La chimica e la sua mancanza
A mio giudizio, il miglior esempio dell’idea di una maggiore o minore corrispondenza o «sintonia» tra le anime sono i gusti musicali. Non dimenticherò mai quello che accadde, più di trent’anni fa, quando una mia amica pianista mi parlò in tono entusiastico del Secondo Concerto per violino di Bartók e insistette perché io lo ascoltassi. Era un modo per ricambiare il fatto di averle fatto conoscere, qualche anno prima, uno dei più entusiasmanti e commoventi brani musicali che conoscevo - il Terzo Concerto per pianoforte di Prokof’ev. In quell’occasione, lei era entrata in profonda sintonia con l’ultimo movimento del pezzo di Prokof’ev, il che sembrava indicare che fossimo più o meno sulla stessa lunghezza d’onda in fatto di musica; perciò, presi molto sul serio il suo appassionato elogio del Secondo Concerto per violino di Bartók. Per allettarmi, mi disse che Bartók non solo usava ripetutamente un accordo del pezzo di Prokof’ev che era il suo preferito, ma lo usava meglio. Non occorreva dicesse altro! Uscii immediatamente e andai a comprare il disco. Quella sera, carico di aspettative, lo misi sul piatto e lo ascoltai con attenzione. Con mia grande delusione, non ne fui minimamente colpito. Era una cosa veramente strana. Lo riascoltai. E poi ancora una, due, tre volte. Nell’arco di un paio di settimane, devo aver ascoltato quel pezzo tanto decantato almeno una decina se non una ventina di volte, eppure non accadde mai nulla dentro di me, tranne un minimo interesse suscitato da una sezione centrale di quindici secondi. Potreste definirlo impunto cieco - o un punto sordo - dentro di me, oppure, e lo preferirei, potreste semplicemente dire che la mia anima e quella di Bartók «calzavano» pochissimo. Una conclusione confermata più e più volte con altri brani di Bartók, tanto che oggi sono abbastanza sicuro di quello che accadrà (o piuttosto non accadrà) dentro di me ascoltando Bartók. Anche se mi piacciono alcuni piccoli brani (basati su canzoni popolari) che ha scritto, il grosso della stia produzione non mi dice nulla. E così la mia sensazione che questa amica e io avessimo molto in comune dal punto di vista musicale è molto dominuita, tanto che in seguito il nostro rapporto di amicizia si è allentato.
Dopo aver scritto questo capoverso, mi è venuta la curiosità di verificare se un ricordo di trent’anni fa potesse rivelarsi infondato, o se nel frattempo la mia anima si fosse magari aperta a nuovi orizzonti musicali, così sono andato dritto al mio giradischi (sì, quello per dischi in vinile), ho messo su ancora una volta il Secondo Concerto per violino di Bartók e l’ho ascoltato con attenzione dall’inizio alla fine. La mia reazione è stata assolutamente identica. Per me, il pezzo sembra soltanto vagare e vagare, senza arrivare mai da nessuna parte. Ascoltandolo, mi sento come un campo magnetico che si getti a capofitto su un superconduttore - non ci può entrare neppure per un micron! Nel caso questa fosse una metafora troppo esoterica, diciamo semplicemente che mi blocco di colpo proprio in superficie. E qualcosa che per me non ha il benché minimo significato; è musica scritta in una lingua impenetrabile. E come guardare un libro scritto in un alfabeto alieno. Intuite che dietro c’è una qualche forma di intelligenza - forse grandissima! - ma non avete idea di cosa stia dicendo.
Racconto nei dettagli questo aneddoto piuttosto malinconico perché è emblematico di tutta una serie di esperienze che accadono nel corso della vita, che hanno a che fare con ciò che gli anglosassoni, in mancanza di una parola migliore, chiamano «chimica» tra le persone. Semplicemente, tra Bartók e me non c’è chimica. Rispetto la sua intelligenza, la sua forza creativa e le sue elevate qualità morali, ma non ho idea di che cosa faceva battere il suo cuore. Non il benché minimo indizio. D’altra parte, potrei dire lo stesso di migliaia di persone - così come ci sono quelle per le quali vale con altrettanta forza il contrario. Per esempio, non esiste alcun brano musicale al mondo che significhi tanto per me quanto il Primo Concerto per violino di Prokof’ev, scritto a soli pochi anni di distanza dal concerto di Bartók. (In effetti, con mio grande sconcerto, ho addirittura visto i due concerti citati insieme, come se fossero fatti della stessa stoffa. Potranno avere in comune qui e là alcuni caratteri superficiali, ma per me sono diversi come Bach ed Eminem.) Mentre il concerto di Bartók mi scivola via di dosso senza alcun effetto, quello di Prokof’ev fluisce nelle mie fibre come un elisir infinitamente inebriante. Mi parla, si libra dentro di me, mi infiamma, alza al massimo il volume della vita.
Non serve continuare, perché sono sicuro che ogni lettore ha avuto esperienza di affinità e non-affinità di questo tipo - forse addirittura con i concerti per violino di Bartók e Prokof’ev in maniera diametralmente opposta alla mia, ma anche in questo caso il messaggio che sto cercando di trasmettere risulterà ugualmente chiaro. La musica mi pare sia una via diretta al cuore, o tra i cuori - in realtà, la più diretta. Una totale affinità di gusti musicali, inclusi sia amori sia odi - qualcosa in cui ci si imbatte molto di rado - è un indicatore dell’intesa fra anime tra i più affidabili che abbia mai trovato. E un’intesa tra anime significa che le persone coinvolte possono rapidamente arrivare a conoscere l’essenza l’una dell’altra, e hanno una grande potenzialità di vivere l’una nell’altra.