Intellettuali che hanno paura degli anelli a feedback
Molti anni più tardi, quando tenevo una rubrica mensile per la rivista «Scientific American» intitolata «Metamagical Themas», dedicai un paio dei miei articoli al tema dell’autoreferenzialità nel linguaggio,28 e in essi presentavo una copiosa serie di frasi inventate da me, da alcuni amici e da non pochi lettori, comprendenti alcuni notevoli e provocatori slanci di fantasia, tipo questi:
Se i significati di «vero» e «falso» venissero scambiati, questa frase non sarebbe falsa.
Non è che questa frase solamente.29
La frase seguente è totalmente identica a questa, tranne che le parole «seguente» e «precedente» sono state scambiate, così come le parole «tranne» e «visto», e le espressioni «identica a» e «diversa da».
La frase precedente è totalmente diversa da questa, visto che le parole «precedente» e «seguente» sono state scambiate, così come le parole «visto» e «tranne», e le espressioni «diversa da» e «identica a».
Questa analogia è come alzarsi in piedi tirandosi su per le stringhe delle scarpe.
Queta frase non è autoreferenziale perché «queta» non è una parola.
Se i desideri fossero cavalli, l’antecedente di questa frase condizionale sarebbe vera.
Questa frase una parola tre, ma può capire stesso.
Se pensate che questa frase sia disorientante, allora cambiate una gallina.
Come mai questa espressione nominale non denota la stessa cosa di questa espressione nominale?
Uea ae o oiee ooai e a euee o oiee oai.
Qst frs nn cntn vcl 1 prcdnt nn cntn cnsnnt.
Questa frase ha diciannove a, una b, nove c, dieci d, quattordici e, due f, una g, due h, diciotto i, una j, una k, una 1, una m, diciotto n, dieci o, una p, sette q, cinque r, quattro s, quindici t, venti u, quattro v, una w, una x, una y, e una z.30
Benché avessi ricevuto dai lettori una gran quantità di feedback (se mi è consentito il termine) positivi, ricevetti anche alcuni feedback molto negativi riguardanti quello che alcuni lettori ritenevano pura e semplice frivolezza in una rivista altrimenti rispettabile. Uno dei più veementi oppositori fu un docente di pedagogia dell’Università del Delaware, che citava il famoso psicologo del comportamento B.F. Skinner sul tema delle frasi autoreferenziali:
Forse non vi è alcun male nel giocare in questo modo con le frasi o nell’analizzare i tipi di trasformazioni che rendono o non rendono accettabili le frasi al lettore normale, ma è pur sempre uno spreco di tempo, specie quando le frasi così generate non possono essere state emesse come comportamento verbale. Un esempio classico è un paradosso, come per esempio «Questa frase è falsa», che sembra essere vera se falsa e falsa se vera. La cosa importante da considerare è che nessuno potrebbe aver emesso la frase come comportamento verbale. Una frase deve già esistere prima che un parlante possa dire «Questa frase è falsa» e la risposta stessa non sarà di nessuna utilità, dal momento che non esiste finché non è stata emessa.13
Questo tipo di reazione automatica di rigetto nei confronti anche solo della possibilità che qualcuno possa proferire in modo sensato una frase autoreferenziale era qualcosa che non conoscevo, e mi prese alla sprovvista. Riflettei a lungo e intensamente sulla lamentela del professore di pedagogia, e nel successivo numero della rivista scrissi una lunga replica,14 citando un caso dopo l’altro di autoreferenzialità plateale e spesso utile, addirittura indispensabile, nella normale comunicazione umana così come in umorismo, arte, letteratura, psicoterapia, matematica, informatica, e così via. Non ho idea di come la presero lui o altri oppositori dell’autoreferenza. Quello che mi rimase, comunque, fu il rendermi conto che alcune persone di elevata istruzione e per altri versi razionali sono irrazionalmente allergiche all’idea dell’autoreferenza, o all’idea di strutture o sistemi che si ripiegano su sé stessi.
Ho il sospetto che una tale allergia derivi, in ultima analisi, da un timore profondamente radicato del paradosso o dell’esplosione (metaforica) dell’universo, qualcosa di simile al panico manifestato dal commesso del negozio di televisioni quando minacciai di puntare la videocamera sul televisore. Il contrasto fra il mio perenne deliziarmi di questi anelli e la reazione allergica nei loro confronti da parte di persone come Bertrand Russell, B.E Skinner, questo professore di pedagogia e il venditore di televisori mi ha insegnato una lezione perenne nella «teoria dei tipi» - e cioè che al mondo esistono effettivamente «due tipi» di persone.