Capitolo 37

Poteva sentire i bassi provenire dalle cuffie che giacevano accanto al cuscino. Non riuscì a riconoscere la canzone, cosa che la irritò. Chiuse gli occhi, si rimise le cuffie sulle orecchie e tentò di ritrovare quello stato di fluidità in cui la musica l’aveva condotta, ma non era pronta. Era solo un rumore stressante. In quel preciso momento aveva bisogno di concentrarsi.

Spense la musica e si distese sulla schiena con le mani sotto la testa.

Arthur l’aveva sorpresa. Raven non aveva mai sperimentato quel lato di lui prima di allora. Sapeva bene a cosa aveva alluso molto tempo addietro, ma a quell’epoca lui non aveva manifestato un interesse degno di nota, quindi non si era aspettata che ora le facesse una simile pressione. La gente poteva cambiare personalità in una situazione di stress, ma ai Bambini non accadeva quasi mai. Arthur aveva menzionato di avere problemi causati dai ricordi, ma secondo Raven non aveva modificato la sua personalità. Era più come se alcuni dei suoi lati fossero stati rinforzati.

Si morse un’unghia troppo cresciuta. Prima di cominciare, avrebbe dovuto informare il Consiglio.

Forse.

Più di tutto aveva voglia di sedersi su un pullman diretto a Yellowstone il più in fretta possibile, ma purtroppo Arthur aveva ragione. Era più utile là dove si trovava.

Un altro pensiero la colpì: quella notizia avrebbe portato gli altri del Consiglio a rivelare alcuni dei loro segreti? C’era sempre stata la regola non scritta che non ci si doveva immischiare in ciò che facevano gli altri, o nel modo in cui lo facevano, ma in quel preciso momento Raven aveva proprio voglia di sapere quale contributo avevano da dare. Anche il fatto che non aveva dubitato di Arthur nemmeno per un secondo la preoccupava. Non era per niente da lei.

Si alzò dal letto e andò a prendere il computer. Nella testa le si materializzarono delle liste, una per ciascuno dei mini-progetti che doveva portare a termine per avere tutto pronto. La cosa più importante era informare il Consiglio, quello purtroppo non si poteva aggirare. E per una volta tanto Raven non aveva la minima idea di come avrebbero reagito. Solo il fatto che il codice da lei usato per contattarli era quello per ‘catastrofe’ sarebbe stato sufficiente a farli partecipare alla riunione con un atteggiamento diverso dal solito.

Digitò le ultime quattro cifre del codice.

Ci vollero trenta minuti.

Raven fu sorpresa dalla rapidità della reazione. Chiamò la centrale e attivò il modus conferenza. Uno dopo l’altro si connessero.

«Merde» disse Mani con una voce da cui si intuì che era stato strappato al profondo del sonno.

«Se avessi saputo che questa funzione sarebbe stata usata per davvero, avrei scelto qualcos’altro» fece eco Amon in tono irritato.

«Be’, ecco la lezione per non aver riflettuto sulle tue scelte» disse Anko, ma non senza una nota di simpatia nella voce.

«Spero che valga il casino che dovrò passare qui dopo» disse Amon, e tossì allontanando il microfono.

«Allora, cos’è questa dannata catastrofe?» chiese Mani.

«Il nostro caro Paolo probabilmente ha una bomba atomica, e vuole farla esplodere sotto il Parco di Yellowstone» rispose Raven.

In linea ci fu silenzio assoluto.

«Balle!» esclamò Mani.

«Non credo, purtroppo» ritorse Raven.

«È stato Eshu a scoprirlo?» domandò Amon.

«Spiega un po’» fu tutto ciò che disse Anko.

Raven spiegò loro la storia così come gliel’avevano raccontata.

«E tu gli credi?» esclamò Mani. «Non so quale sia l’idiozia più grande, la storia in sé o il fatto che tu ci creda. Questa è proprio una bufala».

Raven se lo immaginò che roteava leggermente gli occhi, come faceva sempre.

«Se vuoi usare qualche dio come modello esplicativo invece degli alieni» rispose, «fa’ pure. In ogni caso, continuiamo ad avere un problema».

