa informe, sbrindellata e alquanto sporca di lavoro all’uncinetto. «Lo sapevo che sarebbe stato via a Natale. Te lo avevo detto».
«Mi pareva impossibile», disse Miss Biggs, arrotolando la grossa e sudicia palla di cotone per poter leggere con comodo la lettera di Mr Furnival. «Mi pareva proprio impossibile… il giorno di Natale! Mica intenderà quel giorno? Che roba! E poi rinfacciarti in quel modo che hai detto che non te ne importava».
«Sì che l’ho detto», rispose Mrs Furnival. «Non gli avrei chiesto di tornare a casa per farmi un favore».
«Non per favore, certo». Si trattava di Miss Biggs di… Se svelo la verità, dovrò dire, temo, che era di Red Lion Square! Eppure nessuno era più rispettabile di Miss Biggs. Suo padre era stato socio di uno zio di Mrs Furnival; e quando Kitty Blacker, con tutte le sue grazie, si era data all’instancabile legale, Martha Biggs, allora diciassettenne, si trovava accanto all’altare e le aveva pronosticato un futuro ricco di successo. Martha Biggs non era mai stata graziosa, neanche allora; ma era stata fedelissima. Non era la passione di Mr Furnival, essendo priva di arguzia e di grazia, perciò negli anni felici di Keppel Street era rimasta nell’ombra; ma ora, nel momento dell’avversità, Mrs Furnival si trovò a beneficiare di un’amica fidata.
«Se preferisce starsene con quelli giù ad Alston, si accomodi pure», disse la moglie offesa.
«C’è mica qualcuno di speciale ad Alston?» chiese Miss Biggs, la cui anima anelava a qualcosa di più piccante del solito mezzo racconto di una donna trascurata. Sapeva degli spaventosi sospetti dell’amica, ma finora Mrs Furnival non si era mai esposta facendo il nome di una qualsivoglia rivale. Secondo Miss Biggs era tempo di farlo, in ossequio alla forte e reciproca confidenza. Mica ci si poteva aspettare che partecipasse per sempre di mezzi racconti. Moriva dalla voglia di odiare, biasimare e rabbrividire al vero nome della sciagurata che aveva rubato il cuore al marito della sua amica. Perciò le domandò: «C’è mica qualcuno di speciale ad Alston?».
Ebbene, Mrs Furnival sapeva al centimetro la distanza tra Noningsby e Orley Farm e sapeva altresì che la stazione di Hamworth era a soli venticinque minuti da quella di Alston. Lì per lì non rispose, ma levò il capo e le sue narici fremettero, come fosse sul piede di guerra; allora Miss Martha Biggs capì che ad Alston c’era qualcuno di speciale. Erano vecchie amiche, perché non fare quel nome ?
Il giorno dopo le due signore pranzarono alle sei, poi attesero pazientemente fino alle dieci. Anche se il salotto fosse stato in preda alla sete del deserto, con il tè a portata di voce, sarebbero morte pur di non chiederlo prima del suo ritorno. Mr Furnival aveva detto che sarebbe rientrato per il tè e loro lo avrebbero atteso, anche fino alle quattro del mattino! La moglie che subisce, approfitti sempre al massimo degli indubbi torti che la Provvidenza vuol concederle. Se quella sera Mrs Furnival avesse ordinato il tè prima del rientro del marito, sarebbe stata cieca di fronte ai vantaggi della propria posizione. Alle dieci si udirono le ruote della carrozza di Mr Furnival e i volti delle due signore si apprestarono allo scontro.
«Allora, Kitty, come stai?» disse Mr Furnival, facendo ingresso nella stanza pronto a un abbraccio premeditato. «Come, c’è anche Miss Biggs? Non lo sapevo. State bene, Miss Biggs ?» e le tese la mano. Entrambe lo guardarono e arguirono, dall’occhio lucido e dal colore del naso, che aveva pranzato al circolo e che aveva ordinato una visita alla rastrelliera che ospitava la preziosa riserva.
