Capitolo LXXI

Che mostra come si comportarono John Kenneby e Bridget Bolster in tribunale

Il mattino dopo alle dieci in punto erano tutti al loro posto, e la folla si era radunata davanti all’ingresso del tribunale assai prima. Via via che il processo entrava nel vivo l’interesse cresceva, e via via che la gente si convinceva che Lady Mason aveva davvero falsificato un testamento, ancor più la considerava un’eroina. Se una volta falsificato il testamento del marito, lo avesse assassinato, avrebbero sborsato mezza corona a testa per toccarle le vesti, o una ghinea per il privilegio di stringerle la mano. Lady Mason si era nuovamente seduta con il velo sollevato, con Mrs Orme da una parte e suo figlio dall’altra. Il collegio della difesa era tornato a schierarsi alle sue spalle, con Mr Furnival seduto più vicino al giudice, mentre Mr Aram occupava ancora lo scanno nel mezzo per comunicare sia con la cliente che con gli avvocati. Ormai erano i loro posti ufficiali, e malgrado la gran folla, li raggiunsero senza difficoltà. I protagonisti di una commedia trovano sempre la strada spianata. 

Questo era un gran giorno per quanto riguardava le deposizioni. «È una causa che dipende unicamente dalle deposizioni», disse un giovane legale a un altro. 

«Se il collegio di difesa saprà destreggiarsi con i testimoni, direi che è salva». Tutti capivano quanto fosse importante, perciò era sottinteso che la partita si sarebbe decisa in quel secondo giorno. Buon per Chaffanbrass se aveva tormentato quello sciagurato di Dockwrath, rendendogli la vita difficile per un’oretta, ma la cosa avrebbe ben poco influito sul verdetto. C’erano due persone pronte a giurare che un certo giorno avevano firmato un solo atto. Era stato il procuratore generale a dirlo, e nessuno ne dubitava. Ora la questione era la seguente: Mr Furnival e Mr Chaffanbrass sarebbero riusciti a farli cadere in contraddizione, dopo il giuramento ? Li avrebbero indotti a dire di aver firmato due atti, o che potevano averne firmati due ? 

Spettò di nuovo a Mr Furnival entrare in scena per primo - vi sarebbe entrato non appena Sir Richard avesse svolto il suo ruolo, oltremodo secondario, consistente nel dedurre le prove principali. La prima vittima era il povero John Kenneby, che fu fatto accomodare al banco di fronte a tutti loro non appena il giudice ebbe preso posto. Perché non era emigrato in Australia, via da tutto questo… via da tutto questo, insieme a Mrs Smiley ? Così rifletteva John Kenneby salendo lentamente i due gradini che lo menavano alla tortura. Lì vicino, nonché vicino a Dockwrath, responsabile della custodia dei due testimoni, sedeva Bridget Bolster. Quel mattino si era trattata proprio bene, a crostini imburrati e salsicce; e quando, su richiesta di Dockwrath, Kenneby si era lasciato infondere un tantino di corroborante - non sarebbe bastata una bottiglia di brandy - anche Bridget non rifiutò il generoso bicchiere. «Mica ne ho bisogno», disse, volendo significare che avrebbe tenuto duro, persino contro il grande Chaffanbrass, senza ricorrere a siffatti coadiuvanti. Ora sedeva tutta tranquilla, le mani incrociate sulle ginocchia, gli occhi saldamente incollati al tavolo nel mezzo dell’aula. Tenne quella posizione finché non giunse il suo turno; e si può dire che non ci fosse di che temere quanto a Bridget Bolster. 

