Anelli a feedback intrecciati
Per analizzare in concreto l’idea di due strani loop coesistenti in un’unica testa, partiamo da una lieve variazione della nostra vecchia metafora televisiva. Supponiamo che due videocamere e due televisori siano sistemati in modo che la videocamera A alimenti lo schermo A e, a una certa distanza, la videocamera B alimenti lo schermo B. Supponiamo, inoltre, che in ogni momento la videocamera A riprenda tutto quello che compare sullo schermo A (più qualche oggetto vicino, per dare «contenuto» al loop A) e lo immetta di nuovo in ciclo su A, e che, analogamente, la videocamera B riprenda tutto quello che compare sullo schermo B (più qualche contenuto esterno) e lo immetta di nuovo in ciclo su B. Ora, siccome i sistemi A e B sono, come stabilito, distanti uno dall’altro, è intuitivamente chiaro che A e B costituiscono anelli a feedback separati e disgiunti. Se le scene locali riprese dalle videocamere A e B sono diverse, allora sugli schermi A e B ci saranno pattern chiaramente distinguibili, cosicché le «identità» dei due sistemi potranno essere facilmente distinte l’una dall’altra. Finora questa metafora ci ha solo ripresentato una vecchia conoscenza - o meglio due vecchie conoscenze, ciascuna con un proprio loop al suo interno.
Che cosa succede, però, se i sistemi A e B vengono gradualmente avvicinati quanto basta per cominciare a interagire l’uno con l’altro? In questo caso la videocamera A vedrà non solo lo schermo A ma anche lo schermo B, e così il loop B entrerà a far parte del contenuto del loop A (e viceversa).
Assumiamo che, come parrebbe naturale, la videocamera A sia più vicina allo schermo A di quanto non lo sia allo schermo B (e viceversa). Allora il loop A occuperà più spazio sullo schermo A, ovvero più pixel, di quanto non faccia il loop B, e così il loop A verrà riprodotto sullo schermo A con maggiore fedeltà. Il loop A sarà grande e «a grana fine», mentre il loop B sarà piccolo e «a grana grossa». Ma questo soltanto sullo schermo A. Sullo schermo B, tutto è rovesciato: il loop B sarà più grande e a grana più fine, mentre il loop A sarà più piccolo e a grana più grossa. L’ultima cosa che vorrei ricordarvi prima di passare a un nuovo paragrafo è che adesso il loop A, benché venga ancora chiamato semplicemente «A», coinvolge nondimeno anche il loop B (e viceversa); ciascuno di questi due loop gioca ora un ruolo nel definire l’altro, anche se il loop A gioca un ruolo maggiore nella propria definizione rispetto a quanto non faccia il loop B (e viceversa).
Abbiamo ora una metafora per due individui, A e B, ciascuno dei quali ha la propria identità personale (cioè il suo strano anello privato) - eppure parte di quella identità privata è tratta, e quindi dipende, dall’identità privata dell’altro individuo. Per giunta, quanto più fedele è l’immagine di ciascuno schermo sull’altro, tanto più le identità «private» dei due anelli sono intrecciate, e tanto più esse cominciano a essere fuse, indistinte, nonché, per coniare una nuova parola, «indisaggrovigliabili» l’una dall’altra.
A questo punto, pur essendo guidati soltanto da una curiosa metafora tecnologica, credo che ci stiamo lentamente avvicinando a una comprensione di ciò che in fondo è un’autentica identità umana. E in effetti, come si può pensare di ottenere un’intuizione profonda del mistero dell’identità umana senza imbattersi prima o poi in qualche insolita struttura astratta? Sigmund Freud aveva postulato l’esistenza di Es, Io e Super-io, e all’interno dell’architettura di un’anima umana potrebbero benissimo esserci alcune astrazioni di questo tipo (magari non proprio quelle tre, ma pattern della stessa specie). Noi esseri umani siamo così diversi dagli altri fenomeni naturali, perfino dalla maggior parte degli altri generi di esseri viventi, da doverci aspettare che, per poter intravedere qualcosa di ciò che siamo veramente, sia per noi necessario guardare nei luoghi più inaspettati. Benché i miei strani anelli siano chiaramente molto diversi dalle nozioni freudiane, fra i primi e le seconde c’è una certa somiglianza nello spirito. Entrambi i punti di vista sulla natura del sé postulano l’esistenza di pattern astratti che sono lontanissimi dal substrato biologico in cui risiedono - così lontani, di fatto, che le specificità del substrato sembrerebbero essere largamente irrilevanti.