«Sì, caro; a starmene tutta sola in questa grande stanza così a lungo mi intristisco; sicché ho invitato Martha. Immagino non ci sia nulla di male».
«Oh, se sono d’intralcio», attaccò Miss Biggs, «o se Mr Furnival si tratterrà a lungo…».
«Voi non siete d’intralcio e io non mi tratterrò a lungo», disse lui con una voce forse un po’ rauca - ma solo un pochino. Nessuna moglie in buoni rapporti con il marito si sarebbe degnata di notare, nemmeno con il pensiero, una quantità di raucedine talmente trascurabile. Fatto sta che in quel momento Mrs Furnival la notò.
«Oh, non lo sapevo», disse Miss Biggs.
«Ora lo sapete», disse Mr Furnival, che subito percepì il tono ostile che era stato assunto.
«Non dovresti essere villano con la mia amica dopo che ha atteso il tè quasi fino alle undici», disse Mrs Furnival. «Per me, che vuoi che sia, ma dovresti ricordare che lei non è abituata».
«Non sono villano, inoltre chi vi ha chiesto di attendere fin quasi alle undici? Ora sono appena le dieci, se la cosa interessa».
«Mr Furnival, avete chiesto espressamente di essere atteso per il tè. Ho la vostra lettera, se volete ve la mostro».
«Sciocchezze; ho solo detto che sarei rientrato…».
«Certo che l’avete detto, perciò abbiamo atteso; e non sono sciocchezze; e insomma…! Non badarci, Martha, non badare a me, da brava. Mi passerà subito»; al che la grassa, robusta, bonaria Mrs Furnival fu colta da un accesso di isterici singhiozzi. Bella accoglienza per un marito dopo una giornata di lavoro!
Miss Biggs scattò in piedi, aggirò il tavolo del salotto e raggiunse l’amica. «Calma», disse, «calma, vedrai che presto starai meglio. Ecco i sali».
«Non è nulla, Martha: non badarci, lasciami stare», singhiozzava la poveretta.
«Di grazia, potrei sapere cosa sta succedendo?» disse Mr Furnival, «perché, mi prenda un accidente se lo capisco». E Miss Biggs lo guardò come se glielo stesse augurando.
«Mi domando come mai ci mettete piede, qui», disse Mrs Furnival.
«Qui dove?» chiese suo marito.
«In questa casa dove sono obbligata a vivere da sola, senza scambiare una parola con anima viva, tranne quando viene Martha Biggs».
«Il che succederebbe molto più spesso, ma dato che non sono la benvenuta per tutti… ».
«So che detestate questa casa. Come potrei non saperlo ? E detestate anche me, lo so; sicuramente sareste contento di non tornarci mai più. No, Martha; lasciami stare. Smettila con tutte queste smancerie. Ecco: ditemi tutto, ora, qualunque cosa sia. Volete il tè, Mr Furnival, o desiderate tener sveglia la servitù per tutta la notte?».
«Al diavolo la servitù», disse lui.
«Perbacco! » esclamò Miss Biggs, saltando su dalla poltrona con le mani e le dita protese, come se mai in vita sua parole sì inique le avessero ferito le orecchie.
«Mr Furnival, mi vergogno di voi», disse la moglie, riacquistata la calma per il severo rimprovero.