Sir Richard cominciò. Il lettore sa benissimo di quale natura sarebbe stata la deposizione di John Kenneby. Sir Richard impiegò molto tempo a ricavarne informazioni, rendendosi conto che occorreva ispirare al teste un po’ di fiducia prima di venire alle domande fondamentali. Persino questo risultò difficile, giacché Kenneby parlava con una voce così sommessa che nessuno riusciva a udirlo; e quando il giudice gli intimò per la seconda volta di alzare la voce fu lì lì per svenire. È curioso, ma ai giudici non viene mai in mente che a sgridare un testimone timido per natura, si finisce per intimidirlo ancor di più. Quando sento un giudice servirsi così della propria autorità, vorrei immancabilmente poterlo costringere a qualche spiacevole occupazione: a saltare dentro un sacco, diciamo; e a ogni suo misero salto, perché sarebbe senz’altro tale, farei schioccare la frusta ordinandogli di saltare sempre più in alto. E a ogni mio ordine, zoppicherebbe di più; e contemplando la scena, tutti compatirebbero lui esecrando il sottoscritto. A occhio e croce è quanto avviene quando si intima a un teste di alzare la voce. 

Ma alla fine John Kenneby raccontò la sua semplice storia. Ricordava il giorno in cui si era incontrato con il vecchio Usbech, Bridget Bolster e Lady Mason nello studio di Sir Joseph. Aveva poi sottoscritto una firma di Sir Joseph, senza sottoscriverne altre quel giorno; ne era perfettamente sicuro. A suo parere il vecchio Usbech non aveva firmato l’atto in questione, ma si rifiutò di giurarlo. Ricordava il primo processo: allora non era stato in grado di giurare se Usbech aveva firmato o meno l’atto. A quanto ricordava, il suo controinterrogatorio si era soprattutto incentrato su quel punto. Fu ciò che disse alla fine in termini sufficientemente semplici. 

Allora si levò in piedi Mr Furnival. Il lettore conosce bene il suo stato d’animo a proposito del processo. Ormai l’entusiasmo per Lady Mason, destato dalla convinzione della sua innocenza, dalla vecchia amicizia, dall’antica devozione alla sua causa, e dall’ammirazione per la sua bellezza, si era molto affievolito. Si era in gran parte affievolito quando si trovò costretto a mobilitare compagni di fatiche quali Chaffanbrass e Aram, e pressoché estinto quando, a contatto con costoro, aveva finito per considerarla sicuramente colpevole. Nondimeno, ora che era lì, si risvegliò in lui la vecchia fiamma. Quante volte aveva desiderato scrollarsi di dosso quella faccenda e lasciare la sua vecchia cliente nelle mani dei nuovi consulenti. Sarebbe stato meglio per lei, si era detto. Ma quel giorno - in quei tre giorni - visto che non se l’era scrollata di dosso, si levò per mettersi all’opera come se l’amasse ancora, come se si studiasse di salvaguardare quell’indebita eredità per il figlio. Viene quasi da pensare che, in quei tre giorni, si fosse convinto di nuovo del fatto che Lady Mason avesse subito un torto. Ricorderete i timori di Aram circa la capacità di Mr Furnival di condurre quel controinterrogatorio: Chaffanbrass invece non ne aveva mai dubitato. Sapeva che in quel senso Mr Furnival non gli era affatto da meno; con una differenza: Mr Furnival sapeva fare anche qualcos’altro. 

«E ora, Mr Kenneby, le porrò qualche domanda», disse, e Kenneby si voltò verso di lui. L’avvocato parlò con voce dolce e sommessa, ma subito il poveretto fu trafitto dal suo sguardo; e benché gli ripetessero dozzine di volte di guardare e parlare alla giuria, Kenneby non fu mai capace di staccare gli occhi dal volto dell’avvocato. 

«Ricorderete il vecchio processo», gli disse, tenendo in mano ciò che risultava esserne il verbale. A quel punto sorse una disputa con Sir Richard, cui tutti presero parte, Chaffanbrass, Graham e Mr Steelyard, circa la possibilità di fargli delle domande sul passato interrogatorio; punto che Graham perorò quantomai diffusamente, citando precedenti a non finire, sforzandosi di compiere il proprio dovere verso la cliente su un punto che non gli creava problemi di coscienza. Alla fine il giudice decretò di procedere con l’interrogatorio; al che Sir Richard e Mr Steelyard si rimisero seduti come fossero perfettamente soddisfatti. Kenneby, quando gli fu ripetuta la domanda, disse di ricordare il vecchio processo. 