«E questi documenti, i risultati della ricerca, quando te li manda?» chiese Anko.

«Verranno caricati sul nostro server appena possibile. Alcuni sono già reperibili. Dovreste leggerli subito».

«Cosa ha pensato di fare?» volle sapere Anko.

«Mi ha chiesto di procurargli un jet privato. Immagino che partano subito, ma il piano non è ancora del tutto pronto. Vuole che io mi infiltri nel sistema informatico della National Security Agency».

Imprecazioni volarono sulla linea.

«Dovevi proprio suggerirglielo?» chiese Mani.

«Io non ho suggerito un bel niente» disse Raven. «Non l’ho neanche menzionato, ma può essere una mossa furba considerato cosa vuole ottenere Eshu».

«Ne abbiamo già discusso una volta» disse Amon. «Non è un’alternativa. Non possiamo operare in questo modo, è semplicemente troppo rischioso». Dal tono della sua voce sembrava che si fosse stufato di parlarne, anche se ne avevano discusso solo brevemente in precedenza.

«Questo non è lo stesso progetto. Credi che possiamo mandare una mail alla Casa Bianca e tutti i problemi verranno risolti? No. Da soli non ce la possiamo fare. Il nostro punto di forza è tutto il tempo a nostra disposizione, ma in questo momento di tempo non ne abbiamo. Ci serve aiuto, e subito. Ci serve qualcosa che faccia svegliare di brutto le autorità. L’idea è appunto che sia facile per loro rintracciare la fonte dell’infiltrazione fino a scoprire i documenti che rivelino il piano di un’azione terroristica. Allo stesso tempo approntiamo delle caselle di posta false che loro terranno sotto controllo. In quel modo possiamo far trapelare informazioni quando ne avremo bisogno». Raven lasciò a malapena che il silenzio facesse effetto. «Se voi avete qualche idea, ditelo pure».

Per un attimo fu incerta su cosa si augurava di più: se ricevere il consenso per mettere in atto la sua idea, o poter condividere anche lei le risorse cui avevano accesso gli altri.

«Tu hai già deciso di farlo, qualunque cosa diciamo» dichiarò Amon.

Raven non aveva ancora preso una decisione, ma non lo contraddisse. Essere prevedibile era noioso.

«Avete altre idee sì o no?»

Qualcuno in linea sospirò rassegnato.

«Forse» disse Anko. «Ma prima devo controllare un bel po’ di cose».

«Come farai, Raven?» chiese Mani.

Raven sorrise tra sé. «Le ragazze non spiattellano mica i loro segreti così, lo sai bene».

«Oh, se ci riesci non ce la farai mai a trattenerti dal raccontarlo».

Le dita si strinsero intorno al filo. Era decisamente diventata troppo prevedibile.

«Mettiamo che sia vero» disse Amon. «Perché dovremmo cercare di fermarli? Una catastrofe del genere non potrebbe essere quello che finalmente ci risveglierebbe e ci lascerebbe diventare tutti adulti?»

«Vuoi che questa frase sia messa nel verbale che leggerà anche Gabriel?» chiese Anko, con una voce che Raven conosceva fin troppo bene.

«Sì, e perché diavolo non dovrebbe? Me ne frego di quale sia la visione di Gabriel in questo momento. È una domanda appropriata. Sì, se il vulcano esplode molti moriranno, ma tanto tutti muoiono prima o poi. Voi sapete bene al pari di me cosa possiamo fare se a tutti i Bambini sarà concesso diventare adulti. Se là fuori ci sono esseri che vogliono ridurci in poltiglia, perché non dovremmo approfittare dell’occasione per rispondere all’attacco come si deve? Qualcuno mi può rispondere?»

Raven stava per dire qualcosa, ma Anko la precedette. «E se non veniamo risvegliati? E questa catastrofe in ogni caso è soltanto l’inizio. È vero, con il nostro sapere possiamo governare meglio gli uomini, ma questo presuppone che ci sia rimasto qualcuno da governare. Ci sono delle scelte che non si fanno e basta. Ma come sempre possiamo fare come vogliamo noi, quindi se tu, Amon, desideri stare fermo a guardare la distruzione, prego, fai pure. Ma questa discussione è finita. Come sta Eshu?»

