Capitolo XVIII
Il Von Bauhr d’Inghilterra
Il mattino seguente, prima di colazione, Felix Graham e Augustus Staveley si prepararono alle fatiche della giornata alle porte con una passeggiata in campagna; giacché persino a Birmingham, armati di buona volontà, si riesce a strappare una passeggiata in campagna, una campagna assai ridente, una volta raggiunta. Al congresso i lavori non cominciavano prima delle undici, sicché le persone dinamiche avevano tempo per gli esercizi mattutini.
Augustus Staveley era l’unico figlio del giudice che quel giorno doveva difendere le leggi d’Inghilterra dagli attacchi eventualmente perpetrati dal grassissimo avvocato di Firenze. Al momento non occorre diffondersi più di tanto sul giudice Staveley se non per dire che viveva a Noningsby nei dintorni di Alston, a circa nove miglia di distanza da Cleeve e che Sophia Furnival era stata invitata a trascorrere il Natale ormai alle porte in casa sua. Suo figlio, un tipo bello e intelligente, si era ritrovato a un passo dal Newdegate, ed era attualmente membro del Middle Tempie.19 Era destinato a seguire le orme paterne e a diventare un luminare del tribunale del diritto comune; ma fino ad allora non è che avesse compiuto grandi passi avanti. Il mondo era troppo piacevole per consentirgli di dedicare gran parte del suo tempo al lavoro. Suo padre era l’uomo migliore del mondo, riverito dalla magistratura e amato da tutti; gli mancava però quella severità del genitore che lo avrebbe spronato a imbrigliare suo figlio. Lui stesso aveva iniziato con poco e niente, perciò aveva avuto successo; mentre suo figlio in pratica possedeva già tutto quanto voleva, perciò il suo successo appariva incerto. Aveva uno studio lussuosamente arredato, un cavallo a Piccadilly, la casa di suo padre a Noningsby era sempre aperta per lui, e la vita di società londinese gli dispiegava tutte le sue lusinghe. Stando così le cose c’era da aspettarsi che lavorasse ? Nondimeno parlava di lavorare, e nella testa gli frullava qualche idea al riguardo. In un certo senso aveva lavorato, e sapeva parlare a lingua sciolta del poco che conosceva. L’idea di passare una vita a far niente20 gli sarebbe parsa intollerabile; nondimeno molti suoi amici cominciarono a pensare che una vita siffatta sarebbe stata il suo destino supremo. Non che fosse importante, dicevano, non era un mistero che il giudice si fosse arricchito.
Il suo amico Felix Graham però non era nella stessa barca; e anche nel suo caso molti pronosticavano che avrebbe stentato a sospingere la sua maestria contro corrente. Non che fosse un ozioso, solo si ostinava a rimanere in secca per non remare con l’unico metodo riconosciuto. Anche lui era stato a Oxford; ma non si era dato molto da fare se non per tenere discorsi presso un circolo culturale e guadagnarsi una pessima fama grazie a certe idee in fatto di religione, impopolari all’università. L’aveva lasciata senza laurearsi proprio a causa, si supponeva, di certe opinioni e ora era stato ammesso all’avvocatura con il fermo proposito di aprire l’ostrica con le armi, offensive e difensive, che la natura gli aveva donato.21 Ma qui, come a Oxford, si ostinava a non voler lavorare alle stesse condizioni degli altri, né si assoggettava alle stesse regole convenzionali; perciò era ben poco probabile che riportasse un qualsivoglia premio. Aveva idee tutte sue sul fatto che gli uomini dovessero dedicarsi al loro lavoro al di fuori di ogni particolare regola convenzionale, facendosi guidare dalle grandi regole generali del mondo, ad esempio quelle enunciate nei comandamenti: Non dire falsa testimonianza; Non rubare, ecc. Le sue opinioni erano senza dubbio grandi, e magari buone; ma finora non gli avevano procurato il successo economico nella professione. Si era fatto una sorta di nome, che però non era musica per le orecchie degli avvocati in attività.