«È necessario, sapete, farvi udire dai giurati, quindi se parlando li guardate, probabilmente ci riusciranno». Kenneby lasciò per un attimo che il suo sguardo corresse al banco della giuria, ma lo fece cadere all’istante, e lo fissò sul volto del legale. «Ricordate il processo?». 

«Sì, signore, lo ricordo», bisbigliò Kenneby. 

«Ricordate che vi ho chiesto se d’abitudine sottoscrivevate la firma di Sir Joseph Mason?». 

«Me lo avete chiesto, signore?». 

«Fu quella la domanda che vi posi. Ve ne ricordate?». 

«Sì, può darsi che me lo abbiate chiesto, signore». 

«Infatti, e ora leggerò la vostra risposta. Daremo alla giuria una copia degli atti del processo, vostra signoria, una volta che ne avremo dimostrata l’autenticità - come naturalmente contiamo di fare». 

Allora tra gli avvocati scoppiò un’altra scaramuccia. Ma, poiché si processava Lady Mason per il reato di spergiuro presumibilmente commesso durante quell’altro processo, era indispensabile renderne noti tutti gli atti alla giuria. 

«Quella volta diceste», continuò Furnival, «che eravate certo di aver sottoscritto tre firme di Sir Joseph in estate: che a luglio probabilmente ne avevate sottoscritte tre in una settimana, che eravate praticamente certo di averne sottoscritte tre in un giorno, che non sapevate dire di quale giorno poteva trattarsi, e che eravate stato impiegato in tal senso tanto spesso che non ricordavate proprio un bel nulla. Potete dirmi se è questo il contenuto della deposizione resa allora?». 

«Se è scritto lì sopra… » fece John Kenneby, poi s’interruppe. 

«È scritto; e io l’ho letto». 

«Immagino non vi sia nulla da ridire», fece John Kenneby. 

«Debbo pregarvi di alzare la voce, per favore», disse il giudice, «se non riesco a udirvi io per la giuria sarà impossibile». Le parole del giudice non furono scortesi, ma la sua voce fu brusca, e l’unica percepibile conseguenza della protesta si rivelò nei goccioloni di sudore che spuntarono sulla fronte di John Kenneby. 

« Si tratta della deposizione da voi resa al primo processo ? La giuria può presumere che, per quanto ne sapevate, diceste la verità?». 

«Ho provato a dirla, signore». 

«Ci avete provato? Sarebbe a dire che non ci siete riuscito?». 

«No, al contrario». 

«Perciò, quando avete riferito alla giuria che eravate pressoché certo di aver sottoscritto tre firme di Sir Joseph in un giorno, era la verità?». 

«Non credo di averlo mai fatto». 

«Fatto cosa?». 

«Sottoscrivere tre carte in un giorno». 

«Non credete di averlo mai fatto?». 

«Potrebbe anche essere, non dico di no». 

«Sennonché, in quell’altro processo, a circa dodici mesi dalla morte di quell’uomo, ne eravate pressoché certo». 

«Ah, sì?». 

«È quel che avete detto alla giuria». 

«Allora è così, signore». 

«Allora cosa avete fatto?». 

«Ho sottoscritto tutte quelle carte». 

«Dunque ora credete probabile di aver sottoscritto tre firme nello stesso giorno?». 

«No, non credo». 

«Allora cosa credete?». 

«E passato tanto di quel tempo, signore, che proprio non saprei». 

«Esatto. E passato tanto di quel tempo che non potete fare affidamento sulla vostra memoria». 

«Immagino di no, signore». 

«Ma avete appena detto all’avvocato che vi ha interrogato per la controparte, di essere certissimo di non aver sottoscritto due atti nel giorno da lui menzionato, il 14 luglio. Ora, visto che non vi fidate della vostra memoria per andare così a ritroso nel tempo, volete correggere quella dichiarazione?». 

«Immagino di sì». 

«Quale correzione volete apportare?». 