Raven non sapeva bene cosa rispondere. «Le sue condizioni sono stabili, ma è cambiato. Quanto non lo so, e credo che neanche lui sia in grado di spiegarlo. E poi è impossibile dire quale sia stata la causa. Può essere stato il risveglio, o i nuovi ricordi, la situazione in sé oppure una combinazione di tutti questi fattori. Io sarei volentieri corsa a raggiungerlo il prima possibile, ma non posso farlo finché non abbiamo finito qui».

«E il resto del Network?» chiese Mani. «Dobbiamo informarli?»

«Perché no?» chiese Raven.

«Perché siamo un manipolo di individui» ribatté Mani.

Raven dovette ammettere che aveva ragione.

«Gli altri possono aspettare un po’, ma credo che noi dobbiamo preparare qualcosa» dichiarò Anko. «Dovremmo anche controllare se qualcuno può aiutarci a verificare le valutazioni geologiche effettuate. Credo che sia un vantaggio se riusciamo a parlare con Eshu entro breve».

«E se mandassimo qualcuno nel Galles?» propose Raven.

«Posso vedere se ho una persona adatta» rispose Mani.

Discussero brevemente di quali fossero le immediate priorità, e per una volta tanto non si trovarono in disaccordo. Conclusero la riunione e stabilirono un nuovo incontro di lì a due giorni.

Raven aveva già scaricato tutti i diversi software che le servivano, più il codice di programmazione criptato che aveva suddiviso e distribuito in posti diversi. Fin da quando lei aveva concepito l’idea, era stato sviluppato con l’unico scopo di attaccare l’infrastruttura delle autorità. Quella volta lo scopo era tutt’altro, ma non si era mai dimostrato necessario. Il mondo si era stabilizzato da solo. In ogni caso ci sarebbero voluti tre giorni prima che Raven fosse stata pronta a cominciare. Doveva anche impadronirsi di uno degli innumerevoli network illegali di computer privati che si trovavano in rete. Calcolava che un botnet di due-tremila apparecchi sarebbe bastato.

Il fatto più irritante era che doveva sacrificare uno dei suoi migliori depositi per l’archiviazione di dati. Il trucco era creare materiale abbastanza difficile da decriptare che sembrasse autentico alla NSA, ma allo stesso tempo non troppo difficile. L’unico modo per farlo era utilizzare tecniche che, se implementate nel modo corretto, sarebbero state impossibili da penetrare. Ma ciò presupponeva che chi riceveva il materiale fosse abbastanza bravo da poter cercare difetti del genere e trovarli in fretta.

Purtoppo, significava anche che potevano passare poche ore come diversi giorni prima che gli esperti si impossessassero dei documenti. Era ben lungi da una situazione ottimale, ma Raven non vedeva altra via d’uscita. E poi c’era una domanda alla quale ancora non aveva trovato risposta: cosa doveva fingere di voler rubare dalla NSA?

Continuò a tessere piani fino a notte fonda.

 

 

Ci volle un tempo sorprendentemente lungo per procurarsi un jet privato. E non era stato certo economico, ma Raven non aveva né tempo né voglia di cercare l’offerta migliore. L’importante era che a Parigi ci fosse un jet pronto ad attendere Arthur e Nathaniel quando fossero tornati dal Galles.

Si stava preparando a continuare la programmazione quando arrivò la mail di Arthur. Era criptata, e Raven dovette provare diverse combinazioni di password prima di riuscire ad aprirla.

Era una lista impressionante di proposte di equipaggiamento, e Raven capì come mai Arthur ne aveva criptato il contenuto: c’erano troppe parole che sarebbero state facilmente intercettate da sistemi di sorveglianza come Echelon. L’email avrebbe fatto scattare qualunque allarme. Raven cercò su Google le proposte di attrezzatura per ottenere maggiori dettagli, aggiunse alcuni punti alla lista e la postò su un forum a cui avevano accesso pochissime persone. Per una volta sperò che i suoi contatti non si facessero alcuno scrupolo.