Percezione condivisa, controllo condiviso
In un primo tempo avevo proposto che un io umano sia il risultato dell’esistenza di uno strano anello molto speciale nel cervello umano, ma ora vediamo che, siccome rispecchiamo molte persone all’interno dei nostri crani, ci saranno molti anelli di diverse dimensioni e gradi di complessità, ragion per cui dobbiamo affinare la nostra comprensione. Parte di questo affinamento si basa, come ho appena detto, sul fatto che uno di questi anelli in un dato cervello è privilegiato - ovvero mediato da un sistema percettivo che alimenta direttamente quel cervello. C’è un altro aspetto della questione, però, che ha a che fare con ciò che un cervello controlla piuttosto che con ciò che percepisce.
Il termostato di casa mia non regola la temperatura in casa vostra. Analogamente, le decisioni prese nel mio cervello non controllano il corpo che è cablato con il vostro cervello. Se voi e io giochiamo a tennis, è solo il mio braccio a essere controllato dal mio cervello! O almeno così sembrerebbe a prima vista. A una riflessione più attenta, però, questa appare chiaramente una semplificazione eccessiva, ed è qui che le cose cominciano nuovamente a farsi più sfumate. Io ho un controllo parziale e indiretto sul vostro braccio - dopotutto, ovunque io mandi la palla, è là che correte, e il mio tiro ha molto a che fare con il modo in cui muovete il vostro braccio. In una qualche maniera indiretta, dunque, il mio cervello può controllare i vostri muscoli durante una partita a tennis, ma non è una maniera molto affidabile. Allo stesso modo, se freno di colpo mentre sto guidando su una strada, anche la persona dietro di me frenerà di colpo. Ciò che accade nel mio cervello esercita un minimo di controllo sulle azioni di quel guidatore, ma è un controllo impreciso e inaffidabile.
Il tipo di controllo esterno appena descritto non crea un’unione profonda dell’identità di due persone. Il tennis e la guida non danno luogo a intense compenetrazioni di anime. Ma le cose diventano più complicate quando entra in scena il linguaggio. È soprattutto attraverso il linguaggio che i nostri cervelli possono esercitare un discreto grado di controllo indiretto sui corpi di altri esseri umani - un fenomeno ben noto non solo a genitori e caporali istruttori, ma anche a pubblicitari, consulenti politici e teenager imploranti e piagnucolosi. Attraverso il linguaggio, i corpi di altre persone possono diventare estensioni flessibili dei nostri stessi corpi. In questo senso, dunque, il mio cervello è connesso al vostro corpo più o meno nello stesso modo in cui lo è al mio - solo che, ancora una volta, la connessione non è cablata. Il mio cervello è collegato al vostro corpo tramite canali di comunicazione molto più lenti e indiretti di quelli che lo uniscono al mio corpo, quindi il controllo è molto meno efficiente.
Per esempio, io scrivo la mia firma infinitamente meglio con la mia mano di quanto potreste farlo voi se vi descrivessi tutti i minuscoli dettagli delle molte curve che io traccio in maniera così scorrevole e inconscia ogni volta che, per esempio, firmo una ricevuta alla cassa del supermercato. Ma l’idea iniziale che vi sia una distinzione fondamentale e assoluta tra come il mio cervello è collegato al mio corpo e come è collegato al corpo di qualcun altro può considerarsi esagerata. C’è una differenza di livello, questo è chiaro, ma non è chiaro che vi sia una differenza di genere.
Dove siamo arrivati finora parlando dell’intrecciarsi delle anime? Abbiamo visto che io posso percepire, indirettamente, le vostre percezioni, e che posso anche controllare, indirettamente, il vostro corpo. Allo stesso modo, voi potete percepire indirettamente le mie percezioni (è quello che state facendo proprio adesso!) e potete controllare indirettamente il mio corpo, almeno un po’. Abbiamo anche visto come i canali di comunicazione siano abbastanza lenti da permettere l’esistenza di due sistemi abbastanza separati, ai quali perciò possiamo dare senza problemi nomi diversi. Il fatto che noi esseri umani abbiamo corpi nettamente separati (a eccezione delle unioni madre-feto e gemelli siamesi) rende del tutto naturale assegnare un nome diverso a ciascun corpo, e a tutta prima l’atto di assegnare nomi distinti a corpi distinti sembra chiudere la questione una volta per tutte. «Io Tarzan, tu Jane.» La nostra abituale pratica di attribuire nomi non solo ci conferma, ma ci aiuta enormemente a installarci nella confortevole idea che noi - con i nostri sé - siamo entità nettamente separate. «Io Tarzan, tu Jane» - fine della storia.
Il linguaggio gioca tuttavia un ulteriore ruolo in questo processo di stabilire un determinato corpo come luogo privilegiato e circoscritto di una determinata identità. Non solo ci fornisce univocamente un nome per ciascun corpo («Tarzan», «Jane»), ma ci fornisce anche dei pronomi personali («io», «tu») che sono efficaci quanto i nomi nel consolidare l’idea di una distinzione netta e inequivocabile tra anime, distinzione che associa a ogni corpo un’anima a chiusura ermetica. Diamo dunque a questa idea un’occhiata un po’ più da vicino.