Capitolo 6

Nathaniel sedeva in una posizione yoga al centro del pavimento nel suo appartamento, e fissava la lavagna bianca che aveva appeso alla parete. Era piena di lunghe equazioni. Numeri, lettere e simboli matematici, scritti in piccolo con cura in pennarello nero e rosso, in linee perfettamente rette come se al di sotto ci fossero state delle righe invisibili. Poco o niente rivelava il caos di idee e pensieri che c’era dietro. Nathaniel girò il cellulare, che era appoggiato sul pavimento accanto a lui. Era più tardi di quanto avesse creduto, nonostante avesse notato che la stanza si era fatta più buia. Si rialzò con un gemito: uno dei piedi gli si era intorpidito, e formicolava sotto la pianta. Nathaniel accese la luce, che lo ferì agli occhi. La matematica purtroppo non era di nessun aiuto. Aveva controllato i risultati più volte, e tutti erano della stessa intensità, con una eccezione. Qualcosa che probabilmente era significativo, solo che non sapeva il perché. Era tuttora convinto che il satellite avesse rilevato degli esseri umani. In ogni caso non si trattava di interferenze casuali: se lo fossero state, circa la metà dei risultati sarebbe stata sparsa sopra il mare. La superficie della Terra dopotutto consisteva per il settanta percento di acqua, quindi quasi trecento risultati avrebbero dovuto essere localizzati sull’acqua. Per sicurezza Nathaniel aveva anche controllato bene cosa si trovava nelle aree dove la carta indicava dei rilevamenti: più di cento zone, e su ottanta di queste c’era una città. Nemmeno uno dei luoghi si trovava in un’area disabitata. Dovevano per forza essere persone quelle che i satelliti avevano registrato.

C’erano diverse possibilità, ma al momento Nathaniel aveva solo una teoria: c’erano quattrocentoventuno persone nel mondo con un cervello abbastanza complesso da imprimere nello spazio-tempo quella specifica impronta che lui andava cercando. Per molti versi quella teoria si adattava anche ai suoi calcoli: aveva forumle per calcolare il livello di complessità necessario per essere rilevato, ma non esisteva uno studio completo del cervello. Quella che i satelliti dovevano percepire non era una complessità qualsiasi: ci voleva una combinazione di segnali elettrici generati organicamente, del tipo emanato dai neuroni. Ma stabilire la quantità di neuroni che costituiva un cervello era una forma avanzata di tirare a indovinare alla cieca. La stessa cosa valeva per la quantità di connessioni tra di loro. Il grande punto di domanda era se esistessero connessioni diverse a livello fondamentale, come per esempio campi elettrici che reagivano a contatto gli uni con gli altri, o – Dio non volesse – un’interazione a livello quantistico. Avrebbe dovuto pensarci prima. Nel peggiore dei casi ciò avrebbe indicato un limite assoluto, e alcune persone non sarebbero mai state rilevate dalla ricerca. E cosa significava davvero complessità in quel caso? Aveva trovato le persone più intelligenti del pianeta, oppure erano persone con una struttura cerebrale radicalmente diversa dagli altri? In realtà Nathaniel sperava nella seconda ipotesi, perché non c’era neppure un singolo rilevamento nelle vicinanze di una qualche università, neppure la sua.

La stranezza era quel misterioso rilevamento, forte quasi il doppio degli altri. Quella persona non poteva avere un cervello doppiamente complesso rispetto al normale, ma c’era in ogni caso un aumento della complessità pari al trenta percento circa. Una differenza che avrebbe dovuto essere fisicamente impossibile, a meno che la persona in questione non avesse una qualche malattia che gli faceva crescere troppo il cervello.

Nathaniel era bloccato. Non aveva idea di cosa fare.

Gli brontolò lo stomaco. Per un attimo valutò di cancellare la lavagna, ma lasciò perdere. Non ce n’era bisogno, fintantoché non aveva nient’altro da scriverci sopra. Quella poteva aspettare, al contrario di tante altre cose.