Mr Furnival aveva fatto male a imprecare; doppiamente male di fronte alla moglie; tre volte male davanti alla sua signora ospite; ma bisogna ammettere che la pro-
vocazione c’era stata. Certo in questo periodo si stava comportando in modo pessimo con la moglie, ma proprio quella sera si era ripromesso di comportarsi bene. Quella femmina aveva fatto in modo di litigare e lui, sotto l’effetto del pranzo, aveva finito per trascendere. Quando uno ha una famiglia intera da mantenere e lavora duro per mantenerla come si deve non è giusto metterlo alle strette perché fa stare alzata la servitù un’altra mezz’ora per lavare i piatti. Va bene che i membri inattivi della casa debbono osservare degli orari, ma le sue esigenze debbono avere la precedenza. Ai vecchi tempi, che spesso abbiamo rievocato, avrebbe potuto prendere il suo tè a mezzanotte, l’una, le due o le tre senza che nessuno brontolasse. Per quanto scarso, allora il personale veniva incontro ai suoi bisogni senza alcuna difficoltà. In mancanza di un paio di mani per mettere a bollire la cuccuma, c’era un altro paio che mai si sarebbe stancato di farlo al posto suo. Ma ora, perché era rincasato alle dieci per il tè, gli chiedevano se intendeva tenere sveglia la servitù tutta la notte!
«Oh, perbacco!» disse Miss Biggs, saltando su dalla poltrona come se avese preso la scossa.
Mr Furnival non reputava dignitoso protrarre una disputa in presenza di Miss Biggs, perciò si accomodò sulla sua solita poltrona senza aggiungere altro. «Mr Furnival, volete prendere il tè, ora?» tornò a chiedergli sua moglie, sottolineando molto la parola «ora».
«Non me ne importa», rispose.
«Di certo neanche a me, così tardi», disse Miss Biggs. «Ma per quanto tu sia stanca, cara…».
«Non badare a me, Martha; non prenderò nulla, ora». E tutti rimasero seduti senza fiatare per cinque minuti buoni. «Se vuoi andare, Martha», disse Mrs Furnival, «non fare complimenti».
«Oh, benissimo», e così Miss Biggs prese la sua candela da notte e lasciò la stanza. Non fu una crudeltà costringerla ad assentarsi in quel momento, quando la battaglia stava per accendersi sul serio ? I suoi passi indugiarono mentre lentamente si defilava dalla porta del salotto e per un istante si attardò, restando immobile con le orecchie tese. Solo per un istante, poi salì di sopra, fuori portata d’orecchio, e seduta sulla sponda del letto lasciò che la battaglia infuriasse nella sua immaginazione.
Mr Furnival sarebbe rimasto seduto in silenzio fin quando anche sua moglie non avesse tolto il disturbo, così per quella sera ci avrebbero messo una pietra sopra, se sua moglie fosse stata d’accordo. Ma lei stava pensando alle sue ambasce e, avendo più o meno deciso di esternarle, nessun momento le parve più opportuno di questo.
«Tom», disse, e mentre parlava il suo sguardo recava ancora un barlume dell’antico amore, «fra noi le cose non vanno per il verso giusto, non di recente. Non sarebbe bene cambiare prima che sia troppo tardi?».
«Cambiare cosa?» le chiese; non proprio di malumore, ma con la voce impastata, rauca. Ora avrebbe preferito che se ne fosse andata a letto come l’amica.
«Non voglio imporre nulla, Tom, ma… Oh, Tom, sapessi come sto male!».
«Perché mai staresti male?».
«Perché mi lasci sola; perché ti importa più degli altri che di me; perché non ti va mai di stare a casa, mai, se puoi evitarlo. Lo sai. Ormai sei sempre via per una scusa o per l’altra, lo sai. Per tutto l’anno non pranzi a casa un solo giorno alla settimana. Non è giusto e tu lo sai. Oh, Tom! Tu mi spezzi il cuore, mi inganni, sì. Perché, quando sono venuta allo studio e ti ho trovato insieme a quella, ti sei vergognato di ammettere che era lì per vedere te ? Si fosse trattato di una faccenda d’ordinaria amministrazione, non ti saresti vergognato. Oh, Tom!».
