Sul «chi» e sul «come»
Potrei aggiungere, per inciso, che ritengo che alla parola «chi» venga talvolta conferita un’eccessiva potenza subliminale, come del resto ai pronomi personali «lui» e «lei» (forse ricorderete il mio breve scambio con Kellie sui pronomi applicati agli animali nel Capitolo 1). Negli anni Ottanta Pamela McCorduck scrisse una storia dell’intelligenza artificiale dal titolo provocatorio e ingegnoso Machines Wlio Think (traducibile in italiano, volendo, come: «Macchine pensanti: chi sono?»).89 Il pronome «chi» evoca un’immagine radicalmente differente dalle nostre associazioni automatiche con macchine standard come apriscatole, frigoriferi, macchine per scrivere e persino computer; suggerisce infatti che, almeno nel caso di certe macchine, «lì dentro» ci sia qualcuno, o, come direbbe Thomas Nagel, che «c’è qualcosa che si prova nell’essere quella macchina» (there is something it is like to he that machine, un’espressione, peraltro, difficile da tradurre dall’inglese in altre lingue). Inoltre, il pronome «chi» suggerisce implicitamente, ancora una volta, una netta dicotomia bianco/nero tra un insieme di ipotetiche «macchine come oggetti che pensano» (macchine simili penserebbero soltanto ma non avrebbero vita interiore) e un altro insieme di ipotetiche «macchine come soggetti che pensano» (queste macchine avrebbero una vita interiore e ognuna di esse sarebbe un particolare qualcuno).
Mi è spesso sembrato che in definitiva, quando penso a chi sono i miei amici più intimi, tutto si riduce a pensare come sono - come sorridono, come parlano, come ridono, come ascoltano, come soffrono, come condividono, e così via. In quei momenti penso dentro di me che l’essenza più intima di ogni amico è fatta di migliaia di questi «come», e che questa serie di «come» è la risposta - la piena risposta - alla domanda: «Chi è questa persona?».
Può sembrare che questa sia una prospettiva soltanto in terza persona, esterna, e che escluda, o persino neghi, l’intera prospettiva in prima persona. Può sembrare che io stia sminuendo l’io o lo stia perfino liquidando sbrigativamente. Tuttavia, non credo sia così, perché penso che, anche visto dall’interno, questo sia tutto ciò che costituisce un io. L’inghippo è che l’io è molto bravo a convincere sé stesso di essere molto più di questo - in realtà, è proprio questo il compito della parola «io»! L’io ha un interesse personale nel continuare questa truffa (anche se la sua vittima non è altri che sé stesso)!