«Non credo di averlo fatto». 

«Non credete di aver fatto cosa?». 

«Non credo di aver firmato due…». 

«Davvero non mi riesce di udire il teste», fece il giudice. 

«Dovete alzare la voce», disse Mr Furnival, alzandola lui stesso, e molto. 

«Intendo farlo meglio che posso», disse Kenneby. 

«Ne sono convinto», disse Furnival, «ma data la vostra intenzione, dovete badare bene a non dichiarare nulla per certo, se non siete sicuro che sia certo. Siete sicuro di non aver sottoscritto due atti quel giorno?». 

«Credo di sì». 

«E ciò malgrado vent’anni fa, quando il fatto vi era ben più presente, non ne eravate sicuro?». 

«Non mi ricordo». 

«Non ricordate se ne eravate sicuro dodici mesi dopo l’accaduto, ma credete di esserlo ora». 

«Voglio dire che non credo di averne firmati due». 

«Dunque, sarebbe solo questione di crederlo o meno?». 

«No, di crederlo e basta». 

«E potreste averli firmati entrambi?». 

«Potrei senz’altro averlo fatto». 

«Ciò che intendete dire alla giuria è: non ricordate di avere firmato due volte quel giorno in particolare, benché sappiate di esservi prestato come testimone per conto di Sir Joseph Mason più di due volte nello stesso giorno, giusto?». «Sì». 

«Era questo il significato della vostra deposizione?». 

«Sì, signore». 

Poi Mr Furnival passò all’altro punto riguardante la presenza di Mr Usbech e la sua presunta calligrafia. Kenneby non aveva fatto un’affermazione decisa al riguardo, pur avendo espresso un’assai ferma opinione. Non essendone soddisfatto, Mr Furnival volle dimostrare che l’opinione di Kenneby al riguardo era tutt’altro che ferma. Ritornò sulla deposizione del primo processo, e lesse svariate domande con le relative risposte; di per sé le risposte, così com’erano state fornite all’epoca, non esprimevano senz’altro un’opinione chiara da parte di chi le forniva: anche se leggendo la deposizione per intero una persona imparziale avrebbe riscontrato che l’opinione veniva espressa con molta chiarezza. La prima volta che gli era stato chiesto, Kenneby si era detto pressoché certo che Mr Usbech non avesse firmato il documento. Ma proprio perché gli premeva dire la verità andò a cacciarsi nei pasticci. Quella volta Mr Furnival aveva approfittato della parola «pressoché» riuscendo da ultimo a fargli dire che non era affatto certo. Da anni ormai ci siamo lasciati alle spalle le barbare deposizioni sotto tortura - serrapollici e quant’altro - ammettendone l’intrinseca inutilità per la ricerca del vero. Quanto tempo impiegheremo a riconoscere che l’altro tipo di tortura è ugualmente contraria alla verità e alla civiltà ? 

«Ma Mr Usbech si trovava senz’altro nella stanza quel giorno?» continuò Furnival. 

«Sì, c’era». 

«E sapeva cosa stavate facendo voi tutti, immagino?». 

«Sì, immagino di sì». 

«Sarà stato lui a spiegarvi la natura dell’atto da sottoscrivere, presumo». 

«Direi di sì». 

«Non ci sarebbe nulla di strano, dato che era un legale». 

«Immagino di no». 

«E non ricordate la natura di quel particolare atto, 

secondo la spiegazione fornitavi quando Bridget Boiler si trovava nella stanza?». 

«No». 

«Avrebbe potuto trattarsi di un testamento?». 

« Sì. Ho firmato un paio di testamenti per Sir Joseph, credo». 

«Sicché quel documento specifico, Mr Usbech potrebbe averlo firmato in vostra presenza, fino a prova contraria?». 

«Potrebbe averlo fatto». 

