Che creduloni che siamo!
Le preoccupazioni su cui è imperniata la storia in due parti di Parfit sono chiaramente quelle che assillavano SA 642. Nella prima parte, ci chiediamo con ansia insieme a Parfit se veramente lui esisterà ancora dopo essere stato atomizzato sulla Terra e se i segnali che trasportano il suo progetto ultradettagliato avranno raggiunto Marte e diretto la costruzione di un nuovo corpo; temiamo che la persona ricostruita sarà solamente qualcuno che assomiglia esattamente a Parfit e pensa esattamente come Parfit, ma non è Parfit. Presto, tuttavia, tiriamo un sospiro di sollievo scoprendo che le nostre preoccupazioni sono infondate: è stato proprio Parfit a farcela, fino all’ultimo graffio. Benissimo! E come sappiamo che ce l’ha fatta? Perché è stato lui a dircelo! Ma quale «lui» ci dà questa buona notizia? Questo Derek Parfit è l’autore filosofo, o è il Derek Parfit intrepido viaggiatore dello spazio?
E’ il Parfit viaggiatore dello spazio. In effetti, il Parfit filosofo sta solo raccontando una bella storia, facendo del suo meglio per renderla, oh, così terribilmente realistica, ma presto scopriamo che, di fatto, non crede a diverse parti del suo stesso racconto. Il secondo episodio della sua storia fantastica parte contraddicendo il primo. Quando scopriamo che il nuovo scanner, al contrario del vecchio, non distrugge l’«originale», abbracciamo subito l’idea inespressa che Parfit, l’intrepido viaggiatore dello spazio, non ha viaggiato da nessuna parte. Non dubitiamo che sia lui a mettere piede fuori del cubicolo sulla Terra, perché lui è ancora qui.
Oh, ma siamo proprio dei polli! Mentre abbiamo comprato a scatola chiusa il tema «teletrasporto uguale viaggio» dell’Episodio I, abboccando all’amo come allocchi, nell’Episodio II sembriamo aver preso d’emblée la via più facile, che recita grossomodo: «Se ci sono due cose differenti che assomigliano a Derek Parfit, pensano come lui e le sparano grosse come lui, e se una di quelle cose si trova dove l’ultima volta abbiamo visto Parfit e l’altra è da tutt’altra parte, allora, per amor del cielo, quello vicino è ovviamente quello reale, e quello lontano è soltanto una copia - un clone, una contraffazione, un impostore, un falso».
Qui c’è già molto su cui meditare. Se la copia su Marte è un falso nell’Episodio II, perché non lo era nell’Episodio I? Perché siamo stati così sprovveduti quando abbiamo letto l’Episodio I? Ingenuamente ci siamo bevuti il sorriso rassicurante di sua moglie a colazione, e poi, quando ha messo piede fuori del cubicolo marziano, quel taglio rivelatore sulla sua faccia ci ha persuaso oltre ogni dubbio. Abbiamo preso per buona la sua affermazione che era davvero lui che stava mettendo piede fuori del cubicolo. Ma cos’altro ci saremmo potuti aspettare? Che il corpo appena nato mettesse piede fuori del cubicolo e proclamasse: «Oh, che orrore, non sono io! Sono qualcun altro che soltanto mi assomiglia, e che ha tutti i miei ricordi fin dalla più tenera infanzia, e perfino il mio ricordo della colazione con mia moglie avvenuta soltanto pochi minuti fa! Io sono solo un’imitazione, ma come sono venuta bene!».
E’ del tutto ovvio che il marziano ricostruito non pronuncerà nulla di così sconnesso, perché non avrebbe alcun modo di sapere che è un falso. Crederebbe in tutto e per tutto di essere l’originale Derek Parfit, disintegrato solo qualche attimo prima nello scanner sulla Terra. Dopotutto, questo è ciò che il suo cervello gli direbbe, dato che è identico al cervello di Derek Parfit! Il che mostra che dobbiamo trattare le affermazioni di identità personale, anche quelle che provengono direttamente dalla bocca di chi le pronuncia in prima persona, con estrema cautela.
E dunque, alla luce del nostro nuovo atteggiamento con i piedi per terra, che cosa dovremmo pensare dell’Episodio II? Ci è stato detto che il Parfit sedicente viaggiatore dello spazio ha invece messo piede fuori del cubicolo sulla Terra, e con un danno al sistema cardiaco. Ma come facciamo a sapere che proprio quello lì è Parfit? Perché il Parfit narratore non ci ha raccontato la storia dal punto di vista del nuovo marziano che anche lui chiama sé stesso «Derek Parfit»? Supponiamo che la storia fosse stata raccontata in questo modo: «Nel momento in cui ho messo piede fuori del cubicolo marziano, mi hanno dato la terribile notizia che l’altro Parfit - quel poveraccio laggiù sulla Terra - aveva subito un danno al sistema cardiaco durante la mia trasmissione quassù. Ricevere questa notizia è stato devastante. Poco dopo lui e io abbiamo parlato al telefono, e io mi sono trovato nella strana condizione di provare a consolarlo proprio come avevo consolato poco tempo prima un amico morente…».
Se il tutto fosse stato raccontato in modo sufficientemente scorrevole, forse non avremmo resistito al pensiero che questo corpo, quello su Marte, è realmente Derek Parfit. Infatti, il Derek Parfit abile filosofo-narratore potrebbe addirittura averci indotto a immaginare che il corpo terrestre con il sistema cardiaco danneggiato era solo un semplice aspirante all’Anima Unica collegata per nascita e per decreto divino al nome «Derek Parfit».