Eppure bisognava che facesse quattrini, dal momento che non gli arrivavano belli e pronti da un qualunque padre. Non aveva né madre né padre, né zii né zie che potessero tornargli utili. Aveva cominciato con una piccola somma, che man mano si era ridotta finché gliene rimase a malapena per creare un dividendo infinitesimo. Ma non era tipo da abbattersi per questo. Bene o male riusciva a sbarcare il lunario e ora si manteneva lavorando per la stampa. Scriveva poesie per i periodici e di politica per i fogli da un penny con notevole successo e con esiti finanziari sufficienti. Meglio questo, spesso si vantava, che rinnegare le sue grandi idee o scendere in campo con armi diverse da quelle che a suo avviso un onest’uomo avrebbe dovuto impugnare.
Augustus Staveley, che sapeva essere assai giudizioso quando si trattava dell’amico, dichiarava che il matrimonio lo avrebbe raddrizzato. Felix si sarebbe tranquillamente infilato il collare andando a rincalzare il tiro a quattro, come il più valido dei cavalli al timone di una carrozza. Ma Felix non pareva incline a sposarsi. Anche su questo aveva le sue opinioni e un paio di persone che lo conoscevano intimamente credevano nutrisse un’insana simpatia per chissà quale sconosciuta damigella, che per origine, educazione e futuro probabilmente non avrebbe favorito le sue prospettive nel mondo. Certi dicevano che la stava educando a diventare sua moglie, la stava plasmando, affinché si confacesse al suo gusto; ma Augustus, seppur partecipe del segreto, era del parere che tutto sarebbe finito bene. «Incontrerà una ragazza con un mucchio di denaro, un visetto carino e la lingua tagliente; dopo di che Felix concederà la promessa sposa così plasmata al vicino panettiere insieme a una fortuna di duecento sterline; e tutti vivranno felici e contenti».
Felix Graham era tutt’altro che un bell’uomo. Era alto e magro, con il volto lievemente segnato dal vaiolo. Curvo nell’incedere, spesso non sapeva dove mettere mani e gambe. Ma era pieno di entusiasmo, indomito in ogni sorta di contesa, quando aveva abbastanza fegato, e raggiante quando parlava di argomenti che gli stavano a cuore tanto che una fanciulla carina, con la lingua tagliente e un mucchio di denaro ne sarebbe stata conquistata. Staveley, che gli voleva un gran bene, aveva già scelto la preda, la quale altri non era che la nostra amica: Sophia Furnival. Non le mancava nulla: la lingua tagliente, il visetto carino e il mucchio di denaro; d’altro canto Sophia era una fanciulla che magari in cambio si aspettava qualcosa in più di una brutta faccia di tanto in tanto raggiante d’entusiasmo.
I due erano sfuggiti al denso fumo di Birmingham e se ne stavano seduti sulla sbarra più alta di un cancello che dava su un campo di stoppie. Erano giunti fin là di comune accordo, ma Staveley rifiutava di proseguire oltre. Se ne stava seduto con un sigaro in bocca. Anche Graham stava fumando, ma era provvisto di una pipa.
«Va bene una passeggiata prima di colazione», disse Staveley, «ma mica mi sto recando in pellegrinaggio. Ora come ora ci troviamo a quattro miglia dalla locanda».
«Ed è fin troppo per le tue energie. Pensa solo che avresti dovuto ammazzare il tempo per due ore, prima di mettere qualcosa sotto i denti».
«Chissà perché la fatica mattutina viene sempre considerata tanto meritoria. A mio modo di vedere, semplicemente perché è sgradevole».
«È la prova che uno sforzo si può fare».
«Tutti i sapientoni che vogliono farsi credere più instancabili del loro prossimo bruciano il lume di mezzanotte o si levano alle quattro del mattino. Si direbbe che il lavoro sano e ben fatto tra l’ora di colazione e l’ora di pranzo non valga mai nulla».
«Hai mai provato?».
«Sì, ci sto provando ora, qui a Birmingham».
«Non tu».
«Sei sempre lo stesso, Graham. Credi che nessuno si curi di quanto avviene tranne te. Oggi ho intenzione di assimilare la teoria della giurisprudenza italiana da cima a fondo».