«Ora - siete sotto giuramento, Kenneby - la memoria vi assiste tanto da consentirvi di fornire un’informazione in proposito, sulla quale la giuria possa basarsi in tutta sicurezza per dichiarare la sventurata signora colpevole del terribile crimine di cui è imputata?». Allora Kenneby si guardò rapidamente intorno e fissò gli occhi sul volto di Lady Mason. «Pensate un momento prima di rispondere; e trattatela come vorreste che trattassero voi qualora vi trovaste nel medesimo frangente. Potete dire di ricordare che Usbech non firmò?». 

«Beh, signore, non credo». 

«Ma avrebbe potuto?». 

«Oh, sì, avrebbe potuto». 

«Voi non ricordate se l’ha fatto?». 

«Senz’altro no». 

«Ed è questo più o meno quel che intendevate dire?». 

«Sì, signore». 

«Fatemi capire», disse il giudice - al che il sudore sul volto del povero Kenneby si fece più visibile - «volete dire che non vi ricordate un bel nulla? Che semplicemente non ricordate se Usbech abbia firmato o meno?». 

«Non credo che Usbech abbia firmato». 

«Ma perché non lo credete, visto che compare il suo nome?». 

«Non l’ho visto firmare». 

«Volete dire», continuò il giudice, «che non lo avete visto, o che non ricordate di averlo visto?». 

«Non ricordo di averlo visto». 

«Ma potreste averlo visto? Potrebbe aver firmato, e voi potreste averlo visto mentre lo faceva, solo che non ricordate?». 

«Sì, vostra signoria». 

Poi John Kenneby potè lasciare il banco dei testimoni. Nel mentre Joseph Mason, che gli sedeva vicino, lo folgorò con un’occhiata da far paura. Costui non dava credito alla sua timidezza, credendo invece che la controparte lo avesse pagato sotto banco. Dockwrath, tuttavia, dimostro più cervello. «Non l’hanno mica avuta vinta sulla storia della firma», disse, «ma sapevo dal principio che bisogna fare affidamento soprattutto sulla Bolster». 

Poi Bridget Bolster fu fatta salire al banco dei testimoni, e venne interrogata da Mr Steelyard. Aveva udito comandare a Kenneby di alzare lo sguardo, perciò fissò gli occhi sul baldacchino che sormontava il seggio del giudice. Li fissò sul baldacchino, senza staccarli fino alla fine dell’interrogatorio, limitandosi a volgerli un attimo a Mr Chaffanbrass, quando costui prese a trattarla con particolare severità. Le risposte che diede a Mr Steelyard furono semplicissime. In vita sua non aveva sottoscritto che una firma, e ciò era avvenuto nella stanza di Sir Joseph. La natura del documento le era stata spiegata. «Ma a quei tempi», come disse lei, «ero giovane e sbadata, e quello che mi entrava da un orecchio, mi usciva dall’altro». Non ricordava che Mr Usbech avesse firmato, ma avrebbe potuto farlo. Lei credeva di no. Quanto alle due firme che passavano per sue, non poteva dire quale delle due fosse sua effettivamente. Ma su una cosa poteva giurare: non erano tutt’e due sue. Su questo non transigeva, e Mr Steelyard la lasciò a Mr Chaffanbrass. 

Bridget Bolster nella corte

Allora Mr Chaffanbrass si levò dal suo posto, e sapevano tutti che quel lavoro era pane per i suoi denti. Mr Furnival aveva trionfato. Si può dire che avesse demolito il suo testimone; ma si era trattato di un assai facile trionfo. Adesso occorreva demolire Bridget Bolster, ed era opinione comune che se qualcuno ne era capace, quello era Mr Chaffanbrass. Bridget Bolster però mostrava una caparbietà che indusse molti a dubitare persino del successo di Chaffanbrass. Mr Aram nutriva una enorme fiducia; ma il foro avrebbe preferito puntare i suoi quattrini su Bridget. 

Levandosi in piedi Chaffanbrass si scostò all’indietro la piccola e brutta parrucca, cacciandola piuttosto da un lato, poi, con il mento proteso in avanti e la bocca atteggiata a un perfido malevolo sorriso, stette in contemplazione di Bridget per qualche momento prima di rivolgerle la parola. Lei gli lanciò un’occhiata, tornando istantaneamente a fissare lo sguardo sul baldacchino. Poi giunse le mani sulla ringhiera di fronte, serrò le labbra e attese con pazienza. 