La poveretta aveva preso a lagnarsi con una certa eloquenza non del tutto priva di discrezione. Se solo avesse mantenuto quel tono; se solo si fosse limitata al racconto delle sue doglianze, contentandosi di dichiararsi infelice solo perché il marito la lasciava sola, tutto sarebbe andato bene. Forse gli avrebbe toccato il cuore, se non altro la coscienza, magari con qualche risultato di lunga durata. Ma i suoi sentimenti l’avevano sopraffatta e, via via che i torti le tornavano in mente e le parole le si affollavano alla lingua, non riuscì a tacere sull’unico argomento che non andava toccato. Mr Furnival non era tipo da sopportare una simile intromissione né da permettere, neppure alla moglie, di turbare la riservatezza di Lincoln’s Inn. La fronte gli si oscurò e gli occhi quasi s’iniettarono di sangue. Il porto, anziché alla mitezza, ora lo indusse alla rabbia, sicché proruppe con vigore coniugale: «Una volta per tutte, Kitty: ti proibisco di immischiarti in quel che facciò, o con le persone che ritengo di vedere nel mio studio di Lincoln’s Inn. Se sei una sempliciona senza sale in zucca che crede… ».
«Già, sono una sempliciona, sono una stupida, come tutte le donne».
«Vuoi ascoltarmi?».
«Certo che ti ascolto; non faccio altro. Vuoi che le ceda questa casa e me ne vada in affitto altrove ? Non avrei granché da obiettare data l’attuale situazione. Che roba! Chi l’avrebbe detto che saremmo arrivati a questo punto?».
«A quale punto?».
«Tom, posso mandar giù una quantità di cose, più di molte altre donne, credo; per te potrei rompermi la schiena dalla fatica, e non me ne importerebbe. E ora che frequenti il bel mondo, non mi importerebbe neppure di vederti uscire senza di me. A volte sono così sola, tanto; ma posso sopportarlo. Nessuno moriva dalla voglia di vederti fare strada quanto me. Ma, Tom, quando so come ti comporti con una donnaccia furba e infida come quella… non lo sopporto, fine della storia». Pronunciate che ebbe queste parole inappellabili Mrs Furnival si alzò, battendo la mano per tre volte tutt’ altro che lievemente sul tavolino da gioco al centro della stanza.
«Come è possibile che tu sia tanto sciocca? Come?».
«Eh già, sono sciocca! Benissimo. Le donne sono sempre sciocche quando se la prendono per certe cose. Nient’altro da dire, signore?».
«Sì, dico che non tollererò un simile trattamento».
«Io neppure», disse Mrs Furnival, «tanto vale ve lo mettiate subito in testa. Finché non c’è stato nulla di madornale, ho mandato giù per salvare le apparenze, oltre che per amore di Sophia. Quanto a me, che importa quanta solitudine dovrò sopportare. Se foste stato interpellato per andare in India o in Cina, avrei mandato giù. Tutto, ma non questo genere di cose, né sarò cieca davanti a quanto non posso impedirmi di vedere. Sappiatelo, Mr Furnival: ormai ho deciso». Poi, chiuso l’argomento e guadagnata la porta per la concitazione, batté in ritirata, salendo in fretta e furia nella sua stanza.
In una casa, simili episodi sono spiacevoli sotto tutti i punti di vista. Il padrone deve farsi rispettare, ma come ? Se per tutta la lite s’impunta a dar torto alla moglie, è peggio che andar di notte. Gli preme che il mondo esterno non sappia che a casa qualcosa va storto; ma lei, che brucia per l’offesa e insorge a gran voce contro i presunti torti, se ne infischia di chi la sente. «Tieni a freno la lingua, donna», dice il marito. Ma la moglie, pur avendo giurato obbedienza, non gli obbedirà, finendo per strepitare di più.
Cosa che, mentre Mr Furnival era seduto a pensarci, lo disturbava non poco. Naturalmente si rendeva conto che Martha Biggs avrebbe sparso la voce per tutta Bloomsbury e St. Pancras. «Se mi ci costringe, sarà così», si disse infine. Poi anche lui andò a riposare. Così si prepararono al Natale in quel di Harley Street.