«Non dubito della tua capacità di trarne partito. Immagino non sia nulla di eccezionale, a ogni modo sarà migliore della nostra. Coraggio, torniamo in città; la mia pipa è finita».
«Riempine un’altra, fai il favore. Non posso permettermi di gettar via il mio sigaro, e detesto fumare mentre cammino. Vuoi dunque sostenere che tutto il nostro sistema è pessimo, marcio e ingiusto?».
«È esattamente quello che penso».
«Eppure ci consideriamo il più grande popolo del mondo, se non altro il più onesto».
«Infatti; ma le leggi e la loro gestione non hanno nulla a che fare con l’onestà di un popolo. Le buone leggi non rendono un popolo onesto, né quelle cattive lo rendono disonesto».
«Ma un popolo che è disonesto in un mestiere probabilmente lo sarà in altri. Ebbene, è come dire che tutti i legali inglesi sono dei farabutti».
«Mai detto nulla del genere. Credo che tuo padre sia l’uomo più onesto mai comparso su questa terra».
«Grazie tante, signore», e Staveley levò il cappello.
«E voglio sperare di esserlo anch’io».
«Ah, ma non ti serve a far quattrini».
«In realtà volevo dire che a causa del nostro amore per i precedenti, la cerimonia e le usanze obsolete, abbiamo conservato un sistema che contiene molte delle barbarie, e delle bugie, dell’età feudale. Giudichiamo un imputato né più né meno che ai vecchi tempi dell’ordalia. Se grazie alla sua buona stella ne uscirà per il rotto della cuffia lo lasceremo fuggire pur sapendolo colpevole. Grazie a noi può trarre partito da ogni dettaglio tecnico, e imparare a mentire per difendersi, qualora la natura non glielo avesse già insegnato a sufficienza».
«Ti riferisci alla sua dichiarazione di non colpevolezza?».
«No, quella vale poco e niente. Gli chiediamo stupidamente di confessare la sua eventuale colpevolezza, con l’intento di indurlo a negarla; ma il grave non è questo. Finché rimane una possibilità, la colpevolezza viene di rado confessata. Però noi gli insegnarne a mentire, anzi mentiamo per lui quando si celebra il processo a suo carico. Pensiamo sia misericordioso offrirgli la possibilità di sfuggire, dandogli la caccia come a una volpe, in ossequio a certe leggi concepite per la sua protezione».
«Dunque non dovrebbe godere di alcuna protezione ?».
«Senz’altro di nessuna, in quanto colpevole; nessuna intesa a celare la sua colpevolezza. Finché non sarà accertata, proclamata e resa manifesta, tutti dovranno essergli contro».
«Ma se è innocente?».
«Che venga dunque giudicato con tutta l’attenzione possibile. So che capisci cosa intendo, anche se non sembra. Gli uomini accorti e dabbene facciano pure del loro meglio per proteggere la sua innocenza, ma nessuno, né accorto né dabbene, faccia alcunché per celarne la colpevolezza».
« E lasceresti la povera vittima al banco degli imputati senza difesa?».
«Niente affatto. Diamo pure alla povera vittima, come la chiami tu, che nel novantanove per cento dei casi è un topo che ha razziato i nostri granai, diamogli pure, dico, il suo difensore, il difensore della sua possibile innocenza, non il protettore della sua probabile colpevolezza. Tutto si riduce a questo. Che ogni legale metta piede in tribunale deciso a portare alla luce del sole quella che gli pare la verità. Un legale che non agisce così, ma nel modo opposto, per quanto mi riguarda si è assunto un incarico inadatto a un gentiluomo e insostenibile per un uomo onesto».
«Peccato tu non abbia l’opportunità di rivaleggiare con Von Bauhr al congresso!».
« Senza dubbio la natura delle sue parole era la stessa; ma non andranno sprecate, sebbene finora sfuggano alla nostra sublime comprensione».
«Magari si degnerà di fornirci una traduzione».