«Sbaglio, o avete detto di essere… una cameriera d’albergo?». Fu questa la prima domanda di Chaffanbrass, e Bridget Bolster trasalì leggermente nell’udire quella voce stridula, collerica, sgradevole. 

«Sì, signore, sono cameriera ai piani del Palmer’s Imperiai Hotel di Plymouth, nel Devonshire; sono lì da diciannove anni, fra prima e seconda». 

«Prima e seconda! Come sarebbe a dire?». 

«Quando ero di seconda, c’era un’altra sopra di me; e ora, visto che sono di prima, insomma, gli altri stanno sotto di me». Così spiegò il posto che occupava all’albergo, senza mai staccare lo sguardo dal baldacchino, però. 

«Non avevate cominciato come… cameriera d’albergo, quando firmaste quei documenti?». 

«Ne ho firmato solo uno». 

«Bene, uno dei documenti. Allora non avevate cominciato come cameriera d’albergo?». 

«No, ero domestica a Orley Farm». 

«E lì eravate di prima o di seconda?». 

«Beh, tutt’e due le cose, direi; o meglio: in casa la cuoca era di prima». 

«Oh, la cuoca era di prima. Perché non hanno chiamato lei a firmare?». 

«Che volete che vi dica? Era una bravissima donna - questo lo posso dire - si chiamava Martha Mullens». 

Finora Mr Chaffanbrass non aveva concluso granché; 

ma si trattava solo della schermaglia preliminare, simile a quella che precede il duello vero e proprio. 

«E ora, Bridget Bolster, se vi ho capito», disse, «avete giurato che quel 14 luglio avete firmato soltanto uno di quei documenti». 

«Ho firmato una sola volta, signore. Non ho detto nulla del 14 luglio, perché non ricordo». 

«Ma quando avete firmato quell’atto, non ne avete firmati altri?». 

«Né allora né mai». 

«Conoscete il reato per il quale la signora - Lady Mason - è sotto processo?». 

«Beh, non esattamente; è perché ha fatto qualcosa al testamento». 

«No, donna, non è per questo». Allora, mentre Mr Chaffanbrass alzava la voce e tuonava inferocito, Bridget Bolster trasalì di nuovo, con un leggero saltello. Ma subito riassunse la posizione di prima. «Nessuno ha osato accusarla di questo», continuò Mr Chaffanbrass, passando in rassegna i legali della controparte. «L’imputazione a suo carico è quella di spergiuro - di aver mentito durante la sua deposizione in un’aula di tribunale vent’anni or sono. Ora guardate, Bridget Bolster; guardatemi, dico». E lei lo guardò per un attimo, poi volse di nuovo lo sguardo al baldacchino. «Quant’è vero che siete una donna, vi ritroverete sotto processo per lo stesso reato - per spergiuro - se mi mentite in merito a questa faccenda». 

«Dirò solo quello che è giusto», disse Bridget. 

«Sarà meglio per voi. Ora guardate queste due firme», e le porse i due atti, anzi, li fece reggere a uno 

dei commessi del tribunale. «Quale di queste due firme non è di vostro pugno?». 

«Non posso dirlo, signore». 

«Quella più in là, l’avete messa voi - quella su cui poggiate la mano?». 

«Non posso dirlo, signore». 

«Guardatela, donna, prima di rispondere». 

Bridget la guardò, poi ripetè le stesse parole: «Non posso dirlo, signore». 

«E ora guardate l’altra». E la Bolster abbassò di nuovo lo sguardo per un attimo. «L’avete messa voi?». 

«Non posso dirlo, signore». 

«Giurerete di aver messo una delle due firme?». 

«Ne ho messa solo una, una sola volta». 

«Non tergiversate con me, donna. Avete messo una delle due firme?». 

«Immagino di averne messa una». 

«Giurerete di aver messo l’una o l’altra?». 

«Giurerò di averne messa una, una sola volta». 

«Giurerete di aver messo una delle due firme di fronte a voi? Sapete leggere, vero?». 

«Oh sì, certo». 

«Allora guardatele». E di nuovo vi posò gli occhi per meno di un attimo. «Giurerete di aver messo una delle due firme?». 

«No se ce n’è un’altra da qualche parte», disse infine Bridget. 

«Un’altra da qualche parte», disse Chaffanbrass, ripetendo le sue parole, «cosa intendete con un’altra?». 

«Se ne avete un’altra di qualcun altro, non dirò quale delle tre è di mio pugno. Ho messo una firma, e non una di più». 

Mr Chaffanbrass seguitò di questo passo per un bel pezzo, riportando però un assai mediocre successo. Poi lasciò perdere la storia delle firme, in verità l’unico punto di forza della deposizione, e tentò di farla cadere in contraddizione sul vecchio Usbech. Ma a questo proposito la Bolster non sapeva cosa dire. Ricordava bene che Usbech era presente, ma sul fatto che avesse firmato l’atto o meno, non pretendeva di dire nulla. 

«So che la gotta gli arrivava alle orecchie», disse, «ma non ricordo nient’altro». 

Va precisato che non appena Mr Chaffanbrass ravvisò la natura e l’indole della testimone, mutò radicalmente intenzioni e tattica nei suoi confronti. Scoprì ben presto che, a differenza di Furnival con Kenneby, non poteva farla cadere in contraddizione né smantellare la sua deposizione. Non c’era verso di innervosirla, né di costringerla a pronunziare parole delle quali ignorasse il significato. Più perseverava in quel tentativo, più lei s’incaparbiva e non faceva una piega. Perciò Chaffanbrass ci rinunciò poco dopo. Ci aveva già rinunciato quando la minacciò di accusarla di spergiuro, e decise che non potendo scuotere lei, avrebbe scosso l’eventuale fiducia che la giuria riponeva in lei. Non potendo farle fare la figura della stupida, l’avrebbe fatta passare per una lestofante. La sua deposizione sarebbe rimasta isolata, o quasi; in tal modo poteva sfruttare la sua fermezza, spiegando che la caparbia decisione di non discostarsi da un’unica semplice affermazione era dettata dalle istruzioni che le erano state appositamente impartite al fine di rovinare Lady Mason. E a tal fine la tempestò di domande per più di mezz’ora; insinuando che era in rapporti amichevoli con Dockwrath; chiedendole quanto l’avessero pagata per deporre; facendole ammettere di essere alloggiata gratis, oltre che servita e riverita. Le fece persino elencare le squisitezze che aveva mangiato quel mattino a colazione, e da ultimo riuscì a carpirle l’informazione di quel piccolo ma improvvido bicchiere di liquore. 

Fu allora, e soltanto allora, che la povera Bridget perse il controllo. Bistecche, salsicce, e frattaglie in padella, quantunque presi tre volte al dì, non erano un disonore per il suo genere di vita; ma quel goccino di brandy, preso dopo tante insistenze e in schietta e buona amicizia, le andò quantomai di traverso. «Quando uno dev’essere tormentato a questo modo, un goccio più del solito lo beve», disse infine. E furono le uniche parole dette da Bridget a riprova di un eventuale trionfo di Mr Chaffanbrass. Nondimeno costui si ritenne soddisfatto. Difficilmente un uomo reduce da trent’anni di trionfi del genere si sarebbe proposto di trionfare in quattro e quattr’otto su una povera cameriera. Non sarebbe tornato utile far dubitare la giuria di costei? Questo era il trionfo che desiderava. Personalmente Mr Chaffanbrass sapeva benissimo che la Bolster aveva detto nient’altro che la verità. Ma non era riuscito a far sì che il vero apparisse falso, o quantomeno aleatorio ? In tal caso, aveva colto il successo nel mestiere che faceva, senza curarsi di trionfare. 

Orley Farm
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