«Al momento sarebbe inutile, visto che non ci rassegnarne a credere possibile che uno straniero sia per certi versi più saggio di noialtri. Se una tal persona ci addita le nostre follie, subito le rivendichiamo come prove specifiche della nostra saggezza. Siamo tanto compiaciuti delle nostre usanze da levare in alto le mani sorpresi dalla fatuità di chi osa additarci i nostri difetti. Le pratiche che maggiormente ci distolgono dalla morale ovvia e riconosciuta in ogni epoca e in ogni paese civile sono per noi i palladi della giurisprudenza. Modi di procedere che, a vederceli proposti di primo acchito, riterremmo opera del demonio, il tempo ha reso sacri tanto da cancellare, grazie alla santità dei loro anni, l’orrore della loro falsità. Non ci capacitiamo che le altre nazioni ne traggano un’impressione analoga alla nostra in merito ai sacrifici umani dei bramini; il fatto è che conduciamo tre volte l’anno il carro di Jagannath in ogni assise cittadina del paese, lasciando che venga trascinato senza pietà per le vie delle metropoli in ogni tempo e stagione. Ora torniamo a fare colazione, perché non aspetterò oltre». Visto che queste erano le idee di Felix Graham, non c’è poi da stupirsi se uomini quali Mr Furnival e Mr Round non dessero per scontato il suo successo nell’avvocatura.
«Ma quanto sono cattive queste costolette di montone», fece Staveley, mentre consumavano il pasto nel ristorante dell’Imperiai Hotel.
«Dici?» fece Felix Graham. «A me non sembrano diverse dalle altre».
«Sono immangiabili. E guarda qua il caffè! Cameriere, portate via, fatene preparare dell’altro».
«Sì, signore», disse il cameriere, dibattendosi per sfuggire a ulteriori commenti.
«E cameriere…».
«Sì, signore», e il povero e snervato lavorante tornò indietro.
«Chiedete da parte mia se sanno come si prepara il caffè. Non consiste in una fornitura illimitata di acqua tiepida versata su una porzione infinitesima di cicoria. Si tratta di un procedimento venerando nel ramo alberghiero, ma non produrrà la bevanda detta caffè. Può avere la bontà di spiegarlo a quelli del bancone da parte mia?».
«Sì, signore», disse il cameriere; poi gli fu concesso di sparire.
« Come puoi darti tanta pena senza avere alcuna speranza di trarne partito?» disse Felix Graham.
« Questo è quanto voi deboli andate sempre ripetendo. A tempo debito si trarrà partito dalla perseveranza… Proprio perché facciamo buon viso alla robaccia gli albergatori continuano a propinarcela. Ieri sera mio padre stava pranzando con tre o quattro francesi al King’s Head, e a me è toccato sedere in fondo alla tavola. Beh, ti informo che sono letteralmente arrossito per il mio paese; sul serio. A quel punto era inutile dire qualcosa, ma saltava agli occhi che non c’era nulla di commestibile per nessuno di loro. In qualunque albergo francese pranzerai come si deve; noialtri invece siamo talmente orgogliosi che ci vergognamo di prendere lezioni». Pertanto Augustus Staveley tuonò contro il suo paese e decantò gli altri né più né meno di Felix Graham prima di colazione.
E così il congresso proseguì in quel di Birmingham. Il grasso italiano di Toscana lesse la sua relazione; ma, benché giudice nel suo paese e riformatore in Inghilterra, era alquanto dedito alla commedia, così la mattinata non fu noiosa come quella consacrata a Von Bauhr. Dopo di lui, il giudice Staveley fece un discorso assai fine e, a detta di certe persone, assai eloquente; e così per quel giorno fu tutto. Molti altri giorni si susseguirono fiaccamente in questo modo; furono letti parecchi interventi insieme alle relative repliche, e per un po’ la legge riempì i giornali. La difesa del nostro sistema, ritenuto fuori dal comune per la sua pertinacia, se non per la sua giustizia, venne da Mr Furnival, che per l’occasione fu scosso da una collera divina. Poi il famoso congresso di Birmingham fu portato a termine, e tutti gli stranieri se ne tornarono al loro paese.